Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

58 STORIE/TREFULKA Girava intorno ai fornelli finché non venne fuori qualcosa di denso e dolce che aveva invero un sapore diverso dalla bevanda che lei preparava alla maniera ceca, casareccia. Poi rimasero seduti al tavolo, dove di solito sbrigava la corrispondenza d'ufficio, note di ordinazioni, fatture e sollecitazioni per le riparazioni necessarie. Qui, sotto il vetro, teneva le fotografie dei suoi figli, dalla carrozzina alle foto di gruppo delle loro classi. Gliene parlò come non ne aveva mai parlato a suo marito e poi d'un tratto tacque, per non offenderlo. Ma lui stesso la sollecitò e sembrava che gli facesse veramente piacere ascoltarla. La signora Katonova si destò dal dormiveglia con la sensazione di non essere sola in cucina. Apri gli occhi, cercò di girare la testa, ma se,ntì subito che il sonno non le aveva dato forza, anzi, l'aveva indebolita. Quando, comunque, riuscì a fare un piccolo movimento vide Martin che si scaldava il cibo mentre si sforzava di non svegliarla. Le vennero le lacrime agli occhi per la commozione. Con i suoi 17 anni il figlio era uno spilungone, spalle larghe, non aveva preso né dalla madre, né dal padre, ma più probabilmente dal nonno paterno. Anche suo nonno era timido e solitario, burbero a prima vista e anche in lui, a volte, scaturiva una tenerezza profondamente sentita, sempre più rara negli uomini. E succedeva proprio in quegli attimi non drammatici, semplici come questo. "Non bruciarti i crauti", si fece sentire la signora Katonova. Voleva parlare a voce alta e allegramente, ma ne venne fuori soltanto un bisbiglio. "Non volevo svegliarti" si scusò Martin. "Tanto passo quasi tutto il giorno a dormire. Come è andata a scuola?" . Martin frequentava la scuola di perito industriale in città, do~e a malapena era riuscito ad entrare e a malapena passava da un anno all'altro. Non che fosse stupido o che non studiasse, ma ogni tanto avrebbe avuto bisogno di un consiglio o di un aiuto che né lei né suo marito potevano dargli. Le formule di matematica e fisica erano per tutti e due un'incognita. "Tutto calmo. Non succede niente. Le interrogazioni sono finite." "E tu come te la caverai?" "Come sempre." "L'importante è che passi la maturità." "Se mi ci hanno tenuto finora non mi butteranno fuori prop1io all'ultimo momento." "Prendi tutto troppo alla leggera. La vita stessa te lo insegnerà." Rammentava come Martin, fra i quattro e i sette anni, fosse stato incredibilmente cocciuto. La sua cocciutaggine non consisteva soltanto nell'essere disobbediente, sebbene anche questo fosse un altro problema che non sapevano trattare, ma anche nel perseguire obiettivi assurdamente difficili, anche a costo di un esaurimento. Durante una delle poche gite familiari intraprese nelle vicine montagne, li aveva costretti a marciare per venti chilometri sui crinali, il padre voleva mostrargli finalmente quanto sopravvalutasse le proprie forze. Verso la fine Martin riusciva a stento a trascinarsi ma era arrivato, anche se l'ultimo tratto avevano camminato nella bufera sotto la pioggia, e non c'era dove ripararsi. Quando poi a casa gli aveva tolto le scarpe, s'era accorta che aveva delle piaghe sanguinanti su tutti e due piedi. Ma durante la gita non se ne era mai lamentato. Forse per questo non temeva per lui quanto per la figlia. Pensava che avrebbe superato anche le prove più difficili nella vita, proprio perché inconsapevole dell'arduo e dell'ingiusto. Ultimamente faceva lo yoga e ali' imbrunire correva sulla strada fino alla chiesa e ritorno, non perché volesse fare delle gare agonistiche o far parte di qualche club sportivo, ma per un caparbio bisogno interiore. L'aiutava in casa senza fiatare, lavava i pavimenti, lavorava nel giardino. La sua presenza la tranquillizzava. Quando erano a casa da soli, si sentiva sicura e libera come se stesse con qualcuno esperto; gli raccontava dei suoi piccoli piani e delle preoccupazioni, lui l'ascoltava ma non rispondeva mai; i soldi e la proprietà in genere non gli facevano nessun effetto; cose e vestiti gli erano indifferenti, riusciva ad entusiasmarsi soltanto per i propri interessi e la sua stanza era piena di accessori per gli apparecchi più svariati: fili, tenaglie, pezzi di metallo, di cui lei ignorava l'utilità. "Mamma vado a chiamarti un medico" disse d'un tratto categoricamente. "Questa non è affatto un'influenza." Raccolse le sue ultime forze per sedersi. "Dimenticalo assolutamente." La paura le diede la forza di parlare a voce alta, sebbene il suono della propria voce le trinciasse le viscere. "Va tutto bene. Oggi sto meglio. Sono soltanto debole." "Che cos'hai sulla mano?" Si guardò il braccio. Nell'appoggiarsi tenacemente sullo schienale non si era accorta che la manica della camicia da notte le si era tirata su fino al gomito scoprendo due strisce di un verde viola. "Sono scivolata mentre tiravo su la birra. Non è niente!" "Vado a chiamare il dottore. Devi farti visitare. Se fosse una ferita interna?" Per un attimo sentì una commovente soddisfazione che fosse proprio Martin a preoccuparsi tanto per lei, per la sua sincera compassione e perché aveva quasi indovinato la sua vera malattia. Ma non poteva permettere che portasse il dottore. Se tutte le sue bugie fossero venute fuori, la sua morte sarebbe stata ancora peggiore, perché non avrebbe avuto senso. "Il dottore mi ha visitata e ha detto che è un'influenza." "E cosa ti ha prescritto? L'acqua calda?" Martin quasi urlava, stava già sulla porta e la signora Katonova non sapeva come avrebbe potuto fermarlo quando sentì cigolare il cancello fuori. "Sta arrivando papà", disse la signora Katonova con sollievo. "Meno male" disse il figlio, convinto che il padre fosse dalla sua parte. Il signor Katon entrò in cucina, alto e forte, non ancora grasso, con sulla fronte un ricco ciuffo di capelli brizzolati gonfiato in un'onda da gagà fuori moda sopra la fronte che non s'addiceva molto alla sua età, ma il signor Katon si pettinava in quel modo da quando loconosceva, sempre, dopo il bagno. E lo faceva tutti i giorni dopo il lavoro. Per i suoi quasi cinquant'anni aveva un aspetto molto giovane, il viso simmetrico era sano e liscio in modo innaturale, soltanto gli occhi rivelavano la stanchezza con qualche ruga intorno, che gli dava un'aria piuttosto interessante. Si risposerà senz'altro, pensò la signora Katonova, può risposarsi, e può farsi ancora una famiglia e avere dei figli, le donne sicuramente si girano ancora per guardarlo, certo, per Martin e Marcella potrebbe essere una catastrofe, ma no, lui li ama, si convinceva, non farebbe loro alcun male e poi non aveva mai notato in lui un particolare interesse per le donne. "Mamma non vuole che chiami il dottore", si lamentò il figlio, "è testarda come un mulo". "Mamma è sempre stata testarda come un mulo, è di famiglia e tu hai preso da lei", disse il signor Katon. "Magari muore proprio per averci voluto dimostrare che stava bene." La signora Katonova poteva vedere e sentire che il marito aveva bevuto la sua solita dose di birra, era beato, pacifico come se circondato e protetto dai cuscini dell'alcool contro le infamie del mondo, disposto soltanto a mangiare e poi dormire fino alla trasmissione televisiva, e poi cenare, prendere un caffè e dormire di nuovo.

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