Linea d'ombra - anno XII - n. 94 - giugno 1994

72 INCONTRI/ POZZESSERE E tu, tu sei soddisfatto del film come è venuto? Non lo so. È stata un'impresa vorticosa, travolgente. Abbiamo cominciato a girare il 20 ottobre e abbiamo finito a Natale, poi il 15 marzo eravamo già al mix. Non ho avuto una pausa per pensare davvero al film, a come sarebbe risultato. È stato un vortice dall'inizio alla fine, cinque mesi tutti di corsa. Quando è uscito, ho cominciato a pensarci, a realizzarne la misura. Ma sono ancora dentro il vortice, per poter seguire il film nelle città in cui esce. Non ho ancora la lucidità sufficiente a poter dire cosa significa per me, ma sento che ci sono cose che non sono riuscito a esprimere come volevo, questo sì. Per esempio? Per esempio il nodo centrale, la scelta di usare la noncomunicazione dei due personaggi, il loro non-contatto come una scelta comunicativa. Comunicano attraverso la non-comunicazione, questo è il loro rapporto; ma questo crea un grande senso di vuoto nel film. Si cerca il plot, e non c'è. L'intenzione di sceneggiatura non è stata realizzata bene, credo, non è diventata evidente. C'è un gran senso di sradicamento nei personaggi, nel padre perché nonhapiù lafabbrica e lasua cultura, la sua identità veniva dal sociale e si è persa, nel figlio perché, tornato dal militare, si muove su un terreno insicuro, dove il passato lo diuta poco, e non sa definire un presente, unfuturo. Sabbie mobili, incertezza... La scommessa era di dare a tutto l'incastro psicologico del film un senso di fragilità, di friabilità ... un senso di destabilizzazione di tutto; il terreno su cui il protagonista, Gabriele, si muove, i suoi sogni, le ipotesi di lavoro ... Lo spaesamento, le incertezze di una generazione di ragazzi proletari, Stefano Dionisi, il protagonista, li ha captati e reinterpretati grazie a un periodo che ha trascorso a Sampierdarena, a contatto con i ragazzi della zona. Il loro disagio ha certamente una base economica, ma non è fatto solo di quello, in esso si mescolano molte altre cose. Ma quello di Verso Sud era un disagio diverso? Qui Gabriele è un inserito, figlio di un immigrato che però si era inserito anche lui. Iprotagonisti di VersoSud erano degli emarginati, erano fuori da una società definita, cercavano di trovare qualcosa che invece Gabriele potrebbe già avere. Lui cerca invece di uscire dal suo stallo, da una situazione che non lo convince, che non ha una prospettiva che lo confermi; se poi ci prova, per esempio con la fabbrica, sul modello del padre, la delusione è grande, la fabbrica non è più un posto "sano", non è un posto per lui. I suoi tentativi di soluzione lo portano a sbattere la testa contro il muro, anche nel finale. È ancora un tentativo fallito, l'idea di fuggire verso l'Oriente. Ti sembra che ilpersonaggio di Gabriele sia rappresentativodi un disagio.collettivo dei giovani, di una condizione generale? Credo di sì. I ragazzi che abbiamo frequentato a Genova, nati a Genova ma spesso figli di meridionali, erano come fotocopie del personaggio di Gabriele, molto simili nelle loro incertezze, sicuri di niente e tantomeno di se stessi, e però con dentro una carica, una rabbia. Che può anche farsi esasperata, perché non è direzionabile, valorizzabile. Non sai cosa fartene, della tua rabbia ... Pensi che siamolto diverso il loro disagio da quello dei ragazzi piccolo-borghesi o borghesi? Avrei una paura tremenda a dovermene occupare, ma credo che cambierebbero le tematiche, non il senso di disorientamento, che sarebbe lo stesso. Lo scheletro dei problemi è simile, anche se cambia l'involucro, il rivestimento. Questi ragazzi avvertonofortemente ilproblema dell'avere, del denaro? Non mi pare sia per loro il problema fondamentale. Non hanno A sinistra: Stefano Dionisi e Giusy Consoli interpreti di Padre e figlio. A destra: Pasquale Pozzessere in una foto di Fabrizio Marchesi/PhotoMovie.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==