Si ricordi che l'unica garanzia che le schede fossero quelle votate dagli elettori in mancanza di un registro e data la ovvia facilità di stampare schede false, era costituita dalla autenticazione con il timbro apposito e dalla continuità della custodia delle schede dal momento del voto a quello della convalida e del conteggio. Perciò i timbri e le schede dovevano essere in numero fisso, e consegnate ai responsabili di seggio, e le urne dovevano essere solide e sigillate (in effetti erano metalliche e non facilissime da montare). Inoltre, la Independent Electoral Commission, la sezione della magistratura che presiedeva a tutto il processo elettorale, dirigeva i quasi 350.000 addetti, applicava le decisioni del Parlamento e del Governo, prendeva le decisioni operative, aveva dovuto far stampare 25 milioni di adesivi col simbolo del partito che si eraaggiuntoall'ultimo momento e che andavano collocati sulle schede, una per una, al posto giusto, nelle sezioni. L'energia elettrica era indispensabile non solo per la sicurezza (le operazioni cominciavano quando ancora era buio e finivano a notte fonda, anche perché gli elettori presenti nell'area di rispetto della sezione avevano il diritto di votare prima della chiusura) ma anche per far funzionare le macchinette a raggi ultravioletti. Chiunque abbia provato a far funzionare gli amplificatori di una sala per conferenze pensi ai ritardi che si possono produrre per un falso contatto. Le operazioni di voto erano in effetti velocissime, ma hanno stentato a partire e, una volta partite, in molte sezioni hanno esaurito le schede con grande rapidità. È accaduto che tutti hanno sbagliato a calcolare il numero degli elettori dell'inizio del primo giorno e che i presidenti di seggio autorevoli, tipicamente boeri con compiti importanti nella pubblica amministrazione, sono riusciti a farsi consegnare fin dall'inizio tutti i materiali in buono stato e schede sufficienti per i tre giorni; i meno autorevoli si sono accontentati di quello che i funzionari gli hanno dato. Del resto capita anche a me di DALSUDAFRICA 3 fidarmi delle affermazioni dei funzionari e non c'è bisogno di scomodare il colonialismo per spiegare la differenza di comportamento: le classi sociali bastano e avanzano. Mentre scrivo è passato più di un mese dal ritorno dal Sudafrica; le emozioni, molto forti, si attenuano; tendo a ricadere nelle idee ricevute, storiche, sociologiche, economiche, letterarie, non so quanto modificate da ciò che ho visto, dal la commozione e dal sollievo delle elezioni riuscite. Ho letto ancora sul Sudafrica in questo mese, naturalmente; in particolare i racconti del numero di maggio di "Linea d'ombra" e un intervento di Breytenbach sulla "New York Review of Books". Devo dire che l'intervento di Breytenbach, precedente le elezioni e pronunciato in una università sudafricana, dopo aver rivisto il paese, subito prima delle elezioni, sembra non aver percepito minimamente l'evento che si preparava, la possibilità di una così grande prova di partecipazione e di realistica collaborazione. In effetti, il segno della svolta è stato l'intervento dell'esercito per reprimere la violenza degli estremisti boeri a sostegno della secessione del governo ribelle del Baphutotswana. La grande disciplina ed efficienza (e cortesia) di tutte le forze armate e polizie del paese, in particolare nei confronti degli osservatori internazionali, non sono state che un corollario. , I racconti pubblicati da "Linea d'ombra", assai più vecchi, sembrano per molti versi assai meno datati. Si riconoscono anche in pochi giorni la durezza e il rispetto delle regole de,iprotestanti e il degrado dei ghetti urbani neri. La mia impressione però è che tutti, bianchi e neri, siano protestanti in Sudafrica (non solo nel senso che appartengono ad una qualche confessione protestante) e che questa sia una grande risorsa, un terreno di incontro. Foto di Ron Haviv/Saba-Réa/Contrasto.
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