18 ISRAELE Abraham Yehoshua ~ LA RESPONSABILITA DELL'IMMAGINAZIONE INCONTROCON ALBERTROOLLO Il 1993 ha visto la pubblicazione di molte opere significative della letteratura israeliana contemporanea: l'Italia comincia ad avere una più articolata nozione di un mondo che sino a pochi anni fa era confinato nei pur ampi confini della cronaca politica. Il clima che ha preparato la pace con i palestinesi ha risvegliato un'attenzione che, giustamente, è andata al di là delle prime pagine dei giornali, aprendo il sipario sfilacciato sulle contraddizioni culturali (e politiche) da cui, per l'appunto, quel clima ha preso forma. Se, per molti versi, David Grossman, sin dagli anni Ottanta, ha fatto da battistrada con il successo, anche commerciale, Foto di Giovanni Giovonnelli. del suo Vedi alla voce amore, nondimeno vanno segnalati scrittori più maturi - taluni già scomparsi, altri attivi tuttora - che l'intelligenza selettiva di alcune case editrici italiane ha saputo proporre: Shabtai col suo bellissimo volume di racconti, Lo zio Perezspicca il volo (Theoria), Abraham Yehoshua con L'amante (Einaudi), Amos Oz con Conoscere una donna (Guanda) e David Voge! con Davanti al mare (Anabasi). Nel '93 Theoria ha pubblicato una lodevole antologia Sei capolavori della letteratura ebraica (in cui spicca lo stupendo racconto di Amos Oz Il monte del cattivo consiglio) e Einaudi un romanzo di Yehoshua del 1987, Cinque stagioni. Non nascondo di aver avuto, leggendo questo Cinque stagioni, la sensazione di trovarmi di fronte a un personaggio formidabile: Molcho, il cui nome fa anche da titolo nell'edizione originale, è protagonista a tutte lettere; è figura piena, dominante, risolta, che l'autore lascia emergere, complessa e isolata, con la "pazienza" di un romanzo tardoottocentesco, senza porgerle, come spesso accade nel romanzo contemporaneo, alcun supporto intellettuale né tanto meno travicelle postmoderne. Molcho è un uomo piccolo, con piccole ambizioni, con piccinerie che gli fanno rasentare la grettezza; è un uomo che coltiva piccole certezze ma deve far fronte ali' ingombrante grandezza della morte (quella della moglie, innanzitutto), della solitudine, delle emozioni. Ne consegue un effetto insinuantemente comico che percorre tutte le pagine del romanzo, e che carica di nuove valenze il fondale drammatico che ospita la singolare avventura di Molcho e porge nuovo vigore a una tipologia letteraria-qual è quella dell' impiegato statale - che la letteratura primonovecentesca europea pareva aver consumato. Abbiamo incontrato Abraham Yehoshua di passaggio in Italia per la presentazione del volume e gli abbiamo rivolto alcune domande. Yehoshua è un uomo tarchiato, scuro di capelli, scuro di carnagione con due piccoli occhi taglienti: sta seduto sul divano della hall dell'albergo spingendosi in avanti col busto, come non fosse a suo agio. Va da sé che penso subito al suo Molcho e, più avanti, nell'intervista avrà modo di confermare la mia impressione senza remore. "Non sono diverso da Molcho", dirà. È evidente che Yehoshua tiene molto a questo particolare volto di Israele, quello dell'ebreo sefardita, di origine araba, e molto si preoccupa di spiegarlo all'intervistatore italiano, come si trattasse di un volto poco noto, confuso. È vero, lo è. Ma, da questo punto di vista, Cinque stagioni è opera quanto mai esaustiva,che fadi quel piccolo ebreo sefardita uno sgomento protagonista del mondo contemporaneo. Unadomanda che vada sé, Mr. Yehoshua: cosastasignificando per Israele la difficile pace con i palestinesi? Al di là degli accordi formali, delle strette di mano, e delle reciproche promesse che cosa significa questa pace per Israele? Significa lavorare molto, moltissimo. Ma certamente significa anche libertà dalla guerra. È da troppo tempo che noi viviamo immersi nella mentalità del laguerra. In queste condizioni sembrano paradossalmente più facili, più familiari il concetto e la realtà della guerra che quelli della pace. Abbiamo sempre avuto qualcuno o qualcosa contro cui combattere, e questo ha un suo peso. Quel che è davvero difficile è stabilire delle relazioni di pace e saperle mantenere, svilupparle. Questo passaggio da una-mentalità conflittuale ad un'altra orientata verso la costruzione di un universo pacifico implica una vera e propria questione di identità: che cos'è Israele senza la presenza di un nemico, senza la necessità di difendersi o attaccare? Da questo interrogativo, che agisce, come ho detto, in profondità sulla nostra identità, comincia a prender forma una diversa fisionomia nazionale, e, soprattutto, culturale. Quel che ci contraddistingue ora è forse la libe11àdal!' ansietà della guerra, ma questo non significa ancora "pace". TIlavoro che ci aspetta è enorme, perché la pace va nutrita, sostenuta ogni momento. Vedo in Molcho un singolare misto di stupore e gretteZ,Z,ad, i acutezza e ottusità. Se forzassimo la figura di Molcho in una direzione allegorica, come potremmo situarla nell'attuale contesto dello Stato di Israele? Come sa, agli scrittori non piace vedere i loro personaggi attraverso la luce dell'allegoria, tuttavia - stabilito che Molcho è un tipo umano e non un'allegoria di Israele - potrei dire che in Molcho vedo me stesso: un ebreo sefardita. La mia famiglia è arrivata in Israele all'inizio del secolo e non certo per ragioni che avessero a che fare con l'antisemitismo. Gli ebrei sefarditi sono giunti in Israele per motivazioni positive, per riacquisire una patria, per sentirsi a casa. Come un contadino toscano, un agricoltore lombardo che non si sono mai chiesti perché vivono inquel tal posto, perché lavorano quella terra, così l'ebreo sefardita ha semplicemente ristabilito un rapporto, come dire?, naturale con la terra. La mia famiglia - e così quella di Molcho - ha un senso di appartenenza naturale alla terra d'Israele: i sionisti venuti dopo sono arrivati in Israele con la sensazione di dover ottemperare a un dovere, di
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