Linea d'ombra - anno XII - n. 94 - giugno 1994

rispondere a una chiamata, a una promessa. Gli ebrei sefarditi sono venuti dall'Oriente e hanno tradizioni che la vita in terra d'Israele non hanno necessariamente scalfito. Molcho non pare assolutamente preoccupato da questioni religiose ... Certo. Perché dovrebbe? Le sue tradizioni lo proteggono dal fanatismo religioso. L'ebreo sefardita non ha nulla a che fare con la cupa fede dell'ebreo askenazita, con quella sorta di rigidissima ideologia religiosa che caratterizza quest'ultimo. Alle domande "Credi in Dio?""Noncredi inDio?", lui puòrispondere"Perchéno? Posso anche non crederci". Non è lì che si gioca la sua identità. Del resto tutto il movimento sionista è un movimento secolare, addirittura antireligioso. Il vero nodo problematico dei sionisti delle origini era proprio quello di non potersi più identificare con la religione. Dei milioni di ebrei presenti in Israele all'inizio del secolo, pochissimi erano religiosi. I più ortodossi erano e sono tuttora a New York, nelle città europee: la loro identità confligge con quella sionista, è altra dalla nostra. Hanno le sinagoghe, i comandamenti e possono portare il giudaismo anche sulla Luna. Se fossero mandati sulla Luna sarebbero felici anche là. È cambiato qualcosa nella considerazione, nella valutazione che, in Israele, si dà della diaspora? Che cosa rappresentano gli ebrei della diaspora per Israele? Il sionismo è l'unico vero fenomeno nuovo che ha contraddistinto il popolo ebreo. Gli ebrei sparsi per il mondo hanno la concreta possibilità di acquisire una patria, ma in realtà non vogliono, non si muovono. Com'è possibile una riconsiderazione del la diaspora? La stessa pace con i palestinesi è il segno più importante della vittoria del sionismo, una conquista decisiva della rivoluzione sionista. La pace non farà altro che sottolineare l'appartenenza alla Terra d'Israele. La novità diciamo così "teorica" che contraddistingue il sionismo attuale è semmai quella di riconsiderare l'Olocausto come una sconfitta politica, come un esito della tenacia con cui gli ebrei della Diaspora hanno rifiutato di considerare concretamente e per tempo la possibilità di fondare uno Stato e di fare di questo la loro vera forza, rinunciando alla tradizionale forma di resistenza, nobile quanto si vuole ma passiva, che ne ha contraddistinto la fisionomia culturale. In Cinque stagioni Molcho aiuta Nina a tornare in quella Unione Sovietica da cui era fuggita, insieme alla madre, per venire in Israele, ma è palesemente sconvolto da tanta decisione ... Certo. Ma le dice "Se vuoi tornare in Russia, ritorna": lui non è un militante, non è un intellettuale. Di fronte alla fatica che Nina mostra in Israele Molcho manifesta solo tolleranza: è un nuovo rappresentante di quella tolleranza che contraddistingue il sionismo nella sua fase vittoriosa. Abbiamo tanto dibattuto con gli ebrei sparsi perii mondo il tema del ritorno: "Venite qui" dicevamo. Molcho, per certi aspetti, è al di là di questa discussione. È così sicuro della sua appartenenza al Paese in cui vive che non ha bisogno di discutere più. Se vuoi andare, vai. Ed è significativo che ora arrivino molti più ebrei in Israele di quando li pregavamo di unirsi a noi. In Cinque stagioni ma anche in molti romanzi e racconti di altri autori israeliani vedo che la memoria ha un ruolo fondamentale. Come mai lamemoria ha un ruolo così importante? Quanto haa che fare con la memoria storica? Esiste un particolare legame.fra la "giovinezza" dello Staio d'Israele e la "giovinezza" dell'individuo-scrittore? C'è un trauma nella nostra memoria. O meglio, la nostra è YEHOSHUA 19 Foto di Uzi Keren/Controslo. specificatamente una memoria traumatica. Il nostro rapporto con il passato non è fondato su una sensazione di continuità come nei Paesi europei. Al centro di quel trauma c'è naturalmente l'Olocausto. Proprio perciò la nostra non è una memoria naturale, non è la memoria di gente che si riconosce ad esempio nei monumenti del passato. Una simile modalità di ricordare è, in qualche modo, astratta per noi. Solo ora sento che stiamo recuperando una disposizione più naturale nei confronti della storia. Della storia come un depositarsi di strato sopra strato, come un accumulo di eventi anche relativi alla vita comune, al di qua del trauma, aldiquadell'Olocausto. Lei, Mr. Yehoshua, insegna letteratura all'Università di Haifa. Che posto ha l'insegnamento per la sua attività di scrittore? Devo premettere che insegno letteratura, ma non faccio ricerca. Insegno letteratura come può farlo uno scrittore. Interpreto i testi. Come scrittore posso dare ai miei studenti una dimensione diversa da quella che danno altri insegnanti: nella fattispecie mi sta a cuore la dimensione della "cucina", di come si fanno le cose, e posso mostrare di un'opera le opzioni lasciate cadere, le strade non prese. Al "ristorante" della letteratura preferisco la cucina. Analizzo il plot di grandi romanzi come L'idiota, Anna Karenina, Don Chisciotte, ponendo l'accento sul meccanismo della trama. Ma mi premono anche gli esiti di lettura legati all'interpretazione psicoanalitica, o la forma del racconto breve. Il tutto secondo un itinerario che conduca al contesto morale del testo, alle implicazioni morali che segnano il testo attraverso le manipolazioni dell'interiorità dello scrittore, o quelle esterne, sociali e culturali. L'insegnamento le consente un rapporto ravvicinato con le giovani generazioni?

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