Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

ambivalente. Sapeva e riconosceva che, a parte i dati fondamentali, non era veritiero nell'attribuire determinate motivazioni agli eroi del lavoro - ecco perché non riusciva a leggerlo con continuità - d'altra parte, però, per lui era anche un riconoscimento e pur parlandone con disprezzo, non riusciva a celare una certa soddisfazione. Il fatto che si scrivessero questi libri sugli operai lo commuoveva e credeva fosse giusto farlo, ma in modo diverso e soprattutto meglio, perché a suo modo era orgoglioso di suo padre, un abile artigiano capace di riparare tutto, dalla trebbiatrice all'orologio, uomo responsabile e dotato di una laboriosità spontanea e naturale, che ne avevano fatto una di quelle persone modeste senza le quali la società non potrebbe funzionare. Strano, pensò Antonie, che Vojtech avesse lasciato proprio questo libro, ma forse anche per lui era troppo voluminoso e, a causa della precipitosa partenza, non sapeva dove metterlo, oppure lo aveva semplicemente dimenticato. Per l'ultima volta guardò la stanza dove aveva vissuto igiorni più belli della sua vita, e soltanto ora si rendeva conto che tutto era finito e la sua mente era capace di registrare, senza deformazioni, ciò che i suoi occhi realmente osservavano; quanto la stanza fosse irrimediabilmente misera, una stanza in soffitta in una locanda di campagna, scioccamente pitturata come un saloncino in un ristorante moderno, dalle superfici irregolari, con certi colori e linee ... delle paperelle sull'acqua nel canneto, l'angolo del soffitto umido, una vecchia stufa, un lavandino, una porticina nell'angolo che conduceva alla soffitta con dei vecchi materassi. Già molto tempo prima che lei ne assumesse la gestione, la direzione dell'azienda aveva deciso che le stanze non rispondevano più alle attuali esigenze per alloggiare gli ospiti e l'esercizio alberghiero era stato abolito. Quando però non si era saputo dove sistemare Vojtech, il consiglio comunale si era ben ricordato delle stanze vuote della locanda ed aveva fatto un'eccezione, benché la signora Hortova, ex proprietaria della locanda e del l' appartamento, avesse protestato a più non posso. Per accedere alle stanze, infatti, si passava per l'ingresso della sua casa. Ma non era servito a nulla e un tetro pomeriggio da una Varsava infangata era sceso il segretario comunale insieme ad un uomo che a prima vista non suscitava alcunché di particolare. Dalla finestra della mescita Antonie Katonova lo guardava girare intorno alla macchina. In cappotto a tre quarti imbottito, appariva tozzo e goffo, il cappello con una lunga visiera gli copriva il viso e la sola cosa che l'ostessa sentisse in quell'istante era rabbia, perché glielo avevano piazzato lì contro la sua volontà, perché era un disturbo e un sacco di lavoro in più, la locanda infatti non era adatta ad ospitare i clienti e non c'erano né cameriere né donne delle pulizie. Quando però l'uomo entrò nella mescita, avvenne qualcosa che Antonie nemmeno ora, ormai sul letto di morte, riusciva a comprendere bene. L'uomo aveva i capelli color oro, gli occhi azzurri e per prima cosa le baciò la mano, cosa che mai le era successo nella vita. Ritirò istintivamente la mano e arrossì subito, perché capì all'istante che la sua mossa era stata inopportuna e imbarazzante. Di colpo desiderò sapere cosa pensasse di lei il nuovo arrivato e si vergognò di non aver dedicato alla sistemazione della stanza sufficiente attenzione, di non aver pulito a dovere il pavimento, di averci passato soltanto uno straccio umido, di non aver lavato e steso le tende, anche i letti li aveva fatti così alla meglio con delle lenzuola che, sebbene non bucate, erano talmente lise da far trasparire i materassi macchiati. Fin da piccola era abituata a sentire parlare polacco in quella regione, capì dunque che l'uomo le stava chiedendo prolissamente e con cortesia tutta polacca delle scuse,' e il suo imbarazzo non fece che aumentare.· STORIE/ TREFULKA 53 Rimase ferma al banco, incapace di muoversi e di parlare, indecisa se servirsi delle sue scarse e approssimative nozioni di polacco o se parlare invece in ceco. "Sono onoratissima", balbettò. Mai in vita sua aveva pronunciato una frase del genere, e se non avesse incontrato quell'uomo nemmeno le sarebbe mai venuta in mente. "Le presento il signor Vojtech Jasiczek", disse il segretario comunale, "è un uomo modesto, non vi creerà problemi." L'uomo ripeté il suo nome e riprese a scusarsi con fervore, questa volta per non essersi presentato subito.L'ostessa bisbigliò il proprio nome e irritatissima per il proprio imbarazzo, nascose la mano dietro la schiena che, per carità, non la baciasse di nuovo. Non ricordava che le fosse mai accaduta una cosa simile. "Vuole della birra?" Cercava scampo nei movimenti abituali e nelle operazioni di sempre. "li signor Jasiczek vorrebbe prima di tutto appoggiare la valigia e lavarsi le mani", disse il segretario. "Certamente, la stanza è pronta", disse con esitazione. Avrebbe voluto correre di sopra per riparare il riparabile. Nel locale c'era soltanto il signor Ondruscek, un vecchio uomo solo, che si occupava dei cavalli della cooperativa. Era un ospite abituale, di cui poteva fidarsi. Fece segno con la mano che andasse tranquilla, ch'egli sarebbe stato attento ai suoi armadietti e alla sua cassa, come aveva già fatto tante volte quando lei doveva andare in cucina o in cantina. Antonie fece un inchino all'ospite e lo condusse verso il corridoio e per le scale al primo piano, dove suonò alla porta della signora Hohova, perché per arrivare nelle stanze degli ospiti si passava attraverso un ingresso usato adesso dalla signora Hortova come anticamera e ripostiglio insieme. La signora Hortova aveva più di settant'anni ma era sempre stata attiva ed energica, emanava sicurezza grazie forse al suo lavoro e alla sua posizione ed esperienza di vita. Infatti, anche in questa occasione mostrò una notevole presenza di spirito lasciandosi baciare la mano senza resistenza, come una regina, e non esitò a rivolgersi all'ospite nella sua lingua nativa. "Spero che queste cianfrusaglie non vi diano fastidio. Mi hanno confiscato la casa vicino alla chiesa cedendomi generosamente questo buco", disse in polacco. L'anticamera era piena di vecchie poltrone, tavoli e armadi, vecchi vassoi di mele e sacchetti di funghi ed erbe secche, tanto che si poteva camminare soltanto per un passaggio lasciato nel mezzo. "Avrei dovuto bruciare tutto", disse la signora Hortova, "ma sa, è duro per i vecchi congedarsi dalle cose. Come se con quelle cianfrusaglie se ne andasse una parte della vita." Il polacco aspirò quell'aria stantia, leggermente profumata. "Mi ricorda le vacanze dalla nonna", disse. Antonie lo condusse per la scaletta nella mansarda mentre con tutto il cuore desiderava che qualcosa lo costringesse a fermarsi, avrebbe volutomettere la stanzaperfettamente inordine edabbeLLirla. Ma non successe assolutamente nulla. Volente o nolente dovette aprire la porta, che scopri un linoleum consumato e una stanzetta dove l'aria non era stata cambiata da un mese, con vista sulla cima di un vecchio pero. "Veramente l'aspettavo soltanto domani", si scusò "pensavo di avere tempo sufficiente ancora nella mattinata". Sembrava che di tutta la stanza il signor Jasiczek vedesse soltanto la finestra e il movimento dei rami fioriti che coprivano e scoprivano il panorama delle colline adiacenti. "È bellissimo qui", disse l'uomo, "non potevo desiderare di meglio, per me una vista così è quasi esotica". La signora Katonova non rispose, sapeva che il polacco diceva

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