VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE 67 PERUN RICORDO DI GIANFRANCOCIABATTI FabrizioBagatti Non dobbiamo ricordare la vita e la figura di Gianfranco Ciabatti soltanto perché la sua improvvisa scomparsa ha lasciato e lascia in chi lo conosceva un profondo senso di vuoto. Sarebbe compito da poco e soprattutto, su una rivista come questa, non ce ne sarebbe bisogno. Qui dobbiamo richian1are alla memoria, con pochi tratti sommari, alcune delle tappe principali della sua vita e delle sue opere perché è bene non dimenticare, specie in questo scorcio d'epoca, quanto siano da difendere alcune eredità che Ciabatti ha lasciato dietro di sé. Il momento di formazione più decisivo per Gianfranco Ciabatti, alle soglie degli anni Sessanta, è stata la sua partecipazione, in veste di volontario, all'esperienza "sul campo" rappresentata dall'attività sociale e politica in Sicilia di Danilo Dolci. Nell'Italia di quegli anni, che ottusamente voltava le spalle alla parte nobile dell'esperienza civile contadina per scivolare avida e consenziente nella corruttrice scuola di corruzione rappresentata dagli anni del "boom", i giovani che sceglievano strade di questo tipo avevano in qualche modo deciso di bruciarsi i ponti alle spalle. Riconoscere e fare propria, per ricerca quasi sempre personale, una laicissima lezione di religione dell'uomo (e Dolci ne è un esempio, parallelo ai casi di don Milani, di Capitini, dei gruppi di "Comunità", dei teologi "rinnegati" come Turoldo o Balducci) significava infatti trovarsi schierati, senza via di fuga, con quanti avrebbero poi dovuto ingoiare i bocconi più amari della storia italiana contemporanea. Sono strade che i giovani di quella generazione potevano scegliere per intuito o per diretta conseguenza di studi esercitati in proprio ma quasi sempre si trattava di strade a senso unico, senza via di fuga, perché a questa "religione" si poteva aderire con il solo entusiasmo dei novizi o la nobile, incrollabile, fermezza dei sognatori ma sempre trovandosi contro, come primi avversari, proprio la stessa classe da cui si proveniva. Tagliati quei ponti, scelta la via della coscienza critica, la sfida diventava poi, come Ciabatti avrebbe scritto, superare la contraddizione fra le difese delle classi deboli e la difesa di se stessi, entrati a ingrossare le fila di quella stessa classe. Ciabatti trovò il modo di risolvere questa contraddizione con l'aiuto di due strumenti etici rimasti fondamentali per tutta la sua vita: da un lato la fiducia incrollabile nella virtù della ragione e della razionalità, dall'altro la fedeltà a un'espressione crudamente autentica della propria interiorità più emotiva. Quanti lo hanno conosciuto non dimenticheranno tanto facilmente i continui appelli di Ciabatti, espressi nelle forme più intransigenti e nei momenti più diversi, all'uso della razionalità: tutta la sua attività di militante, di studioso della politica e di critico dell'economia politica, è nata da questa incrollabile esigenza. In parallelo, Ciabatti scelse la poesia come modo, assai razionale, di espressione della propria emotività è di quel nocciolo di pulsioni irrazionalissirne a cui ogni individuo non può rinunciare senza il rischio di non esser più tale. Naturalmente si tratta qui di una poesia assolutamente "civile", nata magari dal!' esperienza brechtiana ma pronta a superarla nel suo stesso terreno, utilizzando tutte le energie sperimentali che l'esperienza poetica degli anni Sessanta metteva in campo. Lo testimoniano molte poesie che si possono leggere nell'antologia dei cinque Nuovipoeti italiani.1 pubblicata da Einaudi nel 1980, dove Ciabatti occupa, con merito, la sezione più cospicua. La poesia convive e trova origine dall'assoluta oggettività dei pescatori di Partinico; dal riconoscere nelle violenze dell'uomo le tracce delle classi in conflitto; dal rivivere con amare ironie l'esperienza dell'obiezione di coscienza e del carcere militare che allora ne derivava inevitabile; dall'aprirsi, infine, salutare e quasi salvifico, alla carnalità assoluta, alla verità, del lavoro operaio. Questi stessi temi si ritrovano intrecciati anche nel volume Prima persona plurale, edito da "Contraddizione" una rivista di analisi marxista dell'economia che Ciabatti ha contribuito a far nascere e a fondare. L'attività politica direttamente esplicata è stata una seconda e fondamentale tappa di questo avvicinamento alle ragioni dell'uomo. Non a caso Ciabatti partecipò, all'interno dei movimenti di sinistra della fine degli anni Sessanta, alla fondazione di una rivista pisana che già nel titolo offriva un programma significativo: "Nuovo Impegno". Gli anni successivi a quella stagione, gli anni del rifluire a:ll'ordine (che già tracciavano netti confini di classe o li ripristinavano, magari anche fra quanti avevano proclamato proprio la fine delle classi) segnarono il suo trovarsi lentamente e inesorabilmente isolato in•una funzione di critica sociale, politica, sindacale che il rigore ferreo condannava, ogni istante, a sconfitte inevitabili, strette tra l'incudine degli apparati e il martello dei conformismi rampanti. Tutto questo, anche quelle sconfitte, sono servite a Ciabatti per riaffermare la correttezza del proprio metodo di lettura della realtà: lo ricordiamo ad esempio controbattere a quanti cantavano la "fine delle ideologie" la natura tutta ideologica di quel canto; lo ricordiamo ammonire a non stupirsi di quanto sembrava stupefacente nelle più sinistre evoluzioni della classe politica italiana degli anni Ottanta, lo ricordiamo reclamare il proprio diritto al rigore intellettuale anche quando la sua posizione sembrava criticabile per eccessi di rigore autoisolazionista; lo ricordiamo infine battere implacabile le posizioni di quanti sfuggivano a un onesto impegno della razionalità intellettuale per la facile (e ben remunerata) tecnocrazia del professionismo che sempre, anche adesso, arma le mani dei servi sciocchi o delle mosche cocchiere. In parallelo, ancora una volta, stava la fedeltà alla razionalità della poesia, strano paradosso che riscattava anche ogni più piccolo cedimento, ogni inevitabile errore, fosse esso esistenziale o politico, umano o strategico. UnaraccoltacomePreavvisialreo(Manni, 1985) resta, a mio avviso, come una delle punte più alte del dibattito culturale di questi anni: tanto in positivo quanto in negativo. Il materiale poetico rimasto ora inedito e che Ciabatti ha curato incessantemente fino a poche ore prima di morire è ancora, in chi lo ha letto, un passo avanti su quella strada. È comune speranza che se ne veda presto l'edizione, magari unito a quei due o tre illuminanti scritti di estetica che, a parere personale, risaltano per originalità e rigore. Non aggiungo qui altro: gli elementi sul tappeto mi sembrano sufficienti a giustificare questa nota. La terrificante povertà morale di questi ultimi anni ci condannerà prima o poi a riprendere in mano strumenti ed esempi come quelli di Gianfranco Ciabatti. Se riusciremo a farlo e a superarne, ancora una volta, le contraddizioni in maniera feconda, lo avremo ricordato nel modo migliore.
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