14 DALL'ITALIA con i tre vecchi 'Pah nesnam (Bah non so)' rispose uno di loro un po' in imbarazzo, spiegando che forse erano 'hooligani', teppisti. 'Hooligani?' fece l'altro. I tre intanto avevano staccato completamente il cartello e accanto alla scritta 'Portole' ne avevano piantato un altro con scritto 'Qui è Italia!'. In quel mentre arrivò un'auto della "milicja". I due poliziotti a bordo sembravano Stanlio e Oli io ed erano un po' su di giri. Il figlio del più anziano era appena torna~,dalla Bosnia e il padre per festeggiare l'avvenimento aveva offerto al collega parecchi brindisi. Si venne alle mani. I tre skinheads si fecero prendere dal panico. Estrassero un coltello e qualcuno lo usò. Pochi istanti dopo, mentre la Rover degli italiani sgommava verso la frontiera, il poliziotto più anziano rantolava per terra e una pozza di sangue si allargava sulle vecchie pietre di Portole, sotto gli occhi sbigottiti dei vecchietti. l tre skinheads attraversarono la dogana con la Slovenia, abbandonarono l'auto e rientrarono in Italia a piedi attraverso i boschi di Fernetti. Un gioco d:i.ragazzi. Due giorni dopo una squadraccia della 'Hos', la milizia croata (ufficialmente 'sciolta') che aveva combattuto a Vukovarentrava a Pisino e picchiava a sangue il segretario della locale Unione Italiana. · • Devastarono anche l'archivio con i nomi degli 'infoibati'. Mentre rompevano le ossa del segretario con i tirapugni, lé' vecchie foto orribili di 50 anni prima svolazzavano dalle finestre e si posavano sul selciato. E i bambini le raccoglievano cercando di decifrare cosa fossero quelle carrucole e quei sacchi e tutta quella gente intorno che si turava il naso. Il segretario restò paralizzato. Quando avvenne l'aggressione i tre skin erano già stati arrestati, ma qualcuno a Zagabria aveva deciso che l'incidente di Porto le non doveva restare senza conseguenze e che fosse I' occasione per dare agli 'Istriani' una lezione definitiva. Gli esuli e i figli degli 'infoibati' diedero l'allarme. Trieste scese in piazza. Noi trasmettemmo tutto in diretta con la scritta 'Gli italiani dell'Istria sono in pericolo ...'. A Pisino, dopo la spedizione punitiva i rapporti fra le due comunità cominciarono a guastarsi. La squadra partita da Zagabria aveva agito a colpo sicuro. Qualcuno del posto, dicevano gli italiani, doveva averla guidata. I croati evitavano di girare da soli nei quartieri italiani e viceversa. Ogni notte, qualcuno venuto da fuori tagliava le gomme di un'auto oppure sparava qualche colpo contro una finestra, a volte toccava ai croati a volte agli italiani. 'Non è gente del posto', dicevano sulla piazza, 'vengono da fuori.' Ma intanto la paura dilagava e insieme alla paura la diffidenza. Tudjman condannò sia i fatti di Portole che quelli di Pisino. Ricevette, dopo molte esitazioni, una delegazione di istriani a cui diede molte garanzie ricordando però che la Croazia era uno Stato unitario che apparteneva innanzitutto ai croati. Dell'autonomia non volle neppure sentir parlare. Col paese ancora in guerra con i serbi, disse, una discussione del genere sarebbe apparsa inopportuna e soprattutto sarebbe apparsa un cedimento al movimento -.llll..Z;ÌQ.rrnlista che cresceva oltre frontiera, a Trieste. Gli incidenti si moltiplicarono. A Piemonte un'altra squadraccia entrò nella casa di una delle ultime due famiglie rimaste fra le vecchie mura abbandonate. Fecero uscire tutti quanti poi lanciarono una granata nell'appartamento. Qualcuno cominciava a usare con gli italiani gli stessi metodi che si usavano con gli ultimi serbi rimasti a Spalato. La manodopera per queste imprese non mancava mai. La guerra aveva prodotto migliaia di sbandati che in Bosnia avevano commesso o visto commettere crimini di ogni genere e se pochi avevano visto la prima linea molti conoscevano bene la pulizia etnica, il fronte dei codardi. Dopo un mese di incidenti alcuni giovani di Buje decisero di organizzare una specie di ronda notturna. Un sacerdote ortodosso di Trieste, con stretti legami con Belgrado, promise aiuto cioè armi. All'inizio si trattò solo di qualche granata e di alcune ricetrasmittenti. Uscivano da Knin attraverso il checkpoint di Karlovaz. l caschi blu kenyani per I00 dollari erano disposti a chiudere un occhio e anche tutti e due. La malavita pensava al resto. Poi il flusso di armi aumentò e nel traffico entrò la 'sacra corona unita', la mafia pugliese. Veloci motoscafi facevano la spola con il Montenegro portando benzina e tornando carichi di armi che varie organizzazioni come la 'falange armata' facevano arrivare a Trieste. Dopo una settimana due squadre della 'Hos' in missione punitiva caddero in un'imboscata. Entrarono a Buje e cominciarono a sparare sulle case, ma qualcuno li aspettava e rispose. Un'auto riuscì a sganciarsi e a fuggire, l'altra rimase sulla salita che porta al paese crivellata di colpi e con tre corpi riversi sui sedili. A Trieste le organizzazioni irredentiste esaltarono l'accaduto come una forma di 'legittima difesa'. Il giorno dopo i primi camion carichi di masserizie lasciavano Buje. Due famiglie croate. Una italiana. Nel giro di una settimana tutti i villaggi italiani erano in stato di assedio. Le milizie di Tudjman avevano istituito dei posti di blocco all'ingresso di ogni paese. In alcuni era vietato circolare dopo le sette di sera. Le perquisizioni e gli abusi erano ormai cronaca quotidiana così come i primi attentati. A Trieste 300.000 persone scesero in piazza per chiedere al Governo di proteggere la minoranza italiana in Istria. Pannella che era stato in Croazia durante l'assedio di Osjek si offrì come mediatore, ma senza alcun esito. Alleanza Nazionale che ormai governava la piazza si oppose. E anche Berlusconi, che pure aveva un ottimo consulente alla commissione esteri, dovette cedere, temendo che la destra lo ricattasse cavalcando le rivelazioni di Titti Parenti sulle infiltrazioni mafiose in Forza Italia. Del resto i sondaggi, incoraggiati dalla TV e dalle nostre interviste, andavano tutti in un senso. 'Bisogna liberare l'Istria.' 'Zara deve essere italiana.' Fini era più forte che mai. Mentre i primi reparti di lagunari si preparavano allo sbarco, 10.000 miliziani croati circondavano Buje e le prime granate cominciavano a scheggiare i vecchi tetti della città. La guerra italo-croata era solo all'inizio".
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