terminata la scuola superiore, mio padre mi regalò un'altra macchina fotografica di una marca nuova sul mercato: una Leica. Questo succedeva a Berlino? Sì. Le arti, che fossero la pittura o la letteratura, mi appassionavano. Mio padre era un collezionista. La nostra casa era strapiena di quadri dei romantici tedeschi che poi, con la guerra, andarono perduti, poiché, per la maggior parte, fummo costretti a venderli. Comunque, non mi entusiasmava solo la pittura; ero un'appassionata di teatro e ingioventù potei assistere alle opere dell'avanguardia di Brecht, di Toller, e intanto leggevo, anzi divoravo, Kafka, Thomas Mann ... E studiavo. Volevo studiare Sociologia e così mi recai a Francoforte, dove ebbi Adorno, Pollock, Mannheim come professori. Conci liare studi e fotografia era perfettamente possibile. Volevo diventare dottore e anche i miei genitori lo volevano, come tutti i genitori, e in me non c'era alcuna intenzione di contrariarli. La mia presa di coscienza politica era evidente: facevo parte di un gruppo antifascista, dato che allora era il 1932 e la situazione economica in Germania era assolutamente disastrosa. Il partito nazista, uscito dal nulla, proprio come l'attuale paitito di Le Pen, e di cui all'inizio tutti ridevano, aveva registrato una crescita preoccupante. I giovani comunisti e nazisti si scontravano per le strade. E un anno dopo, quando Hitler prese il potere, si avviò la caccia ai professori liberali. Seguì la caccia agli studenti liberali. Un giorno incontrai qualcuno per la strada che mi avvertì di un ordine di cattura nei miei confronti. La nostra compagna Anne, poco più che ventenne, era stata arrestata mentre distribuiva il nostro giornale e alcuni giorni dopo trovarono il suo cadavere. Non ci pensai su due volte: presi le mie cose, soprattutto le fotografie, che nascosi sotto i vestiti, la macchina fotografica e me ne venni in Francia. Le foto che portò in Francia vennero pubblicate? Sì. Le fotografie della Germania nazista furono pubblicate in un volume intitolatolivrebrun. Uscì a Parigi, in varie lingue,erivelava per la prima volta certi aspetti concreti del IIl Reich, il suo governo del terrore, l'esistenza di campi di concentramento. Il libro fu pubblicato da MUnzenberg, che stava al Partito comunista come Goebbels al Partito nazista. Come sopravvisse all'esilio, dati i suoi precedenti, la sua origine ebrea e l'occupazione della Francia? È qui che lafotografia smette di essere poco più che una passione e si converte in mezzo di sussistenza. Il redattore capo della "Kolnische Illustrierte", che sapeva del mio interesse per la fotografia ed era al corrente della mia tesi sulla storia della fotografia in Francia, mi suggerì di provare a eseguire dei reportage. Mi spiegò come, attorno ad una fotografia simbolica e che già di per sé conteneva una storia, si dovevano costruire le sequenze che la spiegassero nei dettagli. Così, cominciai a scattare foto a soggetto teatrale, al Guignol dei Giardini di Lussemburgo. I servizi che realizzavo venivano pubblicati e così, pur tra mille ristrettezze, potei tirare avanti. Tutto ciò, ovviamente, non aveva nulla a che vedere con il sogno dei miei genitori. All'epoca, ha avuto dei contatti con qualche fotografo che la potesse aiutare a conoscere più a fondo il mestiere? Sì, e d'altra parte avevo bisogno di una guida. Per questo mi avvicinai a uno dei "grandi" di allora: Man Ray, che abitava in rue Campagne-Première. La prima impressione che ne ebbi non avrebbe potuto essere peggiore. Mi ricevette seduto su di una poltrona, con due ragazze sulle ginocchia. Mi disse che sì, mi avrebbe preso come alunna, ma mi sarebbe venuto a costare all'incirca mille franchi al INCONTRI/ FREUND 19 mese. Non guadagnavo tanto nemmeno per campare, e quindi dovetti cambiare idea. Mi presentai allo studio di Florence Henry, qui vicino. Era soprattutto una pittrice, ma viveva di ritratti fotografici. Ciò vuol dire che faceva un largo uso di lastre che poi ritoccava minuziosamente, visto che i suoi clienti erano borghesi e non avrebbero accettato le irregolarità dei loro stessi volti. La tecnica del ritocco non si adattava né alla Leica con cui lavoravo, né al mio carattere. Non mi piaceva manipolare la carta in quel modo. Non ho mai fatto un ritocco. Un giorno, dopo varie sedute, Florence mi disse che non sarei mai stata un buon fotografo e mi cacciò dal suo studio, ponendo fine al mio apprendistato. Non sapeva che pagavo le sue lezioni con iIdenaro che mi davano per i servizi. Fu per me un grosso dispiacere, anche se anni dopo, nel '46, a uno spettacolo a Parigi in favore di Antonin Artaud, che viveva nella miseria più nera, ho incontrato di nuovo Florence e lei ha riconosciuto il valore delle mie fotografie. E quella tesi sulla storia della fotografi.a in Francia? Lessi la mia tesi alla Facoltà di Lettere nel 1936, con l'aiuto di Norbert Elias, che indirizzò le mie ricerche. Ancora oggi ricordo i miei amici nell'anfiteatro, specialmente Walter Benjamin. Adrienne Monnier, la libraia di rue Odéon, che fino ad allora aveva editato solo testi poetici, pubblicò la tesi. Pertanto, liberata dagli studi, mi dedicai totalmente alla fotografia. L'inverno di quello stesso anno, • una nuova rivista, "Life", pubblicava il mio p1imo servizio. E g{i scrittori? Come ha potuto mettere insieme una raccolta così estesa di ritratti celebri? Gli scrittori erano miei amici, li frequentavo, li fotografavo. Era il mio piccolo giardino privato. Molti di questi sc1ittori erano ancora sconosciuti, allora. Leggevo molto e questo mi facilitava il rapporto con loro. Poi,come loro parlavano dei loro libri, così io li fotografavo. Il mio primo ritratto, in questo senso,èquellodi Malraux. Era il 1933 e aveva appena ricevuto il Goncourt con La condizione unwna. Sapendo delle mie difficoltà per tirare avanti, mi scelse perché lo fotografassi per Gallimard. Salimmo sulla terrazza del mio piccolo appartamento e gli scattai diverse istantanee; eppure, la più nota, quella che ha fatto il giro del mondo, Malraux coi capelli al vento e il mozzicone di sigaretta in bocca, la scattai di sorpresa in un momento di riposo. Le sue fotografi.e di James Joyce la rivelano come pioniera nell'uso del colore ... T pionieri furono gli americani. Qui a Parigi ci si poteva procurare la pellicola, ma lo sviluppo andava fatto in Inghilterra. Tra il 1938 e il 1939 feci centinaia di ritratti a colori solo per mia soddisfazione personale, dato che pubblicarli era praticamente impossibile. Nel '39, "Time Magazine" mi commissionò il ritratto di Joyce, per via dell'apparizione di Finnegans Wake. La foto venne pubblicata nel maggio di quello stesso anno. Le ha lasciato qualche ricordo particolare il rapporto fotografo-modello con Joyce? È chiaro che ritrarre Joyce, soprattutto se ci penso adesso, permette a qualsiasi fotografo di godere di una esperienza unica. Conobbi Joyce grazie alla mia amica Adrienne Monnier, la Libraia ededit:riceche ho menzionato in precedenza. Joyce ci entusiasmava, e così mi proposi di fargli un ritratto. Alla fine, potemmo incontrarci ad una cena in casa di Adrienne nel 1936. Ne osservavo i lineamenti, gli angoli del volto e immaginavo il risultato, il modo per ottenere il miglior risultato. Insistetti per convincerlo affinché posasse, ma trovava sempre delle scuse. Soltanto due anni più tardi, nel maggio
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