Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

. 52 STORIEDALMONDO: REPUBBLICACECA -Jan Trefulka ALBELVEDERE traduzionedi MarianaRonovaServili con la collaborazionedi ClaraPellicciotti Jan Trefulka (Brno, Moravia, 1929),ha studiatoalle universitàdi Praga e di Brno laureandosi in Scienze letterarie ed Estetica. Dopo l'ingresso delle truppe del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia,i suoi scritti venneromessi all'indice e la rivista letterariapressocui lavorava comecaporedattorefusoppressa.Trefulkafu unodeiprimifirmataridella Carta77. I suoiraccontie romanziuscirononel SamizdatcecoinCanada, Germania, Francia e Svezia, e solo nel 1990 furono pubblicati nella Repubblicaceca.Da alcunedellesueoperesonostatetrattesceneggiature cinematografiche. 1.Antonie Katonova sapeva di morire presto. Anche se avesse fatto chiamare il medico dell'ambulatorio, non avrebbe <saputo spiegargli cosa le faceva più male. Il petto, la pancia, la schiena, la nuca, le cosce: non c'era un posto che non fosse indolenzito e anche il minimo movimento della testa le procurava malessere e vertigini. Il dolore nelle viscere le toglieva via via le forze ma, paradossalmente, sembrava nutrirla allo stesso tempo; ciò che il corpo prima percepiva come delle fitte acute ora si trasformava in una leggera pressione, ciò che prima le bruciava, ora si andava spegnendo, ciò che prima pungeva ora le si scollava di netto dal corpo. Antonie era sempre stata dura con se stessa, non aveva pianto nemmeno durante il primo parto, e se è vero che il parto è per una donna l'unità di misura del dolore, è anche vero, che in fin dei conti, morire per lei era sopportabile; riusciva a nascondere la sofferenza e a momenti persino sorrideva al marito e ai figli. La signora Katonova stava a letto in cucina, non perché nella casetta che si erano costruiti insieme al marito non ci fosse abbastanza spazio - dietro la cucina c'era un'altra stanza, poi accanto una camera da letto e sopra nella mansarda le due camere dei ragazzi - ma perché i Katon, quando stavano male, erano soliti trasferirsi in cucina. Era infatti la cosa più pratica, il malato era a portata di mano, era facile accudirlo e distrarlo, non si sentiva escluso e abbandonato e, qualora rimanesse solo a casa, poteva facilmente farsi un tè o scaldarsi il pranzo. Del resto, finora si era trattato soltanto di malattie banali. I Katon erano gente sana, qualche tonsillite, qualche influenza, morbillo, rosolia e la gamba fratturata di Martin. Le malattie in casa Katon si affrontavano con un certo umorismo; non mancavano mai delle battute bonarie, maliziose e sarcastiche, così tùtti si diverti vano e il malato guarì va prima. Antonie non voleva assolutamente rompere con la tradizione familiare; primo perché era una tradizione, ma soprattutto perché non si accorgessero della gravità delle sue condizioni e non la portassero all'ospedale. Benché sapesse che all'ospedale sarebbe stata più tranquilla, visto che le chiacchiere familiari a volte la infastidivano, tanto che doveva fare uno sforzo per rispondere col sorriso, e benché sapesse che ali' ospedale potevano forse aiutarla e salvarla dalla morte, la signora Katonova non voleva andarci a nessun costo. Riteneva di avere dei validi motivi per non desiderare che la salvassero. Le sembrava che per salvarsi avrebbe dovuto pagare un prezzo troppo alto, e non lo avrebbe pagato soltanto lei, ma anche i suoi figli, Marcella e Martin - ad ambedue avevano dato un nome che comincia con la emme per evitare di ricamare due volte le loro iniziali sugli asciugamani per la scuola materna e sulla biancheria per il campeggio dei pionieri. Il prezzo lo avrebbe pagato anche suo marito, che in fin dei conti non c'entrava niente e al quale non augurava nulla di male. La signora Katonova preferiva mentire a figli e marito per nascondere la verità, certamente incomprensibile e terribile per loro, nonostante fosse incredibile anche per lei e assolutamente inspiegabile per chiunque avesse osservato le cose dall'esterno. Tutto ciò era spaventoso ma nello stesso tempo indicibilmente bello ed edificante, c'era in lei qualcosa cui non avrebbe rinunciato per tutto l'oro del mondo, e se qualcuno ora le avesse dato la possibilità di evitare l'incontro con Vojtech, con tutte le relative conseguenze, avrebbe rifiutato, forse stupita e sorridente come Monnalisa, senza gesti plateali, ma avrebbe decisamente rifiutato. La signora Katonova aveva detto al marito ed ai figli ch'era andata dal medico; in realtà aveva preso una settimana di ferie supponendo che per morire una settimana sarebbe stata sufficiente e che nessuno avrebbe saputo dire con certezza quale fosse stata la causa della sua morte e quindi nessuno ne sarebbe stato accusato o giudicato. Venerdì mattina, parlando per telefono con la direzione del locale, era apparsa tranquilla e concisa. Non c'era effettivamente alcun motivo per rifiutarle le ferie, perché ne aveva diritto e non era ancora alta stagione. La locanda Al Belvedere sarebbe rimasta semplicemente chiusa per una settimana, in fondo si faceva così già da alcuni anni. Il locale, di cui la signora Katonova era gestore ed anche l'unico dipendente, era frequentato fuori stagione soltanto da un paio di clienti abituali, da un gruppetto di giovanotti giocatori di biliardo e dai bambini delle case vicine che venivano a prendere la birra con bricchi e caraffe. Venerdì mattina, pur soffrendo come un animale ferito, la signora Katonova era riuscita, con l'aiuto della vecchia signora Hortova, ad arrivare ancora fino al telefono, chiudere a chiave la cantina, il magazzino, il banco, ed era anche salita nella mansarda per entrare nella stanza dove aveva alloggiato Vojtech. Aveva trovato soltanto un letto rifatto con la negligenza di un uomo, e un armadio aperto, sul quale era sempre rimasto poggiato un paralume spaccato. Non aveva scoperto nulla di compromettente né per sé, né per Vojtech. Non aveva lasciato nessuna lettera- tanto era sensato, purtroppo. Nel cassetto del comò c'era soltanto un libro, la biografia degli eroi del lavoro socialista con una dedica del consiglio aziendale dell'Unione sindacale rivoluzionaria per l'esemplare impegno nel lavoro. Antonie esitò un attimo: forse avrebbe dovuto prenderselo per ricordo, ma scacciò immediatamente quel pensiero, sia perché il libro era troppo voluminoso, sia perché era in polacco, ma soprattutto perché non sapeva dove nasconderlo, perché nessuno a casa potesse trovarlo dopo la sua morte e cominciasse a chiedersi perché mai l'avesse preso in prestito. I gialli li aveva portati tutti con sé, pensò, senza intenzione di svalutare Vojtech ai propri occhi, o di sminuirne l'intelligenza o di dubitare delle sue scelte letterarie. Sapeva infatti ch'egli sfogliava ogni tanto quel libro ma lo riponeva subito insoddisfatto, non aveva mai accettato di buon grado che lei ci scherzasse sopra chiamandolo la biografia dei santi o la favola per idioti. Vojtech aveva con questo premio un rapporto

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==