Padre che certo è, ma può essere creduto, più o meno, come altre cose appartenenti al sovrannaturale. La facilità della variante non rurale del cattolicesimo polacco nell'accogliere questa visione gelatinosa del sacro dimostra che, in sostanza, il rinnovamento della religiosità degli ultimi vent'anni è stato inteso in modo strumentale, non a scopi patriottici, ma per il proprio agio interiore, dunque per ragioni psicologiche. A ciò si aggiunge l'elemento, tipico in Polonia, della teatralizzazione della vita pubblica. Ricordo perfettamente che, nel mostrare agli amici occidentali le file di persone in attesa, in chiesa, della confessione di Pasqua, mi compiacevo del loro stupore carico di rispetto. Il cattolicesimo e la fede in quanto tale sono stati per noi una forma di distinzione interiore ed esteriore. Non avevamo ostriche, grattacieli, quadri, palme, ma, in compenso, gli stranieri ci guardavano, prostrati, faccia a terra nelle chiese. E noi, in quella posizione, non ci sentivamo troppo a disagio. In quale misura questo rifletteva una profondità e un'intensità di fede? Non so risolvere un quesito così privato. Non sappiamo, infatti, che cosa pensasse la gente. Ma oggi constatiamo la debolezza di quel cattolicesimo psicologico o psicosociale. Lo scalpore sollevato - il più delle volte a ragione - contro gli interventi dei dignitari ecclesiastici non avrebbe dovuto ostacolare minimamente l'approfondirsi della fede individuale. In effetti il sacerdote della religione cattolica è vicario della Provvidenza, non profeta: non è Dio a commettere errori di grammatica nelle omelie, a discorrere di argomenti morali, a intromettersi nella politica. È l'uomo a farlo, debole, talora ignorante, talora presuntuoso. Qualche anno o qualche lustro addietro i sacerdoti potevano vantare qualifiche molto più elevate. Si può quindi affermare che l'assegnazione del sacro alle categorie psicosociali, come hanno fatto i polacchi (naturalmente sono generalizzazioni che comportano molte eccezioni) non poteva sortire altro effetto: venuta meno la necessità, anche certi comportamenti e certe attese si sono dileguati. Magari non si è ricorsi a Dio per ogni quisquilia, ma con Dio c'è stato più calore e interesse e la fede psicologica ha tollerato ampie lacune in campo teologico, in particolare nella dogmatica. L'esponente dell'intellighenzia polacca, se ha creduto, si è sempre piccato di farlo a modo suo. Oggi, al posto del cattolicesimo, ha la democrazia e tratta anche questa a modo suo, concependola - ma questo è un argomento a parte-entro categorie eminentemente psicologiche. Non so se i capi della Chiesa polacca si siano resi conto bene dei fenomeni illustrati fin qui, tuttavia la reazione della Chiesa gerarchica al rapporto soprattutto psicosociale con il sacro in Polonia è stata la peggiore fra quelle concepibili. Al momento di edificare la democrazia, di formulare quelle domande decisive per le basi stesse dell'ordinamento democratico, la Chiesa ha sollevato una questione di inaudita difficoltà quale l'aborto, che riesce a dividere società già mature in Occidente; e ha esposto il potere esecutivo e legislativo polacco a una brutta figura assolutamente gratuita in materia di insegnamento della religione nelle scuole. Per prima cosa le due questioni rientrano in due ordini di cose assolutamente diversi. Se l'aborto è un problema drammatico per i cattolici (la cui soluzione non è per nulla semplice), l'insegnamento della religione nelle scuole avrebbe potuto attendere tranquillamente qualche anno o qualche lustro. È noto che oggi la stessa Chiesa non è più così convinta della giustezza della sua condotta, ma, ormai, è troppo tardi. È accaduto, infatti, che delle più intime questioni umane sia stata fatta pubblica contesa. Invece di sviscerare pubblicamente i problemi morali della comunità, si è sventuratamente insinuata POLONIA/ KRÒL 37 nelle case, costringendoci indirettamente a porci domande che hanno intaccato la nostra fede domestica. La questione dell'insegnamento della religione nelle scuole è risolta variamente nel mondo, ma negli Stati Uniti, il paese senza dubbio più democratico e più religioso, la Corte Suprema non ammette la benché minima ingerenza delle varie religioni nella vita scolastica. Non ho intenzione di esaminare gli aspetti giuridici del problema, ma è lampante che, rendendo prioritarie le questioni dell'insegnamento della religione nelle scuole e della messa fuori legge dell'aborto, la Chiesa ha preteso da noi qualcosa di inammissibile: di esternare pubblicamente la nostra fede privata. La reazione, già forte, lo sarà ancora di più. Alla privatizzazione della dottrina cattolica (ossia ali' evidenziazione da parte della Chiesa della problematica relativa ai singoli, una problematica morale sociale e non puramente religiosa) si accompagna, ed è peggio, la sua politicizzazione, che consiste in un'inammissibile ingerenza della Chiesa nella vita pubblica. La situazione non comporterebbe tanti rischi se i fenomeni non coesistessero, trovando un humus abitato soltanto dal cattolicesimo rurale e psicologico. Tra le pareti domestiche, infatti, la simbologia patriotticoreligiosa ha fatto posto alla derisione dell'insegnante di religione e dei suoi discorsi da parte dei giovani, e agli sguardi impacciati dei genitori che, se non vogliono minare l'autorità del sacerdote, non possono ritenere dementi i propri figli. Nella vita pubblica, comunitaria, quella stessa simbologia è stata soppiantata dal sostegno a determinate tendenze politiche e a incessanti ingerenze a livellotli autonomie locali. Si obietterà che non c'è nulla di s.traordinario; che la Chiesa polacca è sempre stata così; che così dev'essere; che dopo la fase di deflusso, verrà il ritornoalla fedecomune. Temo che, una voltadi più, le convinzioni tiepide sull'argomento potrebbero rivelarsi rovinose. Rovinose per noi, perché perderemmo un potenziale alleato nell'edificazione delle basi morali dell'economia di libero mercato, cosa che ha suscitato l'interesse del papa, ma non della Chiesa polacca, ma, soprattutto, perché non esistealcuna proposta spirituale, nessuna offerta per la comunità, dotate di un senso e di uno spessore paragonabili a quelli della fede religiosa. Certo la Polonia non può cessare, sic et sempliciter, di essere un paese cattolico. La fede non si può smettere o cambiare come un paio di guanti. Rimane solo una duplice e sottile speranza: che, accanto al cattolicesimo rurale e a quello psicologico, compaia sulla scena una corrente forte di cattolicesimo teologico, promossa dai credenti stessi (su un'iniziati va dal l'alto, in effetti, è improbabile contare). E che i capi della Chiesa cessino di intralciare l'edificazione della democrazia e prestino il proprio contributo per ampliarne le basi spirituali. In un sistema democratico la Chiesa e il cattolicesimo non sono condannati all'emarginazione, a patto che non operino incessantemente per scardinarlo. In un sistema democratico i cattolici non devono essere un gruppo di stravaganti bonaccioni, a patto che la loro fede sia prima di tutto religiosa e solo in secondo luogo sociale, politica, psicologica. In quale misura è prefigurabile in Polonia uno scenario positivo come questo? Temo minima. Se, invece, gli eventi seguiranno la peggiore delle ipotesi, ci creeremo da soli un fronte aperto di lotta intestina. Unici tra i paesi post-comunisti, non risentiamo di problemi etnici rilevanti, ma potremmo crearceli, dividendoci inpolacchi cattolici-ecclesiastici e polacchi cattoliciprivati. La latitanza della Chiesa nella vita spirituale, nella creazione e nel sostegno alla vita della collettività, può produrre effetti inattesi e drammatici. Ricordiamo, però, che la colpa ricadrà sui credenti tanto quanto sulla Chiesa istituzionale.
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