un'infinità di altre-produce una violenta emozione non solo a me, ma anche a gente che non ha mai avuto contiguità con quel mondo. La musica folk ha avuto la sua moda e poi è sparita. Invece oggi bisogna riaffermare che questa è una musica che porta dei valori, che parla della memoria. E mentre la Storia è un grande ventre molle che ingoia e digerisce tutto, la Memoria ti permette di essere con i tuoi avi e con l'uomo di seimila anni fa come se fosse oggi. Questo l'ho imparato dal l'ebraismo: quando si parla della I iberazione dal I' Egi tto e si dice "avadim ainu" e cioè "fummo schiavi" vuole dire adesso, non seimila anni fa,eognianno lo si deve ripetere,conquellospirito. Ecco, la memoria rende compresente tutta la profondità della vita di una cultura e di un uomo. Ci aiuta a ricordare che noi non siamo fenomeni sociologici. Io non sono solo una funzione consumante: i miei precedenti sono gli uomini di Altamura che facevano i graffiti, e io me lo voglio ricordare. Credo che questo sia anche un discorso politico. La musica klezmer che tu interpreti è il frutto di una serie complicata di contaminazioni che si è interrotta con l'Olocausto. La possibilità di riprendere questo percorso di contaminazione, quindi conforme musicali e culturali contemporanee, non ti attira? In modi diversi, alcuni musicisti americani ci stanno provando, dai Klezmatics a Zom ... Con i nostri spettacoli e il nostro disco - e voglio farne almeno un altro ancora dedicato al klezmer - abbiamo dato un po' una risposta al modo americano di interpretare questa musica. Spesso gli americani, anche se straordinari musicalmente, hanno un po' edulcorato, stemperato la musica klezmer. Noi le abbiamo dato questo pathos europeo e abbiamo cercato di far capire che questa è una musica che ha una storia tragica, oltre che di grande gioia vitale. Senza questi due elementi a mio giudizio non si dà musica klezmer. A volte gli americani hanno perso per strada l'aspetto tragico. C'è ancora molto materiale tradizionale su cui lavorare, però so che a un certo punto arriverà l'assillo di fare di questa musica qualcosa di nuovo. Ma vorrei fare qualcosa di di verso dal metterci sotto un basso elettrico e aggiungerci una svisatina jazz, "che così diventa più moderno". Non sto comunque di certo alludendo alle ricerche di John Zorn o di Don Byron che lavorano a un livello più profondo, fra l'altro su un punto che è proprio sia del jazz sia del klezmer, che è l'improvvisazione. La matrice ebraica ha fra l'altro molto influenzato il linguaggio jazzistico: ricordiamoci che Gershwin era un ebreo russo e Benny Goodman un ebreo est-europeo (non per niente suonava il clarinetto che è lo strumento principe della musica klezmer). Ma queste contaminazioni avvenivano ancora in modo naturale, esattamente come accadeva di qua dell'oceano quando un ebreo della Bessarabia incontrava gli ungheresi e anche le loro musiche si incontravano e si scambiavano strumenti, ritmi e armonie. So che per te è stato particolarmente importante l'incontro con Kantor ... Prima ancora di incontrarlo, la visione nel '78 della sua Classe morta era stata basilare per me, mi aveva veramente sconvolto. L'ho incontrato esattamente dieci anni dopo. Lui stava provando a Milano lo spettacolo Qui non ci tomo più e mi chiamò perché stava cercando una musica che potesse rappresentare la tragedia del popolo ebraico nell'Olocausto. Questa canzone doveva essere cantata nello spettacolo dall'attrice che doveva impersonare la serva al rango più basso. A me venne in mente un pensiero chassidico che dice "tanto più in basso sta una cosa sulla terra, tanto più in alto è la sua radice nel cielo", e pensai subito alla canzone più alta e più INCONTRI/ POZZESSERE 71 tragica della musica ebraica, Ani Maamin, la canzone che i religiosi cantavano quando venivano condotti nelle camere a gas. Lui mi chiese se si poteva farne un arrangiamento a tempo di marcia. Maurizio Dehò fece questo arrangiamento, lo incidemmo in fretta e io ci cantai sopra, in una tonalità troppo alta per me, solo come indicazione per l'attrice che avrebbe dovuto interpretarla. Quando Kantor sentì la cassetta si entusiasmò e la mise direttamente, così com'era, nello spettacolo. È stata un'esperienza straordinaria: ho visto la sua capacità di utilizzare ogni cosa per i suoi spettacoli, ogni incidente, ogni caso, ogni persona che passava di lì la buttava in scena. Poi siamo diventati amici e lui mi ha dato moltissimo. lo conservo come un gioiello un suo biglietto natalizio di quell'anno in cui mi dice: "Ascolto la tua voce sulla cassetta sempre e senza posa. Mi dà la disperazione necessaria e anche un po' di speranza". Pasquale Pozzessere ILDISAGIODEIFIGLI INCONTROCON GOFFREDOFOFI Pasquale Pozzessere (Lizzano, Taranto, 1957) ha cominciato a lavorare nel cinema come assistente alla regia per Pupi Avati e per Citto Maselli. Ha realizzato alcuni documentari (fra cui Altre voci e Le sirene di carta) prima di esordire nel lungometraggio con VersoSud(l99 I),acido road movie su due giovani "marginali" romani che tentano di fuggire verso il Meridione nella speranza di poter coronare il loro impossibile sogno d'amore. Padre efiglio ( 1994), che si svolge a Genova nell'ambiente operaio, è il suo secondo lungometraggio. Padre e figlio è uscito sugli schermi italiani con poca pubblicità e con scandalosa disattenzione della critica, che evidentemente il grande amore per il cinema italiano di cui continuamente discetta lo riserva ai film ovvi e di gente ovvia, ma "importante" e bene accetta al loro ordine di idee e di valori. Come ti spieghi un lancio così malfatto? Quando un film è in fase di uscita, capita di doversi sentire cinicamente "scientifici" e programmatici, di dover fare molta attenzione alle leggi economiche, di doversi studiare i meccanismi della distribuzione e del noleggio. Beh, Padre efiglio mi è sembrato che venisse catapultato nelle sale, di corsa e senza nessuna preparazione; non c'è stata l'abituale informazione televisiva, i soliti trailers, i giornali sono intervenuti pochissimo. Non potevo pretendere che il pubblico avesse da solo l'illuminazione, che corresse a vedere il film senza nessuna sollecitazione a destarlo ... Ma la critica? Mi pare che i critici "grossi" non si siano mossi neanche loro, che abbiano mandato a vederlo i "vice". La critica mi ha riconosciuto la qualità di "autore" e la solidità del mestiere, ma ha detto che il fùm precedente era più bello, ha criticato la sceneggiatura poco solida, la storia. Si è fermata alla superficie, non ha voluto entrare nel discorso dei personaggi, si è limitata a esaminare l'involucro.
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