Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

mente pochi sposi; infatti, la maggioranza degli uomini teme la vera bellezza che si distingue dalla media e che certamente esige un riguardo e una cura particolari. Pensava alla vita che aspettava sua figlia, e lo sgomento le invase il cuore immaginando se stessa, come Marcella, con davanti a sé ancora decine di anni deserti, incogniti e incerti, un incontro, un matrimonio, dei figli e poi soltanto, la cosa più difficile, quel tempo banale che passa e non passa mai, e l'invecchiamento, e il logorio che si affacciano incredibilmente presto. Forse avrebbe dovuto vivere per proteggere la figlia ma sapeva fin troppo bene che non c'è salvezza per nessuno, che non ci si può far carico delle pene altrui e ciò, dopo tutto, non è che giusto. Avrebbe desiderato poggiare le mani sulle spalle della figlia, spiegarle quanto fosse importante il momento dell'unione con un'altra persona, quanto questo potesse determinare, disperatamente e in modo definitivo, tutta la vita, come un passo falso o una disgrazia attirino facilmente le altre e dopo non c'è scampo, non c'è rimedio. Ma chi avrebbe creduto senza provarlo personalmente? Chi lo avrebbe creduto mai che anche il più felice destino è colmo d'incertezze, di rinunce e di angosce? "Perché ce l'hanno sempre con me?", disse la figlia subito con una voce piagnucolosa, "perché non mi lasciano in pace?". La signora Katonova cercò di tirarsi un po' più su, per vedere meglio la figlia. "Che cosa vogliono da me? Cos'è che li stuzzica tanto?", si lamentava Marcella. "Un'altra volta?" Non era la prima volta che la figlia tornava a casa in lacrime. "Non gli va bene niente, cominciano subito a prendermi in giro facendo i versacci. Dicono che in famiglia abbiamo le mani lunghe. Che voi rubate tutt'e due." La signora Katonova sorrise con sollievo. Era vero, una volta tanto tempo fa, quando era ancora giovane e inesperta, c'era stato un ammanco nel negozio e poi la condizionale, ancora oggi non sapeva come fosse successo, decisamente senza intenzione, forse per distrazione o per troppa fiducia. Anche il marito era stato davanti al giudice con tutta la banda del mattattoio, rubavano tutti e se voleva rimanere con loro doveva seguirli, non c'era scampo, ne aveva avuto per un anno, ma poi era venuta l'amnistia e così era rimasto dentro soltanto due mesi. "Lasciali parlare. La gente è invidiosa, lo capirai da te. Molto invidiosa e maligna. Le ragazze che te lo dicono hanno sicuramente problemi con le loro insicurezze." "Ah, certo, la Horakova è lentigginosa come se avesse sbattuto il muso nello sterco", ridacchiò Marcella, malignamente soddisfatta per un istante. "Ma sono quattro contro una", ricominciò, "oggi mi hanno tirato fuori dalla cartella l'assorbente e poi l'hanno ficcato nel banco di Belic. Tutti ridevano di me." · Antonie Katonova non l'ascoltava più, le venne in mente il ricordo di quando, ancora prima della guerra, andava a scuola scalza coi vestiti rattoppati, smessi dai fratelli, anche lei la prendevano in giro, non v'era una sola cosa bella in quell'infanzia, si andava a sedere in mezzo al fieno in soffitta, come fosse un osservatorio, e già da lontano riconosceva il particolare tintinnio della meravigliosa bicicletta del ragazzzo venuto dalla città, aveva fatto un foro segreto nel tetto per vederlo filare sulla strada. Non c'era paragone fra lui e i ragazzi di campagna, sozzi ed eternamente occupati negli lavori umili delle fattorie e con i loro veicoli arrugginiti, scachicchiati dalle galline! Era stato il suo primo amore, strettamente celato, mai svelato, e gliene era rimasta per sempre l'immagine d'amore e segretezza, tanto che nemmeno anni dopo le era venuto in mente che poteva e STORIE/TREFULKA55 doveva esserci un'affinità fra quel rapporto pubblicamente accettato, con i suoi corteggiamenti paesani e gli accordi mezzani che portavano al matrimonio, e quel sentimento che aveva conosciuto allora, in quel breve periodo fra l'infanzia e la maturità. Soltanto quando si era trovata da sola col marito nel buio della stanza, soltanto quando lui aveva cominciato ad irrompere nel suo corpo, si era spaventata, ma per quel che ne sapeva, così si faceva. Immaginava che così doveva essere e credeva che gliene sarebbe venuta una certa indipendenza dalla famiglia e l'immagine rispettata di donna sposata. La sola cosa che provava ancora per lunghi mesi in camera da letto era la paura e il disgusto e soltanto la premura del marito le fece superare alla fine il periodo in cui avrebbe voluto scappare, per non passare la notte con lui. Gli rimase grata per sempre quando finalmente, per la prima volta, le fece provare la gioia per la vicinanza di un corpo estraneo, e per parecchi anni pensò che quella gratitudine fosse ciò che la gente chiama amore. Si può forse parlare con qualcuno al mondo di queste cose? È forse possibile trasmettere le proprie esperienze ad altri? E avrebbe, poi, senso? "Mamma, stai bene?" La figlia intuì improvvisamente che la madre non l'ascoltava, che aveva le sue preoccupazioni e forse anche dei dolori. Che abbia bisogno di me? Ma come mi giudicherebbe se venisse a sapere cosa è realmente successo, fra il giovedì e il venerdì dell'altra settimana, nel locale Al Belvedere? O addirittura, per 'l'amor del cielo non sia mai, anche quello che era accaduto prima, per quattro interi, lunghi, bellissimi mesi, per quattro brevi e disperati mesi? Ma nessuno doveva venirlo a sapere. Per questo Antonie'Katonova era disposta a morire, supponeva che la signora Hortova non avrebbe parlato e che iIsignor Ondrusek non ne sapeva abbastanza per svelare alla gente la verità con i suoi discorsi, o almeno, ciò che avrebbero potuto ritenere fosse purtroppo la verità. La signora K. abbozzò un sorriso. "Ti serve qualcosa?" Al cenno della madre portò via il vaso e lo rimise sotto il letto. "Di quelle chiacchiere a scuola meglio non dire niente a papà. Sarebbe capace di andare dal maestro e scatenare un finimondo. Non servirebbe a nulla." "Lo so" disse la figlia. "Ma sul resto puoi dirgli tutto. Ti aiuterà sempre. È un uomo buono." "Lo so mamma, davvero non ti senti male?" L'inconsueta sensibilità della figlia la sorprese. Per fortuna non rimaneva in casa tutta la giornata. Sarebbe stata una sofferenza fingere davanti a lei. "No. Ho forse un aspetto così penoso?" "Non sei mai stata così pallida." "È solo una tua impressione. È il sano colorito della locanda." "Mamma, allora posso andare a ginnastica?" "Perché non ci dovresti andare? Se non hai da studiare?!" "Soltanto la geografia. Ce la faccio benissimo stasera." "Allora va'. Non preoccuparti." La figlia si rianimò improvvisamente, dimenticando le preoccupazioni e i dispiaceri. Cantando stonata salì con fracasso nella sua stanza. Le porte dell'armadio sbatterono e scricchiolarono. "Dimenticherà", si diceva la signora Katonova. "Entro un anno e un giorno dimenticherà. Alla ginnastica s'aggiungeranno le prime lezioni di ballo e i primi ragazzi. E fra cinque anni verrà alla mia tomba al massimo il giorno dei morti, come io vado alla tomba di mamma. Starà lì, così come vi sto io, imbarazzata e coi rimorsi, perché, con tutta la buona volontà non sento commozione, non riesco a risuscitare alcun ricordo piacevole, una parola, un gesto." La mamma aveva cinque figli, Antonie era l'ultima. Può darsi

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