42 POLONIA/ METRAK lutazione del pathos come sicura e da sempre nota convenzione atta a sommuovere i sentimenti del fruitore. E ancora: che il politico prende la scorciatoia per arrivare al potere e alla vittoria, mentre lo scrittore che celebra i vincitori è spesso moralmente sospetto. Che il politico deve trattare i valori pragmaticamente e strumentalmente, ma lo scrittore deve appellarsi alle loro prerogative assolute. Che comunque il politico non crea in alcun modo dei valori, ma provoca soltanto delle situazioni; il far politica è un'occupazione, non una professione, e qui soltanto il calcolo permette di raggiungere determinati fini. Lo scrittore invece fruga e rovista negli elementi contraddittori della vita, si cimenta col suo temerario vigore. Il politico ha le mani legate dalla concezione, dall'idea, dal programma, dal piano, qalla disciplina, dall'attività, dall'azione, dalla decisione; mentre lo scrittore ha delle possibilità soltanto con le mani slegate. Fare politica presuppone un senso di colpa: lo scrittore, per soddisfare la propria vocazione, deve sentirsi incolpevole. Che cosa dunque oggi il politico può fare per lo scrittore, ammesso che debba fare qualcosa? Penso che debba lasciarlo in pace, abbandonarlo a se stesso, non esortarlo a nulla, ma nemmeno spingerlo nel senso di colpa. A volte accade che il politico, ammesso e non concesso che oramai abbia tempo per lo scrittore, gridi una voce reboante: ti tolgo i ceppi della censura, da questo momento sei libero, hai delle possibilità come non mai, le vecchie idee non ti vincolano più, forse, se ci penseremo su, se ne troveranno di nuove, ma per adesso ancora nm1 si sa. In silenzio, invece, il politico spedisce gli artisti all'ufficio di collocamento, ammiccando al pubblico disorientato: si scrolli di dossQ quel ruolo semi parassitario, scordi i riti che si celebravano per mantenere la sua posizione sociale, ravvisi che sta vivendo nel mondo dell'economia vera, dove ogni stancante intellettualismo è soggetto a inflazione. Trovati un posto nello schieramento, dice il politico allo scrittore, il posto che ti conquisterai sarà tuo. Infatti, in buona sostanza, tu vali tanto quanto la cosiddetta gente pagherà il tuo libro. Non avrai più alcuna facilitazione, nessun privilegio, ti verificherai all'interno di una sana concorrenza, tramite l'allevamento semi brado. Questo ti toglierà dalla testa quelle torbide idee, che ancora vi girovagano, di una superiorità dello spirito sulla materia. Hai già adempiuto il tuo ruolo quando queste idee andavano all'offensiva, perciò ora torna in terra e scompari nella folla: ciò ti è dovuto, così come al marinaio rincasato dopo una navigazione tempestosa. E lo scrittore esce lentamente di scena, rammentando con nostalgia i benefici che lo Stato non gli lesinava e dicendosi malinconicamente: non ci fossi stato io, forse lui oggi non sarebbe un uomo politico. In ogni caso, come per anni e anni hanno detto all'Unione dei Letterati Polacchi, "un letterato dura più di un deputato". Ambo le parti hanno le proprie ragioni, e forse questo antagonismo, sebbene vada crescendo, è salutare. Comunque in una prospettiva futura esso dovrebbe essere meno esacerbato, e ciò accadrà quando sia il politico che lo scrittore si occuperanno ciascuno del proprio settore, senza assegnarsi dei compiti comuni. La letteratura farà da compagna agli uomini nei loro dubbi e nei loro drammi, piuttosto che soltanto appoggiare le ragioni giuste, a loro volta invocate, queste sì, dall'uomo politico. Contrariamente alla politica, la letteratura starà-ché questa è la sua natura-dalla parte della vita, e non della sua regolamentazione; dalla parte della spontaneità e della mutevole creatività, e non dei codici; dalla parte dell'indefinitezza, e non dell'ordine; dalla parte delle vitali contraddizioni della vita, e non dei vincoli che la irretiscono. Davanti al politico e alla letteratura si aprono dunque nuovi orizzonti e nuove possibilità. Ma ad una condizione: che non si pestino i piedi l'un l'altro. In altre parole: non politicizziamo più la letteratura, umanizziamo invece la politica. E quando, così si spera, lo Stato smetterà una buona volta di arringare lo scrittore, questi ritroverà la propria dignità non ancora definitivamente perduta, e che egli si porta dentro, talvolta senza esserne a conoscenza. E questo è quanto oggi sono in grado di dire agli scrittori, sempre più terrorizzati dal corso degli eventi. Siate almeno contenti di essere riusciti a togliervi dalla strada dei politici. Pawel Spiewak L'INDIFFERENZA traduzionedi Marcello Flores I politici e gli scrittori non temono tanto la critica, neppure la più accanita, quanto l'indifferenza. L'aspirazione alla notorietà e all'identificazione, cioè a essere riconosciuti e ricordati, è il loro desiderio. Una strana e ambigua parentela lega politica e letteratura. Per esistere entrambe hanno bisogno di notorietà e di spazio in cui mostrare la propria individualità. Lo scrittore e il politico hanno bisogno di essere ascoltati e riconosciuti dagli altri. I valori interiori, le passioni del cuore, le emozioni, i sapori e i profumi, i pensieri, devono essere trasformati in discorso pubblico· e accettati dagli spettatori e dagli ascoltatori. Altrimenti conducono una vita spettrale, irreale. Il principio della presenza dei politici e degli scrittori si basa sul parlare e persuadere. Per questo in Grecia, ai giovani apprendisti dell'arte politica, si insegnavano la poesia, i miti, l'arte dell'interpretazione e la retorica. Scrittori e politici amministrano insieme la sfera pubblica: le danno forma, stabiliscono il senso dei concetti, liberano le ambizioni e i desideri della gente. Per conquistare la popolarità si servono degli stessi mezzi e tra loro esiste sempre qualche tensione. A volte si aiutano vicendevolmente, altre volte rivaleggiano per avere notorietà e attenzione. Sia i politici che gli scrittori combattono per l'accesso alla sfera pubblica, per il senso e l'importanza delle parole, perii favore della gente e la presenza nelle loro menti. Il legarne fra letteratura e politica si può addirittura descrivere ritmicamente: collaborazione e appoggio, lotta e rivalità, reciproca indifferenza. Ora siamo entrati in una fase di indifferenza e marginalizzazione della professione di scrittore. La voce degli scrittori negli affari pubblici non conta quasi nulla. Sono - o sembrano - vergognosamente indifesi. Cosa mai possono offrire sul mercato del lavoro e del capitale, quali consigli rivolgere ai politici nei loro giochi di partito? Sono finanziariamente marginalizzati. Non sono più necessari come voce del popolo e coscienza della nazione. Sono stati sostituiti dai politici eletti democraticamente, quei politici che svogliatamente e a denti stretti distillano comunicati poveri di significato e di parole. In questa situazione gli scrittori possono scegliere tre modi di
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