Marek Nowakoski DUERACCONTI traduzionedi PaoloGesumunno Non ricrescerà l'erba Fu al funerale di uno degli ultimi membri anziani della nostra famiglia. Il cugino Stas, indicando uno dei presenti al corteo funebre, disse emozionato: "Per primo aveva previsto tutto!". Lo osservai attentamente. Un uomo anziano, basso di statura, cappotto lungo, un cappello sgualcito di feltro tra le mani. li viso olivastro, solcato da rughe molto marcate. Poche ciocche di capelli sulla pallida calvizie. Aveva l'aspetto di chi ha lavorato tanto con le braccia al sole e alle intemperie. Ci avvicinammo e il cugino Stas lo salutò cordialmente. Poi presentò me. La sua stretta di mano - una mano rude, segnata dal lavoro - era possente, lo sguardo intento, penetrante. Il discorso finì sui nipoti, sui malanni, sull'ammontare delle pensioni e sui comuni amici passati a miglior vita. Anziani signori, discorrevano come si fa sempre in questi incontri. Li ascoltai distrattamente. Cominciò la cerimonia alla tomba e la conversazione si troncò. Più tardi, durante il banchetto funebre, il cugino Stas mi raccontò di quell'uomo dall'aria assolutamente anonima incontrato al cimitero, il suo comandante al tempo dell'occupazione. L'aveva assegnato all'unità partigiana il comando di distretto. Curò diligentemente l'addestramento e l'organizzazione del reparto. Formò squadre e plotoni. Impose disciplina e regole ferree a quell'accolita di maturandi, figli di contadini, intellettuali tra cui appena qualcuno aveva avuto esperienze da soldato. Nelle cose militari sapeva il fatto suo. Dimesso, non alzava mai la voce. Eppure guadagnò subito autorità tra quei ragazzi. Li impressionò con il suo sangue freddo, i suoi riflessi pronti, il suo coraggio. Era abilissimo a sparare. Non lo uguagliava nessuno in questo. Parlava poco di sé e da quel poco s'era capito che, prima della guerra, era stato ufficiale nel KOP, aveva preso parte alla campagna di settembre e, attraversando i Carpazi, era riparato in Occidente. Da qui, dopo uno speciale addestramento, era stato paracadutato in patria. Prima di ritrovarsi nel reparto, operante nella zona di Siedlce, aveva lavorato nel controspionaggio del- !' Alto Comando dell' Armia Krajowa nelle propaggini orientali della Polonia. Presto, sotto il suo comando, comjnciarono i successi nella lotta all'occupante. Un'impresa di spicco fu la conquista della caserma della gendarmeria. Altrettanto storica fu l'imboscata all'auto del capo della Gestapo di Siedlce. Per non parlare dei trasporti ferroviari di armi e munizioni destinati al fronte orientale fatti saltare in aria. Eseguire le sentenze contro i confidenti li metteva a dura prova: quanto sangue freddo, soffocando ogni moto di umanità. A raccontare tutto questo dopo tanti anni, il cugino Stas si rianimò indicibilmente, sembrò più giovane di molto. La faccia stanca, emaciata di uomo malandato, avanti con gli anni, si colorì e gli occhi ripresero l'antico guizzo. Si sprofondò in lodi del POLONIA/ NOWAKOSKI 59 comandante: prima di ogni azione ponderava con cura i dettagli e loro, giovani teste calde, accettavano i suoi calcoli freddi. Come un giocatore di scacchi, prevedeva sempre le mosse dell'avversario. E poi cercavano di imitare la parlata flemmatica del comandante, la sua freddezza, il modo di fumare, ma soprattutto quel rapido movimento quando estraeva l'arma dal cinturone. Ma più di tutto, al cugino Stas, erano rimasti impressi gli ultimi giorni prima dell'offensiva sovietica. Già risuonavano le salve d'artiglieria, già comparivano i fumi e le fiamme delle esplosioni. Fu allora che il comandante fece una proposta sconcertante. Usò, come sempre, una formula concisa e, senza perdersi in chiacchiere, annunciò la fine dell'occupazione tedesca e il repentino avvento di quella sovietica. Sarebbero iniziate le deportazioni nei lager, gli arresti, le persecuzioni. Reso più o meno in questo modo il quadro della situazione prossima a venire, propose di liquidare le cellule del PPR della zona e la minuscola unità comunista alla macchia nei vicini boschi. Parlò così, senza reticenza alcuna e loro zitti. Erano allibiti. Aveva pronta una lista di nomi. Tirò fuori dalla tasca il foglietto e si mise ad allisciarlo sul ginocchio. Giustificò una simile soluzione con lo stato di suprema necessità. "Se non li tiriamo via alla radice - disse senza ombra di esitazione- ci annoderemo da soli il cappio al collo. Faranno da jnformatori per l'NKDV e la sicurezza. Ve lo garantisco, parola d'onore di ufficiale! Ci faranno schizzare fuori ad uno ad uno come piselli dal baccello". E lo~o sempre zitti. Il comandante si accese una sigaretta e puntò con un dito sul ginocchio il foglietto, riempito fitto a matita copiativa. Tutti a guardare quella carta, stirata dal passaggio metodico dalla sua mano. "Dove passerà il comunismo non ricrescerà l'erba" - con questa metafora, unico accento poetico di tutta la sua ben concreta proposta, terminò la sua tirata e passò su di loro il suo sguardo freddo, pensieroso. Si ripresero da quel silenzio sconcerto. Scoppiò un'animata discussione. A un certo punto sul suo viso si disegnò l'impazienza. Con un gesto energico zittì quel coro unanime di protesta. Si alzò in piedi, si riaggiustò il giaccone, rimise a posto l'arma nella fondina e ripeté, quasi tra sé e sé, lo sguardo fisso sul falò semispento: "Vedrete, non ricrescerà l'erba ...". Il cugino Stas, che sedeva vicinissimo, udì distintamente le sue parole. E lo vide - ma di questo non è altrettanto sicuro - gettare nel fuoco insieme al mozzicone di sigaretta, il foglietto di carta appallottolato. Il reparto si sciolse. Già l'indomani il comandante si rese irreperibile. Il cugino Stas partì per Varsavia. Di lì a poco seppe degli arresti fra i suoi camerati partigiani. Gli uomini dell'NKVD erano andati agli indirizzi segnati e li avevano catturati a colpo sicuro. Alcuni furono torturati e suppliziati nei sotterranei della sicurezza. Alcuni furono abbattuti mentre tentavano la fuga. Ci fu anche chi manifestò disponibilità a collaborare con il nuovo potere. Ma, in gran parte, furono internati in un campo vicino a Rembert6w e, da lì, deportati al di là degli Urali. Il cugino Stas si nascose. "Dopo, nella mia vita - scandì piano le parole - ho avuto momenti di rimpianto per non averlo ascoltato. Eppure così, a freddo, non avrei potuto. No". "Del resto - aggiunse- non si potevano tirar via alla radice. Qualcuno sarebbe sempre rimasto". Allargò le braccia. Chinò il capo. Sicuramente gli tornava all'orecchio la voce indimenticabile del comandante.
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