L'ostessa non rispose, l'idea del letto non le aveva sfiorato minimamente la mente. Invece il signor Jasiczek non si fece vedere né il primo, né il secondo, né il terzo giorno. Invano locerca va con lo sguardo, invano lasciava aperta la porta della mescita sul corridoio per vederlo almeno quando sarebbe andato a prendere l'acqua o al bagno. Manco a farlo apposta, quando passava era sempre in qualche modo occupata. Ormai era turbata quasi come allora, quando rimaneva seduta per delle ore in soffitta nella speranza di scorgere il giovanotto in bicicletta. Poco a poco crescevano in lei l'odio e la rabbia contro l'uomo che con la sua cortesia sé'mbrava volesse intenzionalmente destare in lei tanta speranza per poi umiliarla con la sua indifferenza. Più di tutto, avrebbe voluto chiudere il locale e nascondersi in casa, sebbene anche a casa, in mezzo alla famiglia, pensasse incessantemente a lui. Sabato, nel primo pomeriggio, il signor Jasiczek entrò nella mescita con unmazzo di garofani assurdamente grande. Per fortuna non c'erano ancora gjj avventori poiché in una situazione del genere la signora Katonova non avrebbe saputo proprio cosa fare. Pensava che certe cose accadessero soltanto nei film oppure sul palcoscenico, mai però nella vita reale. Figuriamoci poi se dovevano accadere nell'ultimo locale dell'ultimo villaggio, sparso qua e là sulle coljjne. Un mazzo così deve averlo comprato nel capoluogo e probabilmente l'avrà anche ordinato. Dopo averle baciato ancora una volta la mano, il signor Jasiczek • le diede i fiori e, se aveva capito bene, la stava ringraziando per la poltrona, scusandosi per non essere venuto prima, perché si vergognava di presentarsi a mani vuote. "Quella poltrona", disse la signora Katonova arrossendo, "è della signora Hortova". "Io so", disse il signor Jasiczek, "chi ce l'ha portata". La signora Katonova stava in piedi dietro il bancone con il mazzo dei fiori in mano, impacciatissima per tutta l'attenzione ricevuta. Non sapeva che fare con i fiori, non poteva mica lasciarli nel locale, ai clienti sarebbe parso strano, e avrebbero provocato battute piccanti, ma dove metter! i e non offendere i I signor Jasiczek, se in cucina altro non c'era che gli utensili del ristorante? Il signor Jasiczek s'inchinò e fece per andarsene. "Non s'accomoda per un momento?" cercò di fermarlo. "Mi chiedevo, perché la sera non si fa vedere fra di noi?" "Forse non piacerebbe ai vostri ospiti. Qui sono un estraneo." "Nessuno è estraneo in una locanda," "Comunque." "Posso offrirle un fernet? La invito io." La signora Katonova posò il mazzo dei fiori nel lavandino dove l'acqua corrente lavava i bicchieri, e allungò le mani verso lo scaffale. li signor Jasiczek tornò al bancone. "Sa, io e il bere", disse imbarazzato, "non sono proprio un astemio, ma quando sono nel cantiere preferisco non cominciare. Bevi una volta, due, con i colleghi ed è finita con la disciplina". "Le faccio un caffè." "Volentieri, se è così gentile." La signora Katonova andò in cucina con i fiori e mentre metteva l'acqua nella caffettiera, s'accorse che le tremavano le mani. Poi spiò attraverso la porta semiaperta quell'uomo biondo che si accendeva lentamente una sigaretta. Probabilmente non era un grande fumatore, si trattava di una piccola cerimonia che cercava di prolungare per meglio goderne. Si chiedeva se avesse una famiglia in Polonia, ma subito si rimproverò, non erano affari suoi. Cercò un vaso finché trovò nella creden·za una brocca smaltata tutta sbeccata, STORIE/TREFULKA57 ma almeno grande abbastanza per contenere i fiori. La posò sull' armadio dietro la porta perché non si vedesse dalla mescita e versò l'acqua sul caffè. Scorse il proprio viso nello specchio appeso accanto alla finestra. Il volto che guardava di sfuggita alcune volte al giorno la spaventò. Era teso, eccitato, non apparteneva alla sua tranquilla vita casalinga, con un volto così non avrebbe dovuto farsi vedere da nessuno; svelava a prima vista cosa le andava accadendo dentro, perché doveva succedere proprio a lei e proprio adesso, quando stava ormai quasi pensando ai nipoti, e lui stava li, seduto e aspettava, forse se ne andrà, forse non ci sarà più, fu colta da uno sgomento inspiegabile, che stranamente riguardava ambedue le possibilità: quella che lui rimanesse e altrettanto quella che se ne andasse, è un uomo mite e sensibile, forse capirà da solo cosa fare, probabilmente la sua decisione sarà quella giusta, si aggiustò i capelli per dargli ancora un po' di tempo, ma non c'era più scampo, mise le tazzine sul vassoio e gli portò il caffè. Stava seduto a tavola e fumava, e lei capì che ladecisione su cosa sarebbe successo doveva prenderla soltanto lei. Da solo non si permetterebbe mai di superare un certo limite, è troppo corretto e, forse, a parte nel suo lavoro, non abbastanza sicuro di sé. "Voi non prendete il caffè con me?" le domandò, "Nemmeno vi sedete con me?" "Il personale non può starsene seduto con i clienti", disse. "Ma non c'è nessuno." "Potrebbe venire qualcuno." "Ma su, si sieda." B'alzò in piedi e le offrì la sedia. "Non si può, ma se volete, potete sedervi in cucina. Se viene qualcuno, uscirete sul corridoio." "Prendete anche voi il caffè. Ve lo faccio io."
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