40 POLONIA/ CATALUCCIO LAPOESIA TRAAPOLLOEMARSIA SUZBIGNIEWHERBERT FrancescoM. Cataluccio Nell'autunno di quattro anni fa, mentre si trovava a Ferrara (scelta perché gli ricordava la natia Leopoli), il poeta polacco Zbigniew Herbert, corpulento settantenne dal viso burbero e dagli occhi celesti dolcissimi, mi mandò un "appello agli italiani" che avrebbe voluto pubblicare sul "Corriere della Sera": "Uno scandalo! A Padova tutti si precipitano a vedere Giotto e nemmeno si accorgono che lì a due passi, senza nemmeno l'onore di un'illuminazione decente, c'è Altichiero". Un'eco di quel periodo e di quella passione per l'autore della Crocifissione nella Basilica di S. Antonio e della Vita di S. Giorgio, si trova nella poesia che dà il titolo all'ultima, fortunata (oltre 60.000 copie vendute in un anno), raccolta di poesie di Herbert: Rovigo (Wydawnictwo Dolnoslaskie, Breslavia 1992). Questo ultimo volume - che contiene alcune tra le più belle poesie di Herbert, molte delle quali scritte in Italia-è la testimonianza di un momento di passaggio: la fine di un lungo, volontario esilio (prima a Berlino e poi a Parigi) e la ricapitolazione della sua esistenza prima del ritorno a Varsavia: "Vivevo dilatato/ tra il passato e l'attimo presente/ crocifisso ripetutamente tra luogo e tempo/ E tuttavia felice avendo molta fiducia/ che la vittima non va sprecata". Nei momenti cruciali della sua esistenza, Herbert si è sempre rivolto alle arti figurative e, attraverso di esse, all'Italia, alla Francia, all'Olanda. Ne sono testimonianza i suoi testi del I962 raccolti in Barbarzynca wogrodzie (Il barbaro ingiardino, nuova edizione corretta: Kontakt, Parigi 1988; trad. ingl. Barbarian in the garden, HBJ, New York 1986), tra i quali due bellissimi su Piero della Francesca e il Duomo di Orvieto; e il recenteMartwa natura z wedzidlem(Natura morta con una briglia, Wydawnictwo Dolnoslaskie, Breslavia 1993; trad. ingl. Stili life with a bridle, The Ecco Press, New York 1991), sulla pittura fiamminga del XVII secolo. In questi scritti, eccellenti esempi di "saggistica poetica", lo intrigano i limiti che incontra nel descrivere, con le parole, un'immagine, qualcosa di incommensurabile persino alla poesia, ma anche tutto ciò che, con ironia, riesce a scoprire nella vita di artisti eccentrici come Torrentius o Jan Simon van de Beeck. Come nel caso di Altichiero, Herbert si sofferma soprattutto sui pittori meno noti, scrostando, con il frutto di ricerche minuziose, quella patina di falsità agiografiche e pregiudizi e convenzioni estetiche che ne impediscono la giusta comprensione. La pittura e i pittori entrano naturalmente anche nella poesia di Herbert, della quale è oggi disponibile in italiano un'ampia antologia che copre un arco di tempo che va dal 1956al 1990: Rapporto dalla città assediata (Adelphi, Milano 1993; pp. 270, lire 35.000), purtroppo in una brutta e lacunosa traduzione, a cura di P. Marchesani, e una misera nota finale, che non dice niente dell'autore. La pittura, con la mitologia greca (da anni Herbert ci promette un Atlante mitologico del quale ha già fornito gustosi assaggi in giornali e riviste) e la filosofia, costituiscono i cardini sui quali si articola il discorso del poeta polacco attorno alla Storia e alla sua natura assurdamente tragica. Nel museo del Louvre, a destra della Gioconda (alla quale è dedicata un'amara poesia: Monna Lisa, pp. 77-79), c'è un piccolo quadro del Perugino raffigurante Apollo e Marsia. In un'atmosfera di sospensione del tempo, iIdio nudo, appoggiandosi a un bastone, guarda altero il povero satiro indaffarato a cavar fuori la melodia dal flauto. Tutto sembra tranquillo: la pace dei colori e della natura non fanno minimamente presagire lo scempio che accadrà di lì a poco. Se non fosse che in cielo un rapace sta per avventarsi su un variopinto uccello. Il pittore ha fermato l'azione un attimo prima che si scateni, permettendoci così di sentire con l'immaginazione lo schianto di un corpo che viene squarciato. Herbert, in una delle sue più belle e drammatiche poesie (Apollo e Marsia, p. 75), racconta la scena successiva: "( ...) per il viale ghiaioso/ fiancheggiato da bosso/ il vincitore si allontana/ chiedendosi se dall'ululo di Marsia/ non sorgerà col tempo/un nuovo ramo/ di a1te-diciamo-concreta// d'improvviso/ cade ai suoi piedi/ un usignolo pietrificato// volta la testa/ e vede che l'albero al quale era legato Marsia// è canuto// completamente". Trasformare l'urlo in canto, sforzarsi di mantenere uno sguardo che non oltrepassi il confine delle proprie impressioni, accettare stoicamente la vita e mantenere sempre la misura: questi sono i precetti ai quali si attiene Herbert e piega la sua poesia. Questo ruolo di osservatore minuzioso e, apparentemente, distaccato gli ha permesso di scrivere la canzone più terribile e penetrante sul colpo di stato militare del 13 dicembre 1981 (anch'essa evidentemente ispirata aie pitture di Bosch), Rapporto dalla città assediata (pp. 226-228), che dà il titolo al volume italiano: "Troppo vecchio per portare armi e lottare come gli altri/ hanno avuto la bontà di assegnarmi il ruolo minore di cronista/ metto per iscritto - chissà per chi - la storia dell'assedio/ (...)/ evito i commenti tengo a freno le emozioni registro i fatti/ sembra che solo questi siano apprezzati sui mercati esteri". La misura, I' equi librio che ci hanno insegnato i classici, è la risposta di Herbert al gran vociare della Storia, ai tamburi della propaganda, anchequelladell'opposizione. La sua poesia non è mai stata "impegnata", anche se le sue idee e le sue metafore hanno spesso mandato in bestia la censura polacca. La poesia "politica" solo raramente fa scoccare quella scintilla che permette all'artista di "incantare parole d'una forma refrattaria al tempo senza cui/non c'èfrasedegnadi memoria e la lingua è come sabbia ..." (Lettera a Ryszard Krynicki, pp. 184-185). L'ideale poetico di Herbert è una poesia filosofica: un canto stoico. Il suo grande maestro è stato il filosofo di Torun Henryk Elzenberg ( 1889-1976) autore di importanti studi su Leibniz e Marco Aurelio e di uno straordinario diario intellettuale intitolato Klopot z istnieniem. Aforyzmy wporzadku czasu (Difficoltà con l'esistere. Aforismi inordine di tempo, Znak, Cracovia 1963) che univa lo stoicismo all'esistenzialismo in modo che "il primo fungesse da antidoto alla lucida e tragica visione dell'esistenza del secondo". A Elzenberg sono dedicate le poesie A Marco Aurelio (p. 31) e Do HenrykaElzenbergerga w stulecie lego urodzin (A Henryk Elzenberg nel centenario della sua nascita, in Rovigo, pp. 5-6): "Chi sarei stato se non avessi incontrato Te - mio maestro Henryk/ A cui per la prima volta mi rivolgo per nome/ col pietismo della venerazione che si deve- alle Grandi Ombre//( ...) // Vivevamo in tempi che erano veramente come un racconto d'idiota/ Pieno di frastuono e crimine/ La tua severa mitezza la delicata forza/ Insegnavano come dovevo resistere nel mondo al pari di una pietra pensante/ Paziente indifferente e sensibile insieme". E il ciclo di Pan Cogito (Il Signor Cogito), singolare alter-ego-opposto di Herbert, è l'ironica analisi dell'impossibilità di dare un ordine razionale alle cose. La poesia di Herbert raggiunge spesso il prodigio della semplicità e della chiarezza, trattando temi difficilissimi. Ha il tono dei testi classici e quell'amara acutezza di sguardo della quale, agli albori dell'epoca moderna, Leopardi è stato maestro. Herbert ancor oggi rimane una delle voci più libere e anticonformiste della Polonia. Adorato, soprattutto dai giovani, per il coraggio e l'onestà del suo agire. Scomodo e imbarazzante esempio agli occhi di molti, per non aver mai voluto scendere a compromessi col potere ("Era soltanto questione di gusto", ha spiegato in una sua poesia). Dalla sua casetta di Varsavia scruta il mondo con la consueta, pa1tecipata, saggezza e ripete i versi di una poesia, dedicata agli insorti ungheresi, che scrisse nel 1956 e fu cancellata dalla censura e mai più ripubblicata: "Stiamo alla frontiera/ chiamata buon senso/ guardiamo le fiamme/ e ammiriamo i morti".
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