70 INCONTRI/ OVADIA a vedere e a capire che quel mondo era vero. E mi saziavo gli occhi e le orecchie di questa gente, cercavo di cogliere ogni sfumatura del parlare, ho proprio perso la testa. Lì mi sono reso conto che tutto questo mondo, che poi è stato sradicato dal nazismo, era un mondo vero, reale, non letterario, e che la letteratura anzi era forse inferiore alla sua realtà; che alcuni dei personaggi di questa sinagoga sembravano davvero i personaggi di Kantor. Tutto questo mi ha dato una svolta molto forte, e un senso di quello che era la religiosità al di là di tutti ipregiudizi e le cretinate che si dicono.C'era un mondo denso di familiarità, di contiguità, di sto1ia, di memoria ... Al di là della mediazione culturale, artistica, musicale, tu sei un creçlente? Io non sono quello che si definisce un ebreo religioso. L'esperienza di quella sinagoga mi ha sconvolto per diverse ragioni: ragioni espressive, di verità ... In quelle cose mi ci ritrovavo, anche se sapevo che le incontravo ormai in forma di simulacro. Allora mi sono messo a studiare la Torah, a frequentare dei corsi, e mi sono accorto che non conoscevo il pensiero ebraico, che ne avevo un'idea molto vaga, un'idea ricca ma assolutamente vuota. E uso il termine pensiero proprio perché lì ho cominciato a capire che si trattava di un fatto complesso che non si poteva ricondurre solo sul piano della fede, o della filosofia. Si trattava di un approccio di una tale complessità e radicalità rispetto alla vita, che non mi sono chiesto se volevo diventare un ebreo religioso o no, ma mi sono detto: io ho una chance immensa, vengo da una cultura e ho un'identità potentissima -che non è meglio o peggio di altro, è un 'identità. E già da terripo Moni Ovodio in OylemGoylem avevo capito che l'ideale omologante, che era stato anche mio, di un superamento delle differenze - viste come bagaglio di pregiudizi che dividevano i popoli - era in realtà la morte della democrazia, che invece si costruisce sul rispetto e la valorizzazione delle diverse identità. In questo incontro con il pensiero che sta sotto alla mia identità ho trovato un'occasione di riflessione sull'umanità e la centralità dell'uomo. E su ciò che per quello che ho capito io è il messaggio più profondo dell'ebraismo: la lotta ali' idolatria, non nel senso del politeismo, ma della sacralizzazione di ogni cosa. Li abbiamo visti gli effetti dell'idolatria: rendere sacro il partito, divinizzare un simbolo o un leader. Ha sempre voluto dire immediatamente sterminio e massacro degli altri. Perché ti è sembrato importante riprendere oggi una forma musicale-che spontaneamente non esiste quasi più? Perché è una musica di esilio. Dentro quella musica, sento che c'è la musica dell'anima, c'è un livello primario dove l'uomo 1iconosce se stesso come identità spirituale. È un livello di comunicazione che trascende il dato storico-geografico. Su questo il movimento del folk music revival ha commesso un grande errore, ha posto troppo l'accento sul dato storico, geografico, sulle questioni di filologia, e troppo poco su ciò che sta nella profondità della musica. Voglio dire che quando sento cantare un cantante azero, non mi impo1ta tanto che venga dall' Adzerbaygian, questo potrei anche non saperlo, ma lui mi comunica comunque un'emozione primaria: è l'emozione dell'uomo che scopre se stesso e la sua capacità di cantarsi, di comunicarsi. È una specie di relazione primaria con l'anima. E questa musica - ma non solo quella klezmer, penso a certe forme di musica greca, alla doina danubiana, al blues, a
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==