Linea d'ombra - anno XII - n. 94 - giugno 1994

POLONIA: L'INTELUGHENZIA 41 FRUSTRAZIONI GLIINTELLETTUALI, GLIARTISTIELAPOLITICA Kr.zysztof Metrak ORAZIONEAl FRUSTRATI traduzionedi SilvanoDe Fanti Così lo Stato arringava lo scrittore: io sono un prodotto della politica, e tu devi esserlo; senza di me non sei nessuno, accostati dunque alle mie succursali e ai miei enti, dài voce ai miei fini e sublima i mezzi da me usati. Ed allora il tuo solitario "io" che, come infallibilmente scorgi, si sta sempre più staccando dalla comunità, si ritroverà di nuovo nel gruppo, si unirà alla marcia verso una vita migliore, e tu assumerai il sembiante degli antichi eroi che al futuro sono iniziati e il futuro diagnosticano. E dunque impegnati dalla mia parte, e io non farò che stabilire i compiti in nome dell'eterna solidarietà fra l'arte e la politica, inscindibili alleate che compongono l'ossatura della Storia. Lo scrittore rispondeva allo Stato: sebbene io conosca il mio valore e il mio prezzo, ché questo è quanto mi è rimasto in eredità dai secoli antichi, voglio stare con te nel bene e nel male, perché pur limitando la mia libertà individuale tu, o Stato!, mi offri l'opportunità di partecipare a un qualcosa che mille e mille volte mi sovrasta; e dunque sono d'accordo con te anche ammettendo, già lo so, che i tuoi fini sono contingenti e tutte le ideologie inevitabilmente segnate dal marchio dell'infruttuosità: perché se non m'inchinerò alle tue idee, tu potrai stritolarmi, annichilirmi, liquidarmi, tu che possiedi le sanzioni adeguate. Questo dialogo fittizio si svolgeva incessantemente, ma non illudiamoci, a volte si svolge ancora, almeno dal momento in cui lo Stato ha cominciato ad immergersi in una totale superbia, a dominare sulla globalità della vita e a credere nella propria onnipotenza; di contro lo scrittore ha posto in forse se stesso e il proprio io individuale in quanto sorgente di valori veri e irrefutabili. Le cause più profonde di entrambi i fenomeni stanno ovviamente nelle ideologie, le quali hanno trasfigurato la vita delle società arrogandosi il diritto di pilotare le élites culturali. La sorte dello scrittore è la sorte di queste élites che oppongono, sì, resistenza, ma sprofondano sempre più nel vortice degli accadimenti esterni, e vengono ricondotti alla funzione di strumenti delle Necessità Superiori che l'infallibile Ragione della Storia riconosce all'istante e quasi di controvoglia. Che cosa ci poteva fare un povero individuo chino e solo sul foglio di carta, con la penna in pugno? Eppure ancora poco tempo fa l'orgoglio dello scrittore contava molto. Quante volte, discutendo dei rapporti fra arte e politica, si citano le celebri parole di Stendhal, secondo cui l'ingerenza della politica nella creazione artistica è spesso simile ad un colpo di pistola che rimbomba nel bel mezzo di un concerto. Vi introduce infatti un elemento troppo rumoroso e volgare, sviando inoppo1tunamente l'attenzione da cose più importanti, quelle che riguardano il mondo delle emozioni e delle vicissitudini dell'uomo. Tutte le persuasioni verbali e attive (e a questo si riconduce la politica, tenendo presente che uso l'eufemismo "attive" solo per riguardo della sensibilità di Stendhal, qui chiamato improvvisamente in causa) ledono l'integrità dell'individuo, poiché si rifanno in gran misura ad appelli la cui genuinità è difficilmente verificabile con i propri sensi e con la mente individuale, e la cui significanza tapparentemente) umanistica affonda rapidamente tra i gorghi di una fede oscura. Per giunta, in parallelo ai "progressi" della modernità, si è cominciato a togliere la parola fede dal vocabolario universa1e, sostituendola con quella meno vincolante, e più meccanica, di "impegno". Sono impegnato, dunque sono, poteva ora dire a se stesso l'intellettuale sempre più progressista. E più o meno in questo punto ci siamo ritrovati anche noi partecipanti al processo, a quanto pare inevitabile, di avvicinamento fra arte e politica. La distanza fra di esse, per Stendhal così ovvia che i tentativi di avvicinarle si rivelavano una questione di cattivo gusto, diminuiva sempre di più, e ciò per effetto dei moderni mass media con la loro innata proprietà di mistione e volgarizzazione delle sfere dell'attività umana, pur così differenti nelle loro funzioni. E sia quegli scrittori che ci inducevano nella tentazione di fedi caduche e dozzinali, sia quelli che, come George Orwell improvvisamente riavutisi, rianimavano anche noi, rimanevano pur tuttavia nel cerchio magico, nel girone infernale dove a volte si spezzava la spina dorsale, e a volte semplièemc:;.ntesi sferzavano le coscienze. A dire il vero residui di spirito libero giravano qua e là, ma lo scrittore, uscendo dal suo nascondiglio alla luce del sole, badava piuttosto a non ridurre la propria libertà in favore delle Idee Generali, o anche soltanto delle dottrine artistiche (un'idea accattivante come questa, a prima vista puramente estetica, era l'idea dell'avanguardia, probabilmente la prima idea artistica così fortemente legata al clima dell'epoca, delle cui illusioni politiche essa si giovava). Ma che si deve pensare ora, oggi, in quest'ultimo decennio di un secolo sventurato, ora che il meccanismo alacremente costruito per raggiungere la comunanza di fini tra politica e arte ha cominciato improvvisamente a scricchiolare? Innanzi tutto ci si deve render conto di alcune cose elementari. Che i totalitarismi hanno degenerato, nel degenerare la politica, anche le altre sfere della vita, seppure in vario grado. Che strappando via la vita dalla libertà, hanno anche strappato via lo scrittore dalla sua missione universale. Che sottoponendo a interdizione, a volte con il suo consenso, gli hanno sottratto il sentimento della verità, hanno tolto sonorità alla sua voce. Che il tono bronzeo fatto risuonare a comando dallo scrittore, è diventato all'improvviso un anacronismo, il cui effetto collaterale è la sva-

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