Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

62 STORIE/TREFULKA dormiva così bene. Avrebbe voluto vederli tutti, ancora una volta, avrebbe voluto vederli anche al buio, vederli con le mani, accarezzare i loro volti, icapelli, le spalle,odorarlj, sebbene nonprofumassero più di fieno e di latte. Cercò di raggiungere l'interruttore che pendeva lungo la parete per vedere l'ora, ma il movimento della mano all'insù era al di sopra delle sue forze. Per poco il dolore non la fece svenire, un dolore diverso sul petto, completamente nuovo, il respiro in cucina s'era fatto più breve, più distinto e lei d'un tratto capì che si trattava del suo stesso respiro. Le rimaneva soltanto la vista del soffitto e della finestra, oscurata dal crespo di grandi fiori dai contornj netti anche adesso di notte, neri però, come disegni sagomati sulle vecchie porcellane. ,Conosceva questa stanza già dal tempo in cui i muratori avevano posato la prima fila di mattoni. Si davano il cambio col marito nel trasporto del materiale edile, segnavano le tracce sul muro per la rete elettrica e per lo scarico. Martin girava intorno alla grezza costruzione e lei doveva rincorrerlo per seguire le sue grida. Allora cucinava il gulash e le minestre di patate su di una improvvisata cucina di mattoni e una lastra di ferro vecchio. Si ricordava quando avevano portato i mobili e appeso il lampadario, quando aveva comprato le pentole, i piatti e le tazzine di cui alcuni pezzi erano ancora nella credenza. Ebbe un forte desiderio di potersi alzare per guardarle e prendervi per l'ultima volta il caffè. D'un tratto sentì che avrebbe avuto ancora qualche motivo per vivere. Ma in che modo avrebbe potuto? La luce di una macchina di passagio illuminò la finestra e la signora Katonova ebbe una stretta al cuore. Capitava che VojSi::ch avesse molto da fare nel cantiere e lei lo aspettava nella cucina del locale, fingendosi occupata, mentre, in realtà, vigilava la grande finestra della mescita. Ogru qual volta da lontano giungeva il ronzio del motore ili qualche macchina e lafinestras'illuminava, s'aspettava con ansia che la luce e il motore si spegnessero e ili sentire passi scanditi sulla ghiaia da scarporu pesanti. Quando finalmente accadeva, apriva la porta del corridoio e aspettava che sulla soglia una scia luminosa facesse apparire un uomo stanco e infangato, ed abbracciati tornavano nella cucina, gli scaldava la cena, mentre Yojtech a torso nudo sciacquava via lapolvere della calce e limatura di ferro del cantiere. Una volta, seduta al tavolo di fronte a lui, mentre lo aggiornava ~Ile novità riportate dagli ospiti quel giorno, non perché pensasse o,he potessero interessarlo, ma perché voleva distrarlo dalle sue preoccupazioru quotidiane, Yojtech ledisse che aveva intenzione di prendere qualche giorno di ferie e la pregò di andare con lui in Polorua. Le avrebbe fatto vedere i luogru del paese che amava di più, anche se forse non erano poi belli quanto il paesaggio boemo. "Mi faresti felice se potessi vederli con me", disse. "Sì", rispose. "Devo vederli." Partire con Yojtech non le pareva in quel momento più arduo di quel che non stesse già facendo per lui. Forse avrebbe dovuto meglio ponderare la bugia, concepirla più seriamente. Non vedeva l'ora ili partire, in fondo non era mm stata all'estero e non aveva mai visto il mare. Da quella sera però si sentì irrequieta, e non capiva perché; la sensazione che stava dimenticando qualcosa d'importante non l'abbandonava mai, verificava ripetutan1ente se avesse spento la luce e chiuso i cassetti a chiave. Quando poi si trovò seduta al tavolino nel corridoio del reparto visti, intenta a riempire la domanda, le accadde qualcosa di strano, d'incomprensibile. Sentì con estrema intensità che quello che stava facendo era assolutamente insensato, che qualcun altro a lei estraneo stava riempiendo il formulario al posto suo, che non poteva essere lei quella che sarebbe partita con un forestiero per il suo paese lasciandosi dietro la frontiera il marito ingannato con i figli, che fosse un'altra la donna che non vedeva l'ora di passare una mezza giornata al mare in compagnja del biondo amante. Inciampò in quella parola che fino ad allora non aveva mai associato a sé e a Yojtech, e le sembrava impossibile che fosse proprio lei ad avere un amante e di un altro paese, per giunta. Il foglio stampato che giaceva lì sotto i suoi occhi la costringeva a qualcosa che le sembrò d'un tratto assurdo. Non aveva bisogno di stare altrove, non aveva bisogno di vedere città straruere e infine aveva sopravvissuto benissimo fino ad allora senza vedere il mare. D'improvviso questo suo sentimento le vaticinò il futuro: sapeva che all'estero, nonostante la compagnia di Vojtech, si sarebbe sentita sola, privata della casa e dei ragazzi, si sarebbe tormentata per tornare nella casetta sul pendio, nella cucina che odorava di cibo scaldato, nella camera da letto dove poteva sempre abbandonarsi a un bel sonno. Era seduta, guardava nel vuoto, spaventata dalla propria profezia, raggirata da una possibilità che poteva verificarsi, disperata per la promessa fatta, che sapeva ili non poter revocare senza ferire profondamente Vojtech. Con mano tremante riempì il modulo e lo consegnò all'ufficio. Sarebbe stata contenta se per qualche motivo non le avessero autorizzato il viaggio. Durante la notte passata vicino a Vojtech, le incertezze svanirono, lo ascoltava raccontare dei porti e delle città costiere, godendo con gioia della presenza dell'uomo che amava e che le faceva scoprire un mondo a lei sconosciuto. Desiderava che rimanesse con lei fino alla partenza, che lui non dovesse andare a lavorare e lei non dovesse tornare a casa, la casa dove si cominciava a notare l'assenza della padrona, i corridoi lavati alla meglio, batuffoli ili polvere che svolazzavano negli angoli, la cucina e il lavello maccruati di grasso e nell'orto le aiuole di verdure infestate da erbacce. Più s'avvicinava il giorno della partenza, più le riusciva difficile mentire. Le capitò più di una volta di rendersi conto che stava per tradirsi e le sue scuse non avevano più alcunché di logico. Soltanto grazie alla distrazione del marito e alla svagatezza dei figli che avevano interessi e problemi propri, le sue frequenti assenze non aveva destato alcun sospetto. Il giorno in cui ritirò i documenti il senso di estraneità e d'incredulità per la propria azione ritornarono di nuovo e con più insistenza della prima volta. Tenendo la dichiarazione bollata tra le mani a stento riusciva a credere che si era battuta per averla, che fosse veramente sua, con il suo nome, le sue firme, che fra due settimane sul fare del giorno sarebbe salita con Vojtech sul treno per lasciarsi trasportare, accompagnata dal rumore delle ruote e insieme a gente sconosciuta, a osservare il paesaggio sconosciuto, imprigionata dagli occhi di un uomo, dalle sue braccia. D'un tratto le sembrò assolutamente impensabile che con la menzogna avrebbe potuto ottenere una settimana intera e, in una fantasia angosciosa, ripassava nella mente, in tutte le possibili combinazioni, scene di lei scoperta, svergognata e castigata. Vojtech l'aspettava dietro l'angolo nel parco, con indosso un nuovo soprabito scuro, che gli faceva risaltare il biondo dei capelli e con cui appariva alto e snello. Di nuovo si rendeva conto quanto fosse un bell'uomo e per un attimo ancora si era sentita traboccare di tenerezza mista a timore e tristezza. "Ce l'hm?" "Ce l'ho." Le baciò la mano e la strinse in vita. Per la prima volta si staccò da lui di colpo. "Ma non so...", disse. "Cosa non sai?" "Non so cosa succederà a casa." "La nostra casa sarà là", disse. Venne colta da una terribile angoscia, stordimento, terrore. Non

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