Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

60 STORIE/TREFULKA signor Jasiczek entrò nella mescita, si sedette al piccolo tavolino nella nicchia dietro il biliardo e fu subito invitato al loro tavolo, perché anche a loro il suo compo1tamento corretto e simpatico e la sua bella faccia virile, proprio come nei film storici polacchi, ispiravano fiducia. Piaceva la sua cortesia, un po' eccessiva, e lo sguardo diretto che non s'abbassava e non sfuggiva. Questa volta il signor Jasiczek non rifiutò il bicchieri nodi fernet ed offrì lui stesso un giro a tutta la tavolata. Dopo il primo cauto interrogare vennero fuori delle barzellette su un polacco che attraversava il confine per mangiare in Cecoslovacchia e un cane ceco che intraprendeva il viaggio nel senso contrario per abbaiare, e delle vecchie barzellette sul laguerra, che disonoravano l'esercito nazista, come anche delle composizioni in lingua polacca ugualmente incomprensibili per un ceco. Il signor Jasiczek disse che non aveva mai visto peggiori leccapiedi e delatori che inMoravia e incompenso aveva saputo che non vi erano al mondo tanti vuoti bellimbusti e sedicenti ex nobili di quanti ve ne fossero in Polonia e che, d'altronde, i cechi non avevano mai cercato di nazionalizzare o occupare nessuno, insomma le solite chiacchiere che si fanno quando i fratelli slavi s'incontrano in una birreria.S'era scatenata un po' di gazzarra e per evitare il peggio il signor Ondrusek aveva proclamato che sia i cechi che i polacchi erano dei poveracci e aveva ordinato un altro giro. La signora Katonova non se l'era sentita di disperdere la compagnia proprio nel momento delJa riappacificazione e del reciproco piacere, e perse così l'ultimo autobus che avrebbe potuto ricondurla ancora quella notte a casa. Succedeva molto di rado, ma non era nemmeno così eccezionale perché i SJ,IOÌ se ne preoccupassero. Mentre tornava apasso lento dalla fermata dell'autobus pensando che la mattina avrebbe potuto offrire al signor Jasiczek la colazione, lo vide sulla panchina davanti alla birreria che fumava l'ultima sigaretta della notte. Il signor Jasiczek si alzò di scatto, spense la sigaretta e cominciò a scusarsi per averle causato il ritardo e offrì di cederle la sua stanza mentre lui avrebbe dormito nella bettola. La signora Katonova rifiutò perché aveva per queste occasioni un letto pieghevole in cucina, e gli disse che sarebbe andata a fare ancora due passi per un tratto di strada, perché aveva la testa stordita dal fumo, dalle chiacchiere e dalle risate. Il signor Jasiczek si offrì di accompagnarla. Il fatto la sconcertò di nuovo a tal punto che non rispose nemmeno e, al sentire i propri passi vicino ai suoi nel duplice scalpiccio sull'asfalto della strada, cominciò a tremare. Non sapeva di cosa parlare e il signor Jasiczek si scusava per averla forse disturbata e pensava di tornare nella birreria. Gli disse di non tornarci affatto, di essere contenta della sua compagnia e lui a bassa voce iniziò a raccontarle di sé. Nelle casette sparse sui pendii fino giù al fiume, le ultime luci si spensero una ad una, qua e là si udì lo scricchiolio di qualche porta che si apriva disegnando uno squarcio di luce e ritagliando dal buio un tratto di una stradina di pietra, uno spicchio di un prato, di uno steccato, un'aiuola di tulipani e la porta di un bagno costruito sulla concimaia. In lontananza, sulla strada maestra si scorgeva la luce dei fari delle macchine, mentre i gatti scivolavano furtivamente nei fossi e i cani guaivano per la paura del buio e per la solitudine. Il signor Jasiczek raccontava della sua vita, come fosse anivato in una Varsavia in rovine per studiare, come avesse tirato avanti senza l'aiuto dei genitori che non potevano perché già a stento riuscivano a tirar su altri due fratelli minori, come s'innamorò di una compagna di scuola, Olga, come fosse immenso e pulito questo amore, come insieme facessero i lavori volontaii, come vivessero con pochi mezzi rimediati con lavori occasionali, come in tutti e tre quegli anni non avesse mai nemmeno provato a far l'amore con lei, una questione d'onore e di buona educazione secondo lui, e come poi l'ultimo anno, quando finalmente cercavano un'azienda che al termine degli studi li impiegasse tutti e due, ls:i fosse pa1tita precipitosamente per le vacanze con un giovane docente di successo e nel giro di un mese lo avesse sposato. A lui non inviò né una lettera di addio, né una parola di consolazione, né una spiegazione né una scusa. Antonie sentiva nelle sue pai-olecapite soltanto a metà e nella sua voce fiera, senza difese, che l'uomo che le camminava accanto non riusciva nemmeno dopo tanti anni a dimenticare il torto subito, che ancora vivo in lui gl.isi era annidato nel cuore per riaffacciai·si con una morsa cocente quando meno se lo aspettava. "Vojtech" disse Antonie nel buio della cucina. "Yojtech." Più che il suo respiro sentiva lo sgocciolio dell'acqua ed il placido ronzio del frigorifero, si era resa conto di non trovai·si nella cameretta al Belvedere, di essere invece a casa e di stai·e lì lì per andarsene·da questo mondo, dove non era stata troppo felice, ma nemmeno troppo infelice, dove forse avrebbe potuto aspettarsi a buon diritto una tranquilla vecchiaia, ma alla sua fine l'avrebbe comunque aspettata la morte, e chissà se nelle ultime ore sarebbe stata capace di pensare, di ricordare qualcosa di bello, qualcosa che valesse la pena di ricordare. Le raccontava del suo tentativo di suicidarsi, aveva già il sacco con le pietre legato sulla schiena come un cai·ico, ma non riuscì a scendere sufficientemente in basso, vi era in lui qualcosa di più forte del desiderio di vendetta e di autodistruzione. Stava mettendo a punto l'idea di uccidere il giovane docente ma questo richiedeva molto tempo, e alla fine si limitò ad accettare un lavoro nell'angolo più sperduto, più remoto della Polonia e da lì mandò a Olga una cartolina. Solo dopo alcuni mesi si rese conto che non l'aveva affatto commossa; lei lo aveva dimenticato, come d'un tratto fanno le bambine con le loro bambole, da cui mai prima si sarebbero potute separare né addormentare senza averle accanto sul cuscino. E così del suo grande amore non rimase altro che quei luoghi sperduti dove continuavano a mandarlo, perché non era sposato, e sposato non era perché si trovava sempre nei luoghi sperduti e nessuna delle donne che vi incontrava era disposta, nemmeno ali' inizio, di vivere con lui in condizioni precarie e per giunta in affitto. Forse però ciò succedeva anche perché non riusciva ad aprirsi né a darsi ad alcuna, diffidava di tutte, analizzava ogni loro parola, per scoprire se non volessero servirsi di lui per migliorai·e la propria posizione. In realtà non riusciva ad amare nessuna, esse lo percepì vano e si vendicavano cercando di sfruttarlo. Più che comprendere il suo discorso concitato, la signora Katonova lo intuiva non avendo mai nella vita sentito un racconto così passionale e doloroso, mai nemmeno lontanainente aveva vissuto una simile via crucis, una via crucis che non termina con la redenzione, un terribile circolo vizioso da cui l'uomo che le camminava accanto non poteva uscire da solo. Tutto ciò la impressionava profondamente. Il germoglio di un sentimento, la continuazione quasi comica del primo amore adolescenziale, maturò nell'acuto sentimento della donna che sa fin dove può, cosa deve dai·e,ciò che vuole dai·e e come 1ipartirlo. Antonie era rimasta romantica a tal punto, e a tal punto aveva bisogno di mentire a se stessa, che era convinta dell'inevitabilità del suo sentimento, quasi fosse un suo dovere. "Dobbiamo tornare" disse e prese il signor Jasiczek per mano. Attraversarono la strada. Sopra le montagne che raccoglie.vano la vasta valle ali' orizonte, era uscita un' eno1me luna. La torre bianca della chiesa splendeva in profondità sotto di loro come un dito alzato. Sulla collina di fronte nella cappella di vetro accanto al cimitero, brillava la luce eterna. Da un lontano valico giungeva il rumore dei pesanti motori. Il signor Jasiczek si scusò per averla disturbata con i suoi ricordi poco allegri.

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