Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

26 STORIE/CHAN lui, la gambe e le braccia incastrate contro le strette mura della sua caverna marina. Vieni fuori, Alice, cantò, vieni fuori di lì. Mollò l'estremità della lenza di un altro pollice. Perché perdi il tuo tempo a pescare quella roba, diceva sempre. Te la posso comprare io a buon mercato. Perun dollaro a Chinatown, diceva sempre. Accorciò la presa e a due mani agganciò l'amo con uno scatto veloce e finalmente lo prese, questo pesce che passava per sua moglie. Sentì una violenta corrente di energia correre per tutta la lunghezza della lenza. Qualsiasi cosa fosse, era grossa. Guardò dietro di sé, valutando la distanza dalla spiaggia. L'acqua era troppo profonda per guadarla in linea retta, così costeggiò la polla fino all'ultimo punto di appoggio visibile e si trovò fuori dal l'acqua. Puntò tutti e due i piedi contro una massa di conchiglie di mitili, cercando di tenersi in equilibrio. Le tasche dei pantaloni gli versavano l'acqua del mare sulle gambe. Si puntellò, poi tirò forte, strappando il pesce dal suo nascondiglio. Lei fece un balzo dal fondo basso, quasi strappandogli la canna dalle mani. Il peso di lei ghermì la corta lenza, ghermì avanti e indietro l'estremità della canna, ed egli sentì le scarpe raschiare contro gli orli taglienti delle conchiglie, poi scivolare via. Atterrò su due piedi nell'acqua fino al petto. Ora la violenza era reale per lui. Troppo reale. Il pesce si slanciò dal fondale basso e saltò fuori dall'acqua. La canna gli scivolò dalle mani e lo ferì. Indietreggiò, con l'acqua verde e le alghe e la schiuma che gli schizzavano in faccia, con i piedi che scivolavano sul fondo roccioso. I piedi slittarono e lui atterrò pesantemente sulla ghiaia asciutta. La canna gli rimase tra le gambe. Alla sua estremità il pesce ansimava nella pozza salmastra. ,, Andasse al diavolo, non la voleva più. L'amo doveva aver attraversato la parte superiore della bocca. Il sangue inondava il bianco di un occhio sporgente. Si alzò e con un calcio spinse la canna nell'acqua. "Ehi, la canna è mia" gridò Herb dietro di lui. "E quello è il nostro pranzo!" I pantaloni inzuppati gli erano quasi caduti, e l'acqua del mare gli faceva bruciare le ferite delle mani e delle braccia. Sedette su di un pezzo di legno e guardò il pesce contorcersi lentamente, sostenuto alla sommità della testa dal duro spigolo di un osso, e poté vedere che la carne del ventre era di un azzurro brillante. Muori, Alice, pensò tra sé e sé. La coda spazzava avanti e indietro in una parodia d'agonia, le branchie si aprivano e chiudevano a scatti aspirando forte l'aria dai polmoni e soffocandola. Rossi granchiolini brulicavano intorno al pesce, tirandogli delicatamente le pinne. Di nuovo rotolò, con la faccia impalata all'amo, con la punta che luccicava attraversol'occhio pieno di sangue.C'era un'espressione maliziosa sulla sua faccia. Un sorriso suggerito dalle spesse labbra purpuree, con la lenza che tirava la bocca in su, divenne un sogghigno che apparteneva asuamoglie, alla sua exmoglie. Sembrava soddisfatta. Perché no? Aveva appena mangiato. Herb apparve sulla scogliera proprio dietro di lui e rise eccitato. "Quel dannato affare deve pesare cinque chili! Perbacco, certo che è brutto, Wong!" Bill alzò lo sguardo verso di lui e agitò la mano. Ora ricordò che il pesce era per Ethel. L'avrebbero cucinato, alla cinese. Dentro di sé rise. "È di mia moglie che stai parlando?" Herb scese saltando dagli scogli. "Che hai detto?" "È un pesce gatto. Non noti per la loro bellezza." Bill prese la canna da un'estremità e la sollevò dall'acqua, lasciando rotolare il pesce sulle rocce. Herb era uscito sulla veranda a raccogliere del coriandolo per il pesce mentre Bill e Ethel in cucina preparavano da mangiare. Bill lo vide passare dietro i fiori secchi che Ethel aveva raccolto sul davanzale davanti all'acquaio, puntolini di straordinaria ametista e rubini in bottiglie di vetro affumicato. Minuscole miniature in ceramica di animali da fattoria che Ethel aveva comprato aChinatown pascolavano intorno a un barattolo di detersivo. Ethel camminava sul pavimento della cucina a piedi nudi e cospargeva di olio bollente il pesce messo sopra uno strato di purea di fagioli. "Spero di farlo bene" disse. "Ci vorrebbe una zanzariera tesa su una specie di telaio. Così non sprecheresti tanto olio." Le tolse di mano il cucchiaio. "Cucinavi per Alice?" "Certo. Cucinavo. Ho fatto persino un aggeggio per friggere il pesce." "Ma lei se l'è preso." Ethel drizzò la testa, afferrando le parole nel momento in cui cadevano. "Tutto" dissero simultaneamente "Alice si è presa tutto!". Risero. La cucina odorava di aglio e di zenzero. Il pesce emanava nuvole di vapore denso quando l'olio gli increspava la carne, estraendo bolle di succo dove il corpo si era spaccato. "Attenta!" Bill l'afferrò per una spalla quando l'olio schizzò come una doccia bollente sulle gambe. Lei indietreggiò dai fornelli con un passo di danza. "Oh, mi sa che ho fatto riscaldare troppo l'olio." "Va bene così, ma è meglio che tu stia lontana." I suoi occhi sono proprio verdi, pensò, sembrano cambiar colore alla luce del sole che viene dalla porta aperta. "Ho visto i trasportatori ieri. Quello che scendeva giù per la strada era il frigorifero?" Appoggiò la testa contro la mano, con un dito in bocca, mordicchiandosi la fede. "Sono andato in cucina dopo che tutti se ne erano andati" disse · · Bill "e ho trovato nell'acquaio il mio pranzo surgelato. Era così triste, il mio pranzo, tutto scongelato e che cominciava a puzzare". "Poverino. Puoi mettere nel nostro congelatore tutti i pranzi surgelati che vuoi, e ti daremo anche una chiave tutta tua." Ammucchiò cipolle fresche e pomodori su di un tagliere. Mentre lo sfiorava passandogli accanto, lui afferrò l'aroma di lilla e aglio e qualcos'altro come una soluzione di permanente casalinga nei capelli, mentre nella cucina umida i folti ricci biondi si facevano lenti e lanosi. Portava una vecchia camicia di Herb con i lembi annodati intorno alla ,vita. Mentre era concentrata ad affettare i pomodori, lui le ammirò le gambe, abbronzate fino alle caviglie. Ijeans stinti erano tagliati e arrotolati fin dove le tasche sporgevano all'altezza delle cosce come le alette non piegate di una bambola di carta. Le unghie dei piedi erano spennellate di smalto blu. Herb apparve sulla porta della cucina proprio mentre uno stormo di jets dell'Aeronautica lasciava in cielo una scia di vapore. Un rombo di tuono fece tintinnare i piatti e l'argenteria sul tavolo. Lui rimase lì con il coriandolo stretto nella mano bagnata a guardare gli aerei. "Lascia la porta aperta, Herb. Non voglio che il fumo impregni le pareti." Sorrise a Bill con calore, un sorriso schietto e diretto che lo rese consapevole del suo sguardo diretto alle sue ginocchia, ai nudi piedi abbronzati. "Starai morendo di fame", ancora un distratto sorriso affettuoso, anche se un po' sbilenco, mentre si strofinava gli angoli degli occhi lacrimosi nelle nuvole di fumo oleoso. Lui guardò Herb. "Credo sia pronto." Herb si sistemò sulla sedia. "Dov'è mamma? Dorme ancora?" Si mise in bocca un gambo di cipolla fresca e tagliò gli steli del coriandolo con un paio di forbici. Bill fece volteggiare in tavola il piatto da portata servendosi di una presina di Ethel. Herb sparse sul pesce fumante le foglie di coriandolo e tutti sedettero al proprio posto. Era un momento di rispetto riservato a qualche preghiera inespressa. Ethel sussurrò "Credo che dorma ancora". "Lasciala dormire allora. Guarda" disse con finto spavento. "Guardalo."

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