AHia Hosain ' LAFENICEFUGGI traduzione di Laura Bandì La scrittrice indiana Attia Hosain (Lucknow, 1913) conobbe un notevole successo negli anni Cinquanta in Gran Bretagna, dove tuttora vive e dove furono pubblicati, dalla Virago, i suoi due romanzi, Phoenix Fled eSunlight on a Broken Column, una testimonianza delle esperienze politiche, sociali e culturali che segnarono la storia dell 'lndia negli anni Trenta e Quaranta. Tutti coloro che vivevano al vi IIaggio e nelle capanne circostanti la conoscevano. Nella loro mente associavano la sua immortalità con l'esistenza del villaggio. Entrambi erano fatti accettati senza obiezioni fin da quando era nata la coscienza. Era così vecchia da essere divenuta immobile nel tempo, non avrebbe mai potuto invecchiare ancora, sicuramente non era mai stata giovane. La sua pelle secca e rugosa cadeva molle attorno allo scheletro impaziente. Le chi udeva gli occhi in pieghe, nascondendo la cornea ingiallita che circondava pupille opache. Eppure la vista,: che le restava era abbastanza da non consentirle di capire che la stava perdendo. · Usava le mani rinsecchite per afferrare debolmente, le dita storte per toccare goffamente, le gambe arcuate per trascinarsi precariamente, e non gli occhi ma la familiarità del tempo per vedere e riconoscere il suo mondo circoscritto ed inalterabile. Negli anni il fango delle pareti non era mutato, gli stessi archi di legno sostenevano lo stesso tetto spiovente di paglia, la stessa casa di bambole ritagliava un angolo del piccolo co1tile. E la pesante porta di legno che conduceva al l'esterno emetteva lo stesso cigolio di avvertimento quando si apriva e la stuoia che faceva da tenda veniva sollevata. Questo era tutto il suo mondo mentre giaceva sul letto di corda - le pareti, gli archi, la casa della bambola, la tenda, la porta che conduceva al mondo là fuori. Quel mondo era cambiato, accelerando il passo con fretta chiassosa. Mentre giaceva sul suo letto, con le labbra avvizzite che si muovevano in costante preghiera, sentì il suono impaziente di un clacson, e lo stridore desolato e distante del fischio di un motore. A volte quel mondo estraneo penetrava oltre la porta cigolante. Un nipote, una nipote, un visitatore dalla città sollevava la tenda. Erano intimiditi nel chinarsi verso di lei per raccogliere il suo abbraccio, abbassavano gli occhi, si coprivano il capo e negavano il mondo che violava i suoi principi, dove uomini e donne passeggiavano e parlavano assieme. I suoi occhi erano protettivamente offuscati davanti a nuovi stimoli, le sue orecchie insensibili a nuovi suoni. Pure erano vivaci e sottili quando i pronipoti, i piccoli, si fiondavano attraverso la porta. Non c'era conflitto di mondi allora, ne condividevano uno creato dal loro amore giovane e allegro, che non era piatto, ad una dimensione, ma arricchito di spessore e forma la danzatrice Anjali Hara, Bombay 195 l. Foto di Werner Bischof/Magnum/Controsto
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