Linea d'ombra - anno XII - n. 95 - lug./ago. 1994

questo momento - cesura tra un passato ormai logoro e desueto e la costruzione di una nuova personalità di cui ancora non si vedono i contorni. Nel racconto si possono rintracciare due motivi che continuamente si intersecano e si sovrappongono: il senso di vuoto e di inadeguatezza che il protagonista, Bill Wong, sperimenta nelle due giornate in cui si consuma definitivamente la rottura con il passato cinese, rappresentato dalla moglie e dall'ottusa famiglia di lei; e la denuncia di un'altra precarietà, quella che insidia il tessuto sociale americano e che bene si incarna nella vecchia signora ebrea, costretta a vagare da una città all'altra, da un aereo all'altro per sfuggire alla solitudine e all'indifferenza. Vuoto, quello di Bill Wong, pericolosamente popolato da sogni tormentosi e da visioni allucinate- la moglie vampiro, i terroristi giapponesi-, evidenziato da una miriade di segni - la casa svuotata, la traballante catasta di effetti personali, il martellare ossessivo della frase di Alice "Prendo tutto, prendo tutto" - un dipanarsi di eventi e sensazioni da cui affiora la fragilità interiore del protagonista. Ma è l'affermazione centrale, pronunciata dall'anziana signora Goldberg, "Gli ebrei e i cinesi sono uguali", che racchiude il messaggio dell'autore e sa spingere lo sguardo oltre la ristretta cerchia della propria etnia: abbiamo tutti sofferto persecuzioni ed emarginazione, sembra voler dire Chan, e perciò il riscatto verrà, non dalla difesa acritica della tradizione di ciascuno, ma solo dallo scambio fecondo tra individui di diverse culture. Intanto la strada per la costruzione di una nuova autentica identità è ancora tutta da percorrere. Bill sentì in sogno il pianto di bimbi affamati stretti uno ali' altro nel cortile di una scuola in Asia stranamente familiare. Si ammassavano serrati contro un recinto anticiclone ed erano vestiti di nere uniformi imbottite, lunghe fino a terra, con larghe maniche che adoperavano come fazzoletti stropicciandosele contro il piatto naso marrone, un mosaico di dita e di visi che si protençlevano verso di lui attraverso i riquadri della rete. Le loro figure con la bocca spalancata si impressero nelle venature della porta d'ingresso della casa del nonno. Era solida quercia, con montanti in ottone lavorato a forma di divinità taoiste che stavano nutrendo animali da cortile con pula di grano e germogli di riso, con il sorriso sdentato di Hotai e un fregio di piccoli cani leone che si ghermì vano le zampe e la coda o avvinghiati mascella contro mascella in una lotta senza volto. II fregio era insudiciato dagli anni ed una sottile pellicola verde girava intorno al buco dove l'ottone incontrava il legno e dove la lacca chiara aveva cominciato a screpolarsi e a rompersi. La porta si aprì dall'interno e invece dei suoi figli vide qualcosa che sembrava la figura sfuggente della moglie che sospingeva in fondo ad un corridoio buio una fila di coolies. "Prendete tutto, prendete tutto" gridava. Poi apparve suo padre, ingrandito sullo sfondo di un verde prato da golf. Portava i suoi soliti pantaloni blu polvere e il suo golf preferito di alpaca bianco con le maniche orlate di blu. Bill intravide una pallina da golf annidata in un cespuglio di dente di leone. Il padre era intento alla palla, nell'atto di tirare un secondo colpo lungo il prato. Bill sentì l'ansia stringergli la gola. Gli tremarono le mani quando il padre d'improvviso rilassò la posa. Voltandosi guardò Bill dritto negli occhi. Gli strizzò un occhio e con noncuranza spinse la pallina fuori dalle erbacce. La pallina, ora visibile, era incandescente, ogni sua fossetta sembrò prendere fuoco fino a splendere di un biancore abbagliante e il suo riverbero fece voltare la testa a Bill; ma non riuscì ad evitarlo perché lui non c'era. Finalmente i traslocatori riuscirono a far entrare il furgone sotto il tetto del garage. Dapprima Bill Wong rimase nel suo studio. Sentì la moglie sul viale del garage e la evitò, evitò la lite che lei gli aveva promesso quando aveva telefonato la sera prima dal "Pollaio", come lui chiamava labifamiliare di sua cognata aChinatown. La sera prima al telefono aveva sentito la televisione sibilare le notizie e in cucina c'era il sottile sfrigolio del wok. La moglie chiamava dal soggiorno. Lui sospettò che qualcuno stesse ascoltando la conversazione. STORIE/CHAN 23 Immaginò la cognata, il marito, la figlia maggiore con la mano sulla bocca, tutti appollaiati intorno ali' apparecchio, tre scimmie intente ad ascoltare. Lui chiese educatamente dei figli che adesso vivevano con la nonna ad Hong Kong. Erano felici. "Certo che sono felici" lo investì lei. "Gli piace la loro nonna." Sua sorella era contenta di prendersi il mobilio, la biancheria, i piatti. Bill resistette all'impulso di chiedere dove diavolo l'avrebbe messa. Ma lei gli lesse nel pensiero. "Tu hai la casa. Io domani mi prendo tutto il resto, Bill, tutto." L'enfasi era come tutte le altre cose del loro matrimonio, goffa, inutile. I ragazzi gli avrebbero mandato una cartolina? Ci fu una pausa, poi la cognata rispose dalla cucina. "Bill? Sono Marni e" disse improvvisamente. Bill era sicuro che anche il marito stesse ascoltando. Sua moglie annaspò con il ricevitore nel soggiorno, poi attaccò. "Maledizione, passami di nuovo Alice." Cercò di apparire scocciato, ma gli uscì una specie di piagnucolìo. Tutti nella famiglia di Alice potevano leggergli nel pensiero. "Sono ancora qui" disse Mamie. "Fantastico." "Senti, Bill, Alice e noi tutti crediamo sia meglio che i ragazzi non pensino a te per un po' di tempo" cominciò. "Mamie, questi non sono affari tuoi ... oh merda ..." Come diavolo sarebbero riusci ti a fare una cosa simile? Con orribili torture cinesi? Una cura termale? Lobotomia prefrontale? ' "Sai che stanno imparando a scrivere in cinese? Per Natale potranno scriverti in cinese." li suo falso ottimismo e il sentore di lusinga, che emanava dal suo tono untuoso gli facevano venire la nausea. "Perbacco, Mamie è splendido. Come pensi che riesca a leggere?" "Su, non essere egoista, Bill. Lasci che la tua ignoranza derubi i tuoi figli del loro patrimonio culturale. Sei fatto così." "Magnifico, Marnie" disse lui lasciando che la sua voce si riducesse ad un sussurro. "Che cosa hai detto? Che cosa, Bill?" sentì mentre sbatteva il ricevitore contro ilmuro. Era rimbalzato due volte sul linoleum poi penzolò dal filo emettendo acuti squittii iracondi. Non c'era più niente da sentire. Il giorno dopo restò seduto ali' ombra della casa bevendo dalla pompa del giardino e annusando le foglie d'alloro. Guardava la moglie con il tostapane sotto il braccio faticare giù per la strada ripida fino alla macchina. Era venuta assieme ai traslocatori. Mamiedoveva badare ai suoi bambini. L'atroce vestito di maglia verde era stretto alle maniche e le braccia sembravano raggrinzite e umide di sudore. Era un po' ingrassata nei pochi mesi trascorsi dal divorzio. Appariva vulnerabile. Evitò di incontrarlo e se ne andò prima del crepuscolo quando il furgone finalmente si avviò giù per la collina seguito da una muta di cani del vicinato che abbaiavano e ringhiavano. II motore esplose quando la marmitta strusciò contro il selciato. Guardò il furgone destreggiarsi giù per la strada stretta. Poi non ci fu più nulla da vedere. Le luci del garage del vicino brillavano attraverso il tralcio di edera che si arrampicava su per la finestra del suo studio. Sorrise alla sua immagine riflessa. "Fumiamoci uno spinello" si invitò. Aprì di scatto il cassetto della scrivania, trovò la roba e si arrotolò uno spinello. Senza riflettere guardò dietro di sé, poi esaminò ancora la propria immagine riflessa. Paranoia, pensò. Non c'era nessuno a dirgli di non fumare, né bambini da corrompere. Si studiò con un sopracciglio alzato, facendo capolino da dietro una cornice di edera. Spazzò via dallo scrittoio le briciole sparse di marijuana dentro una borsa di plastica, che ripose insieme alle cartine di sigaretta in una busta gialla con la scritta "posta interdipartimentale", ci fece schioccare intorno un elastico e mise il pacchetto nell'archivio sotto la "D" per droga. Ignorò i compiti che doveva correggere, ammucchiati in bell'ordine sulla scrivania. La prima pagina dove aveva rovesciato il vino la sera prima era macchiata di rosso. IIC~LI

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