"Taci" disse Antonie. "E non scusa1ti." Lo spazio davanti al ristorante era colmo di luce lunare e il vecchio grande pero rovesciava sopra il frontone una lunga ombra cinerea. C'era ancora accesa la luce dalla signora Hortova e il suo cane si mise ad abbaiare dal l'interno, non appena toccarono la porta d'ingresso. "Carogna" disse Antonie. "Cawogna" rideva il signor Jasiczek. Aspettò finché lei chiuse e poi, accompagnati dallo stridulo abbaiare del cane, salirono le scale al buio, passando intorno alla casa della signora Hortova, attraverso l'ingresso, fino alla camera. Il corpo di Antonie si difendeva ancora. Ancora avrebbe voluto gettare via tutto l'estraneo e l'inservibile, si difendeva con la febbre e iIdolore, voleva attirare l'attenzione e risvegliare i ricordi. Troppo lusso in quel momento. 1 ricordi non l'avrebbero aiutata a salvarsi. Se poi non era possibile scacciarli, s'accontentò di sconvolgerli, scompigliarli, lacerarli e renderli fragili. D'un tratto non riusciva più a distinguere le cose di p1ima da quelle che seguirono, giorni, settimane, mesi vissuti si unirono in una cosa sola, senza continuità e assolutamente priva di un ordine, una sola idea ne univa i frantumi e, sebbene non inducesse a sperare, la tranquillizzava. Non appena si manifesta, la vita già reclama continuità, ma proprio perché continua, smrnTiscese stessa, perde la purezza e il candore, accetta il mondo esterno e così facendo si consuma, vive e, vivendo un po' anche muore, vive e avanza verso la propria mmte. Si ricordò come dall'inizio, dal primo abbraccio, facesse di tutto per darsi a quell'uomo in modo più completo, per dargli tutto senza riserve, senza condizioni, perché sapeva che soltanto così poteva salvrnfo e redimerlo. Era felice da averne le vertigini, quando pensò di esserci riuscita, quando anche lui, finalmente, credette di poter essere amato senza altri scopi, senza altro motivo che non fosse egli stesso. Sentiva che le insicurezze gradualmente lo abbandonavano, gli avvenimenti remoti e pur sempre ardentemente presenti s'inabissavano negli strati più profondi della coscienza, trasformandosi in un ricordo uguale a tanti altri, un ricordo che non fa male, che potrebbe suscitare un sorriso, o, al più, un'alzata di spalle. Il suo corpo ricordava tuttora il periodo, una settimana forse o un mese, in cui visse più intensamente che non in tutta la vita passata, si concedeva sempre di nuovo e vinceva; sembrava che così sarebbe stato per sempre, che nessun ostacolo, nessun tocco incauto del mondo esterno avrebbe potuto impedirlo. Pregava Vojtech di non scendere nella mescita, perché temeva che ogni suo movimento potesse tradirlo davanti agli avventori. Lo pregava di scendere perché al pensiero che stesse seduto solo, lì sopra, e lei non potesse corrergli vicino, non era capace di fare la più semplice addizione e i bicchieri le cadevano dalle mani. Faceva ali' amore con Vojtech, lo serviva e accoglieva il suo amore, vero e senz'altro puro, anche nell'ostentazione che era certamente parte del suo carattere. Si abituava volentieri agli sfoghi e alle gesta impetuosi, che, come egli spesso riconosceva, apparivano da queste parti un po' fuori luogo. Con diversi stratagemmi, cercava di mandare via gli ospiti al più presto per poter salire di corsa nella stanzetta e spesso addormentrn·si all'alba con un sonno pesante, dal quale la destava la signora Hortova, quando portavano la birra o il pane fresco. Mai ne!Ja vita si era sentita così vertiginosamente vicina ad un uomo che riuscisse a penetrare così profondamente nel suo essere e comprendesse a fondo il suo corpo da sentirsi le carezze fin dentro le viscere, un uomo che vivesse la sua pelle e l'accogliesse senza inibizioni, l'accogliesse con lo sguardo, col tatto e persino con il palato, e lei ascoltava il suo bisbiglio che diventava sempre più comprensibile, ma non abbastanza chiaro da disturbarla. Si sentì orgogliosissima quando una volta le disse che era stata lei a crearlo, lei a farne un STORIE/TREFULKA61 uomo, capace di riflettere su se stesso senza pregiudizi e senza amarezze. Sapeva che era vero e non appena poteva guardarsi allo specchio si meravigliava della propria immagine che contemplava compiaciuta. AncheAntonieeracambiata, inmododel tuttodiversoda Vojtech, ma allora non l'avrebbe certamente ammesso. Benché non fosse stata mai costretta a dire bugie, e forse per questo aveva mentito soltanto nell'rn11bitodelle regole sociali, adesso mentiva con facilità, inventava, senza pudore, deliranti bugie. Escogitava, per il marito e i figli, inventari e riprn·azioniurgenti, ospiti appiccicaticci, incontri incredibili e persino episodi funesti; niente più la imbarazzava, indifferente ai giudizi, le veniva tutto naturale come il respiro, perché altrettanto indispensabile. S'addormentava accanto ad un uomo estraneo senza avvertire il benché minimo senso di colpa e ancora oggi il ricordo di quel periodo non destava in lei che gioia, una gioia perfettamente equilibrata del corpo e della mente, difficilmente riscontrabile negli uomini, fosse anche una sola volta nella vita. Le sembrò che qualcuno respirasse sonoramente dentro la casa. Avrebbe voluto vedere se era Krn·elnella stanza accanto, Mrn·cella o Martin di sopra in soffitta, avrebbe voluto sapere se erano tornati a casa i figli, e se Marcella aveva studiato la geografia. Sentiva il cattivo odore dei cibi, dei crauti e dell 'aJTostodi maiale riscaldatì che le fecero rivoltare lo stomaco. Pensò ai piatti che non erano stati 1avati; dunque il meccanismo familiare si era seriamente inceppato e doveva essercene una causa. Si rese conto poi che la causa era probabiimente lei stessa, i figli non volevano svegliarla visto che
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