INCONTRI 69 Moni Ovadia MUSICAKLEZMER INCONTROCON GIACOMOBORELlA Quello di Moni Ovadia, cantante e attore nato a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, è un percorso particolarmente ricco di esperienze, incontri ed esperimenti molto diversi e variegati. Negli anni Settanta è fra i protagonisti dell'esperienza milanese del Gruppo Folk Internazionale, che più tardi si trasformerà in Ensemble Havadià. li suo canto ha accompagnato alcuni degli ultimi spettacoli di Tadeusz Kantor, mentre come attore ha lavorato con Bolek Polivka, Pier' Alli e Thierry Salmon. Lo si è visto brevemente anche nei film di Soldini e in Caro Diario di Moretti. Negli ultimi anni la sua ricerca teatrale e musicale si è incentrata soprattutto sui temi della poesia neo-ellenica, in particolare attorno alla figura e ali' opera di Ghiannis Ritsos (con lo Studio Azzurro e le musiche di Piero Milesi), e con la TeatherOrchestra sulla musica klezmer e la tradizione ebraica dell'Europa centro-orientale, in parte raccolta nel bellissimo album Oylem Goylem (Fonit Cetra, 1992). In particolare su quest'ultimo versante della sua ricerca verte l'intervista che pubblichiamo. Cosa c'è alla base della tua così multiforme attività e che cosa, tiene insieme le diverse esperienze ? Credo ci sia la ricerca di una identità attraverso una prassi musicale e teatrale, e più in generale un lavoro nel campo delle arti sceniche e rappresentative. Di certo alla base ci sono le mie origini, la storia della mia famig]ja_Da parte di padre lamia era una famiglia ebraico-sefardita di ascendenza greco-turca - mio padre era nato inBulgariamamiononnoeradi Smirne-mentre la famiglia di mia madre era mista sefardita-askenazita. Questo "territorio emotivo", in realtà quasi solo immaginato, credo abbia finito per incidere molto sui miei orientamenti, sulle mie emozioni. Si tratta di un percorso più che altro immaginario odi memorie molto infanti]j: per esempio immagino che cosa devo avere visto ed esperito a tre anni nell'emigrazione in treno - con mobili, bagagli e suppellettili - dalla Bulgaria verso Milano. Immagino cosa ci doveva essere su quei treni, o nelle pensioni di Milano dove vivevamo insieme ad altri emigranti e profughi. Altri segni di varietà e complessità, umana e culturale, li ho poi incontrati alla scuola ebraica di Milano, dove ho studiato. Lì c'era gente che veniva da ogni parte d'Europa: cadenze strane, parlate improbabili, gente che rivelava origini di chissà quali paesi, storie di persone che avevano attraversato molti mondi ... Ti sei appassionato prima alla musica o al teatro? Alla musica. Anche perché mia madre era violinista. Già ali' inizio del ]jceoavevo imiei gruppetti musicali, e poi ho avuto una serie di incontri che per me sono stati fondamentali. Prima Loris Rosenholz, che era mio maestro di ginnastica al liceo ma che in realtà era un grande esperto di musiche tradizionali -non dico folk perché è un'etichetta che ormai detesto. Con lui e altri amici abbiamo formato già allora, ag]j inizi degli anni Sessanta, il primo nucleo di quella esperienza che poi sarebbe diventata Gruppo Folk Internazionale, poi Ensemble Havadià, e che in qualche modo continua ancora oggi con la TeatherOrchestra. In quegli anni incontrai con la cantante Hana Roth il repertorio della canzone yiddish, che avrei approfondito più tardi, e attraverso di lei Roberto Leydi, con il quale cominciammo a capire i meccanismi della ricerca sul campo, ad approfondire i valori e la cultura della musica tradizionale. Allora la vostra ricerca non era ancora orientata verso la musica est-europea e la tradizione ebraica... No, era ancora un interesse per tutta quella che allora si chiamava musica "altra". Ma il nostro "internazionalismo" veniva direttamente dalla cultura ebraica, da quel filone internazionalista orgoglioso del Bund, dei partiti socialisti degli operai ebrei di Russia e di Polonia. È stato poi con il secondo disco del Gruppo Folk che ci siamo orientati verso l'Europa dell'Est. Lì c'erano già alcune canzoni in yiddish. E la tua riscoperta della cultura ebraica come è avvenuta? Come ti ho già detto, avevo assimilato molto, da migliaia di discorsi sentiti, dall'aver frequentato una scuola ebraica, dall'aver conosciuto gente singolarissima portatrice di quel mondo, e dal1'avere letto. Ci furono poi alcune letture chiave, per esempio Lontano da dove di Magris, che è un libro che io ho sempre sul ,comodino. Non so dare un giudizio sul libro in sé - Magris è uno studioso di prim'ordine e non ha certo bisogno della mia conferma - ma per me fu importante quel libro, perché era così sconvolgente in esso la scoperta del mondo cantato da Roth, da Singer, della yiddishkait, dell'ebraismo est-europeo, in tutte le sue fasi. Dallo shtetl, il villaggio pieno di fervore religioso chassidico, fino al momento in cui l'emancipazione ebraica fa irrompere tutto q_uesto patrimonio dentro i grandi movimenti libertari e socialisti. E una lettura di vent'anni fa, credo, nella quale tutto si ricollegava: la vicenda dei miei, l'emigrazione, le cose che avevo sentito, la scuola, i rabbini, tutto tornava. Da tutto questo mi ero allontanato in una specie di rivolta. Era il procedere di un giovane marxista verso la sua strada di rifiuto di tutto un mondo che appariva superato, in una sorta di atteggiamento "modernista" che escludeva tutto ciò che non era scienza economica. Poi invece le cose si ricuciono, si capisce che le cose hanno mille facce, e quindi le letture, g]j incontri ... Ci fu però un momento per me fondamentale nel capire materialmente questo mondo. Io frequentavo scarsamente le sinagoghe e l'ambiente ebraico, e tutt'ora non lo frequento molto. Andavo alle feste importanti, quelle incui gli ebrei ritrovano in qualche modo se stessi e quello che hanno alle spalle - il sentire di essere dei sopravvissuti che è un segno indelebile nell'identità ebraica. Dalla solita sinagoga un po' spentarella che frequentavo, la sinagoga italiana, col suo rito molto tranquillo, borghese, un amico mi portò in una sinagoga askenazita. Ecco, in questa piccola sinagoga, che era in un appartamento qui a Milano, ho visto le propaggini vive del mondo di cui avevo letto: la gente intanto parlava inyiddish, litigava in yiddishperché in sinagoga si litiga moltissimo sull'ordine delle preghiere - si lanciavano battute con un livello di umorismo e di autoironia incredibile ... Il mondo della yiddishkait. È un mondo di cui pochi penso immaginano l'esistenza nel cuore di Milano ... È un mondo piccolo e poco conosciuto. Questo avveniva circa dodici anni fa, e ora quella sinagoga di Porta Romana non c'è più, si è trasferita con varie vicissitudini da un'altra parte ed è quella che ancora oggi frequento. Ma siamo solo in una quindicina ... I vecchi se ne stanno andando, o se ne sono andati. Ma io ho fatto in tempo
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==