Dopo il caffè dormiva sempre bene, si vergognò ora di fargliene un torto, era lui che si occupava della manutenzione della casa, della macchina raramente usata, qualche volta dava una mano quando s'ammazzava il maiale, e le casalinghe del vicinato venivano a chiedergli aiuto per ammazzare galline, oche e conigli. Lo faceva con grande abilità e precisione, senza ombra di eccitazione, sembrava quasi che ammazzare un essere vivente non implicasse altro che sferrare un colpo secco con il braccio teso. Qualche volta osservando il suo lavoro perfetto ci si domandava se avrebbe mai potuto ammazzare un uomo con la stessa tranquilità, ma doveva riconoscere che mai nella vita le aveva dato motivo di pensarlo. "Allora io vado all'ambulatorio", disse minaccioso il figlio. "Lascia stare la mamma" disse il signor Katon. "Ci vuole solo un po' di pace e del buon umore." Lei sorrise al figlio con dolcezza e con la leggerezza di cui poteva essere capace. Se gli avessero dato retta, forse l'avrebbero ancora salvata. "Non ho nulla." Alzò rabbiosamente le spalle e se ne andò. Finalmente poteva di nuovo sedersi sul letto e rilassarsi. Il marito, seduto a tavola, finiva di mangiare la merenda senza guardarla. "Venerdì e sabato non avrò pace, i Rihak a Podoli stanno preparando una festa." Nessuna cosa almondo poteva interessarle in quel momento, ma doveva sforzarsi. "Un matrimonio?" "Ma no. Una laurea. Ottanta ospiti. La gente non sa più cosa festeggiare. Avranno un dottore in famiglia!" "Perché, a te non piacerebbe che un giorno Martin finisse gli studi?" "Certo che sì. Ma non per questo organizzerei un'abbuffata. STORIE/TREFULKA59 Oggi non è più come vincere un terno al lotto come credi tu. Appena hai il colletto bianco devi scattare, andare alle riunioni e per cosa? Pensi che un dottore guadagni più di me?" "Non lo so. Ma vorrei comunque che Martin continuasse. E anche Marcella se le piacerà." lo." "E perché non dovrebbero?! Non sarò certo io ad impedirglieIl signor Katon si alzò, avvicinò la sedia al letto. "Allora come stai? Ma sul serio!" "Mi fa male tutto il corpo. Vorrei soltanto dormire." ''Te l'ho detto, il caldo nel locale e il freddo nella cantina. Hai anche preso troppi impegni ultimamente." La signora Katonova arrossì. Vedeva la faccia del marito tranquilla ed equilibrata e sentiva di non voler fargli del male e disturbare la sua quiete benché le desse qualche volta ai nervi, benché sapesse che la pace di quel viso era troppo spesso pagata col prezzo della birra che ha il potere di scacciare via le domande e i pensieri inutili. Incurante dell'acuto dolore alla schiena, gli tese la mano ed egli l'accolse nelle sue mani, insolitamente morbide, e l'accarezzò. "Allora dormi. Tanto, come al solito, anche stasera non c'è niente in televisione." 3. Antonie aprì gli occhi nel buio e in un primo momento pensò di essere nella cameretta al Belvedere. Che fortuna! Non sapeva come mai vi si trovasse, in realtà neanche quella prima volta lo sapeva o capiva con precisione, o forse non voleva saperlo né tanto meno spiegarselo. Aveva dentro tanta gioia e tanta semplicità che se ne vergognava. Eppure avrebbe forse dovuto difendersi, resistere, non avrebbe dovuto concedersi. Invece accadde la prima sera. Il Fotodi PascalMoitre/Odyssey/GrozioNeri.
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