54 STORIE/TREFULKA la verità, la stanza per lui non esisteva, e anche se fosse stata coperta di tappeti persiani e rivestita d'oro, al nuovo arrivato non avrebbe fatto alcun effetto. Apparteneva a quegli uomini che in nessuna circostanza distinguono una stanza ordinata da una disordinata, a meno che non ne siano esplicitamente avvertiti. "L'acqua e i bagni sono purtroppo al pianterreno." Il polacco alzò le spalle. "Non sono un invalido." S'avvicinò alla finestra e l'aprì. Da fuori si sentivano le galline e l'abbaiare del cane. "Se avesse bisogno di qualcosa, rimango al banco fino alle dieci." "Lei è molto gentile." Il signor Jasiczek le si accostò e di nuovo le baciò la mano. Questa volta lo lasciò fare. S'accorse che i suoi capelli biondi erano sulle tempie un tantino più biondi. "Ma no, affatto", disse e fuggì dalla stanza come una ragazzina, rallentando il passo soltanto all'ingresso. La signora Hortova, con un sorriso malizioso, anzi, piuttosto maligno, osservava saccente tutto dalla porta deUa sua casa. Era una donna di molteplici esperienze, ostentava quell'intelligenza quasi impudente che si affina soltanto dopo una vita passata dietro il bancone a contatto con i clienti. Ancora ieri confabulava insieme all'ostessa su come sbarazzarsi rapidamente dell'ospite. "È un bel pezzo di uomo", disse ora la signora Hortova. "I polacchi, quando vengono su bene ..." La signora Katonova non replicò perché sapeva che non sarebbe servito a nulla. Soltanto allora si rese conto che la sensazione che stava provando rassornigbava a quell'ultima di sedici anni prima, quando, allo spaccio vicino alla chiesa, veniva dal villaggio un giovanotto che trascorreva le vacanze estive con i genitori in una villa vicino alla fabbrica. A quel punto si spaventò. Praga Fotodi Don lamont/Malrix/Grazia Neri. 2. Per prima rientrò a casa Marcella. La signora Katonova riconobbe quella disordinata di sua figlia da come entrò canterellando quell'insolente motivetto di cui non si liberava nemmeno mangiando, da come aveva sbattuto la porta del!' ingresso, da come si era tolta le scarpe e le aveva scaraventate contro il muro. Più di una volta l'aveva schiaffeggiata per i suoi modi insopportabili, ma non era servito a nulla. Marcella era in quell'età in cui forse ogni richiamo è inutile. Ai rimproveri reagiva con ira e pianti isterici o 1idendo con sarcasmo, poi per un paio di giorni era una percorella che aiutava in modo esemplare la madre in casa. Ci si poteva aspettare qualsiasi cosa da lei. La signora Katonova alla fine decise che sua figlia più che di rimproveri aveva bisogno di essere ogni tanto incoraggiata. A scuola non andava poi molto bene e, anche se sparlava delle sue compagne che andavano meglio, si vedeva, comunque, che qualche volta le invidiava. "Ciao, ma'!" La signora Katonova si era accorta che la figlia aveva gli occhi un po' an·ossati e che era un po' strana. In cucina si muoveva cautamente ed era insolitamente silenziosa. Aveva lavato i piatti della colazione senza farsi pregare. Non frugava nemmeno nella dispensa in cerca di cose dolci, che lamadre nascondeva. La signora Katonova seguiva con gli occhi imovimenti maldestri della ragazza quattordicenne, valutando la sua figura ancora goffa e acerba; le mani ossute che ricordavano piuttosto le ali piegate di un tacchino spennato, il volto in cui prevalevano i tratti del padre, raffinati ma influenzati da sconosciute e incalcolabili forze, che vi avevano aggiunto tracce della risaputa bellezza, un po' austera, della nonna. Avrebbe desiderato per la figlia un aspetto più banale e leggiadro, perché quel volto, se continuava a maturare così come si presentava adesso, avrebbe avuto molti ammiratori e corteggiatori ma probabil-
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