4 LEELEZIONIIN SUDAFRICA UNA GRANDESPERANZA MariaCristinaErcolessi Le prime elezioni libere e democratiche del Sud Africa, che hanno sancito la fine del sistema dell'apartheid e il passaggio al governo della maggioranza, sin qui impedita ad esercitare l'elementare diritto a scegliere attraverso il voto i propri rappresentanti e l'esecutivo, si sono svolte in un clima contrassegnato da gravi carenze organizzative, inefficienze della macchina elettorale, una esasperante lentezza nello scrutinio delle schede e sospetti di veri e propri brogli nella provincia del KwaZulu-Natal. Eppure, questo voto - definito "storico" dalla più parte degli osservatori e dei commentatori - rappresenta un piccolo miracolo di capacità politica e negoziale da parte dei maggiori attori politici della scena sudafricana e delle strutture messe in piedi per gestire un processo elettorale che, per la prima volta, doveva consentire a circa venti milioni di cittadini non-bianchi di partecipare pienamente alla vita politica del paese e alle sue scelte. Il "miracolo" delle elezioni sudafricane non può essere pienamente compreso se non si tiene conto di alcuni elementi di fondo, che incorniciano il voto della fine di aprile. Innanzitutto, il clima di estrema violenza che ha segnato la politica sudafricana nei primi anni Novanta, gli anni cioè successivi alla liberazione dalla prigione del leader storico dell' African National Congress (ANC), Nelson Mandela, e del negoziato politico e costituzionale per disegnare i contorni del nuovo ordine politico e istituzionale postapartheid. La campagna elettorale è stata contrassegnata non solo da una prevedibile aggressività verbale e propagandistica tra i partiti in competizione, ma anche da una recrudescenza della violenza in alcune aree del paese, prima tra tutte la provincia del KwaZulu-Natal in cui più feroce è stato lo scontro tra l'Inkatha Freedom Party (IFP), il partito del "nazionalismo zulu" guidato da Buthelezi, e i militanti dell' African National Congress. Una violenza tanto estesa e mortifera (ad ogni weekend si contavano decine di vittime delle due parti) da aver indotto il governo sudafricano - poche settimane prima del voto - ad applicare lo stato d'emergenza nella stessa provincia. La percezione di pericolo, la sensazione che le prime elezioni libere del Sud Africa potessero essere soffocate e impedite da una crescente spirale di violenza politica, è stata acuita, d'altra parte, dai proclami dell'estrema destra bianca paramilitare, che non riconosceva alcuna legittimità alla nuova Costituzione e allo stesso processo elettorale, e che si dichiarava pronta a difendere con le armi il principio all'autodeterminazione all'interno di un piccolo Stato bianco (il Volkstaat), incarnazione anche territoriale del nazionalismo boero. Per tutte le settimane precedenti le elezioni, voci e controvoci si sono rincorse nelle tradizionali roccaforti dell'estremismo bianco nell'Orange Free State e nel Transvaal a proposito di possibili azioni armate contro i seggi elettorali e di attacchi terroristici contro installazioni e infrastrutture economiche. Uno spettro che è parso improvvisamente materializzarsi proprio alla vigilia delle elezioni con le stragi provocate dalle bombe esplose a Johannesburg e a Pretoria e il ritrovamento di numerosi altri ordigni. I contorni della violenza politica durante la campagna elettorale, pur avendo radici profonde e complesse, possono essere descritti come il risultato di una opposizione di fondo tra quelle forze che stavano gestendo il processo di transizione (prima tra tutte I' ANC e il Partito Nazionalista, al potere dal 1948), e le organizzazioni che, come l'Inkatha e l'estrema destra afrikaner, non attribuivano alcuna legittimità alle regole e alle istituzioni della stessa transizione. La possibilità che settori consistenti della popolazione sudafricana (bianca e nera) si autoescludessero dalla competizione elettorale, boicottando le elezioni e più in generale il processo di transizione ad un nuovo ordine politico, ha rappresentato la minaccia più grave alla costruzione della democrazia in Sud Africa: il nuovo sistema democratico e non-razziale sudafricano ne sarebbe risultato amputato e soprattutto çondizionato dal ricatto del ricorso a una persistente violenza pofitica. Ed è proprio su questo fronte che le settimane precedenti le elezioni e pÒÌ la partecipazione al voto e gli stessi risultati elettorali hanno mostrato importanti elementi di contro-tendenza rispetto ad un'evoluzione di scontro violento ed ingovernabilità. Gli elementi di contro-tendenza sono riassumibili in uno sviluppo generale di crescente isolamento di quelle forze, della politica bianca come di quella nera, che per aumentare il proprio potere contrattuale e promuovere i propri obiettivi specifici, di gruppo, hanno agito - per usare il linguaggio sudafricano - come spoilers, cioè "guastatori", del processo elettorale, fino al limite della rottura finale. TIrecupero di queste forze al confronto elettorale, e quindi il loro rientro nel sistema politico definito dalla Costituzione transitoria negoziata tra i partiti e dalla legge elettorale, è stato il risultato sia del prodursi di differenziazioni interne sia, e di conseguenza, di un'intelligente trattativa condotta dall'asse Partito Nazionalista-African National Congress, che non ha peraltro evitato di ricorrere all'imposizione di misure di sicurezza (come iI già ricordato stato d'emergenza nel KwaZuluNatal) per ridurre Io spazio di manovra dei più intransigenti. È noto, ad esempio, che all'interno dell'lnkatha si è sviluppato un confronto tra i sostenitori di una linea di boicottaggio delle elezioni e i fautori della partecipazione al voto, come pure- fatto forse più importante - una crescente distanza tra le posizioni di Buthelezi, leader politico del partito dell'Inkatha, e il re degli Zulu, Gooodwill Zwelithini. Queste contraddizioni interne allo schieramento "zulu" sono state ulteriormente approfondite prima
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