John Berger STORIENECESSARIE INCERCADIVOCE IncontroconMariaNadotti John Berger che, per chiosare il titolo di una sua celebre sceneggiatura cinematografica, in Italia sarà scoperto nel Duemila, è nato a Londra nel 1926 e ha al suo attivo una quantità di romanzi, racconti, saggi, poesie, sceneggiature, testi teatrali tradotti in varie lingue, nonché una pingue produzione come disegnatore e come documentarista. Delle sue opere, a tutt'oggi, da noi sono comparsi solo iI romanzo G. (Garzanti, Milano 1974) e Le tre vite di Lucie (Gelka, Palermo 1992), primo volume della splendida trilogia lnto Their Labours. G., che nel 1972 ottiene il prestigioso premio letterario Booker McConnell (alla cerimonia di consegna l'autore denuncia la Booker McConnell Corporation e le sue piantagioni di canna da zucchero, destinando metà della somma ricevuta alle Black Panthers di Londra, un gruppo di attivisti originari delle Indie occidentali in lotta contro il neo-colonialismo. L'altra metà va a finanziare A Seventh Man [1975], un libro sull'esperienza di milioni di lavoratori emigrati in Europa e sulla perpetuazione di un sistema di sfruttamento destinato ad arricchire i paesi già ricchi, mantenendo gli stati "periferici" in una condizione di attivo e persistente sottosviluppo) è ormai considerato un classico della narrati va postmoderna. Le tre vite di Lucie apre uno straordinario progetto, storico e letterario insieme, in tre volumi, dedicato agli "umili" o ai "semplici" del nostro tempo. Contadini, braccianti, pastori, gente che lo sviluppo industriale spinto degli ultimi decenni, le migrazioni forzate, l'inurbamento massiccio, la perdita di radici linguistiche e geografiche, la scomparsa del lavoro artigiano, qualificato, insostituibile, l'imporsi di sistemi comunicativi sempre più astratti e disancorati dal principio della comunità e dello scambio fisico hanno costretto ali' amnesia o alla resistenza. Alternando fiction e saggistica (Berger è uno dei massimi e più innovativi critici dell'arte di questo secolo. Si vedano i suoi: The Success INCONTRI/ BERGER 41 and Failure of Picasso [ 1965], Art and Revolution. Ernst Neizvestny and the roleoftheartistinthe U.R.S.S. [ 1969], WaysofSeeing [1975], TheSense of Sight [1985] oltre ai davvero inclassificabili And our face, my heart, brief as photos [ 1985] e Keeping a Rendezvous [1991]), giornalismo (ha scritto per varie testate tra cui "New Society", "Guardian", "The Nation", "Village Voice", collabora regolarmente con "El Pais" e "Frankfmter Rundschau" e, da appassionato, scrive di motociclismo per riviste specializzate), teatro (in collaborazione con Nella Bielski ha scritto A Question of Geography e Francisco Goya's Last Portrait), televisione e cinema (sue, tra altre cose, le sceneggiature di vari film di Tanner), lo scrittore è riuscito a sottrarsi ad ogni etichetta specialistica e a ricavarsi un suo spazio franco di ricerca e di lavoro, lontano da accademie, istituzioni e gruppi di potere. Coerente, in questo senso, anche la scelta di lasciare la città e di andare a vivere, ormai da vent'anni, in un piccolo villaggio ·delle Alpi francesi. Oggi Berger s·tacompletando un nuovo romanzo, To the Wedding, che nell'autunno/inverno prossimo uscirà contemporaneamente in vari paesi europei e negli Stati Uniti. L'intervista chiestagli per "Linea d'ombra" nel settembre scorso è andata a poco a poco trasformandosi in un via vai sempre più amichevole e curioso di fax e lettere. Bilateralmente curioso. Lo dico non per esibizionismo, ma perché questa è una delle chiavi per capire la "metodologia" di Berger, il suo modo di guardare il mondo o di starci immerso. Un metodo che assume lo sguardo a strumento di relazione e scambio e rifiuta dunque ogni ipotesi di unidirezionalità, non reciprocità e, tanto più, di immobilità o fissità. L'intervista ha finito così per essere un prolungato , e divertito incontro a distanza, conclusosi in cinque giornate (dal 6 al IO apri le) passate insieme a perlustrare le valli di Comacchio alla scoperta del mistero delle anguille e a diventare amici. Alla mia richiesta Berger aveva contro~roposto infatti una sorta di baratto: io mi lascio intervistare, ma tu mi aiuti a esplorare quel paesaggio d'acqua e cielo, più strano delle piramidi, che fa da culla all 'economiadell' anguilla. Il romanzo che Berger sta scrivendo in questi mesi, To the Wedding, termina.infatti con una lunga festa di matrimonio che ha luogo proprio in un piccolo ristorante alla "fine del mondo", dove il fiume diventa mare e il mare si incunea negli argini larghi del Po. Una festa senza tempo, magica, bufiueliana, che potrebbe non concludersi mai. Berger, che è un conoscitore sottile del nostro paese; voleva tornare sul posto, vedere con i suoi occhi come funzioni il ciclo dell'anguilla, questo pesce/serpente da cui dipende la sopravvivenza dell'intera area di Comacchio e su cui circolano le leggende più strane e contraddittorie: "mito e mistero" insieme, come con aria da cospiratori ci hanno confermato i pescatori e le guardie della Si.Val.Co (società che gestisce pesca e conservazione ambientale delle valli), mentori generosi e appassionati del nostro viaggio nelle labirintiche ingegnerie della laguna e nell'immobilità della storia. Ho avuto dunque il piacere di vedere Berger in azione e di farmi contagiare dalla sua voglia di capire, ascoltare, guardare, farsi raccontare. Un movimento centripeto, capace di produrre, attrarre e riprodurre energia, di rendere nitido l'ascolto e di dare senso e utilità riconoscibili a un progetto. Quello che segue è, ovviamente, un frammento di quanto ci siamo detti. A incontro avvenuto, non ho più nessuna difficoltà a capire come mai Berger, sui cui libri ci siamo formati in tanti, sia uno dei pochi scrittori contemporanei a cui altri scrittori dedicano, con gratitudine, i propri libri. Mi piacerebbeche miparlassi degliocchi.Non in generale,ma come strumento (privilegiato?)del tuo lavoro di scrittore, artista, critico. Credo (ma la rispostaarriva dopo una lungapausa di silenzio, come seBergerandassea cercare il pensieropiù esaurienteemeno sbrigativoper viadi scavo e di unaquasidolorosaconcentrazione) che la più intensa e aperta attività degli occhi, dello sguardo, si svolga nel disegnare. Davanti a noi c'è qualcosa e noi, con gli occhi, ne interroghiamo l'apparenza. In genere si crede che la cosa sia passiva e che siamo noi, guardandola, ad essere attivi. In realtà quel che succede quando si disegna veramente - e sono sicuro che chiunque abbia provato a disegnare inmodo non meccanico concorderebbe con me - è che, ad un certo punto, dalla cosa si sprigiona
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==