Linea d'ombra - anno XII - n. 94 - giugno 1994

quando si dovette sgomberare per l'avvicinarsi delle truppe d'assalto dell'armata rossa, l'ospedale militare in cui gli era stato amputato il braccio in cancrena, in aggiunta alle onorificenze ricevute- un distintivo per il combattimento corpo a corpo e la croce di ferro di seconda classe - gli era stata consegnata dal comandante, un medico col grado di colonnello, due giorni prima dell'arrivo delle truppe sovietiche, la croce di ferro di prima classe con le spade. In realtà la croce di ferro di prima classe non gli era mai stata conferita. Il comandante dell'ospedale militare aveva consegnato a Eisele la sua propria onorificenza per consolarlo della decisione, comunicata in quel momento, di non poterlo portare con sé nel precipitoso trasferimento dell'ospedale militare. Questa alta onorificenza bollò Eisele, agli occhi dei russi, come un criminale di guerra. E benché alla fine degli anni Venti, con una delegazione del suo partito - era membro dell'unione giovanile comunista - Werner Eisele avesse lavorato tre mesi nell'Unione Sovietica per erigere un villaggio del fanciullo nei pressi di Mosca, e in quell'occasione fosse stato scelto per partecipare a un incontro di mezz'ora con il capo di stato J. V. Stalin, dovette restare per sette anni in prigionia. Il monco, ritto davanti al giovane, suo figlio, aspettava una risposta. Il figlio gli aprì la porta che dava nel soggiorno, in cui due bambini facevano i compiti. "Continuate a lavorare", li apostrofò quando, incuriositi, alzarono la testa dai quaderni. E a suo padre disse: "Si sieda. Vado a informare mia madre". Quando la madre dei bambini entrò nella stanza, l'uomo si alzò. I due coniugi si squadrarono a vicenda, studiandosi freddamente, con diffidenza. Poi la donna, senza alcuna cordialità, gli disse: "Pensavamo che fossi morto da un pezzo". Gli porse la mano. "Buon giorno, Eisele". "Hai un nuovo marito?" chiese lui. Lei scoppiò in una risata amara. "Come avrei potuto", chiese, "con cinque bambini al collo?". "Bene", rispose l'uomo, "perché l'ho sempre temuto in tutti questi anni. Preparami qualcosa da mangiare". La donna lasciò la stanza e andò in cucina. La sera la famiglia, i due coniugi e i cinque figli, di età compresa tra i dieci e i diciotto anni, sedeva al tavolo della cucina. Il reduce cominciò a raccontare della sua prigionia, ma sua moglie lo interruppe dicendo: "Conosciamo queste storie. Anche per noi è stata dura". Poi si alzò e disse al figlio maggiore: "Preparagli il letto qui, in cucina". L'uomo protestò. "Ma perché, dormo con te". La donna non replicò e lasciò la cucina. Il figlio maggiore si alzò e spinse da un lato il tavolo della cucina. "Dormirà qui", disse, "mja madre vuole così". li giorno dopo l'uomo si recò alla polizia per denunziarsi e richiedere la tessera annonaria. Cercò un lavoro, e si rivolse per questo all'autorità competente. Tuttavia il mestiere che aveva imparato - prima del la guerra era stato tappezziere - da monco non poteva più farlo, e gli impieghi che gli furono offerti li rifiutò perché il salario gli sembrò troppo misero. Disse alla sua famiglia che ci sarebbe voluto qualche giorno, finché non avesse trovato qualcosa di adeguato a lui. Pregò sua moglie di dargli del denaro. La donna lanciò un'occhiata al figlio maggiore. Questi scrollò brevemente la testa. HEIN 17 "Mi dispiace", disse lei. "Sono vostro padre", si adirò l'uomo battendo il pugno sul tavolo, "sono il padrone di casa, qui". "Non lo è", disse il figlio maggiore, senza alzare gli occhi dal piatto. "Mi fai fare cinque figli", disse la donna, "e poi sparisci, semplicemente". "Ero in prigionia", implorò il marito, gridando. "Dove fossi, mi è indifferente", disse lei, "resta il fatto che non c'eri. Da sola sono riuscita a mantenere cinque figli. E da due, tre anni, da quando hanno iniziato a guadagnare i due grandi, stiamo un po' meglio. E ora, improvvisamente, eccoti qua!". "Ma siete la mia famiglia", disse il monco, "sei mia moglie, qui sono a casa". Non gli rispose nessuno. Soltanto guardarono tutti il figlio maggiore, che scrollava di nuovo la testa senza parlare. Una settimana dopo Eisele aveva accettato un lavoro in una fabbrica chimica a Berlino Ovest. Manovrava una gru e nei giorni feriali attraversava con la ferrovia urbana il confine di settore. A metà novembre sua moglie lo invitò a cercarsi una camera e a lasciare la casa. Eisele rifiutò, ma non poteva cambiare il fatto di essere considerato da lei e dai suoi figli nient'altro che un coabitante estraneo e indesiderato della piccola casa. I bambini 'più piccoli venivano educati dai loro fratelli maggiori e non si lasciavano dire niente dal proprio padre. I due figli maggiori non scambia.vano una sola parola con lui e non tolleravano che prendesse la benché minima decisione nelle questioni di famiglia. Quando tornava a casa ubriaco e tentava di introdursi nella camera da letto della moglie, veniva fermato dal figlio maggiore. Il figlio, che lavorava come apprendista muratore, tirava suo padre per i capelli dalla camera della madre, lo prendeva a schiaffi e poi scaraventava il monco sul suo giaciglio in cucina con una forza tale che questi non riusciva più ad alzarsi. Nel gennaio dell'anno seguente, tre mesi dopo essere riapparso presso la sua famiglia, rientrando a casa dal lavoro, Eisele fu chiamato nel soggiorno. Tutta la famiglia, sua moglie, i suoi quattro figli e sua figlia, sedeva intorno al tavolo, sul quale si trovavano diverse carte, esplosivo, munizioni e una pistola. Negli oggetti esposti Eisele riconobbe immediatamente i suoi beni e chiese urlando cru avesse osato frugare nelle sue cose. Il figlio maggiore lo interruppe. "Chiuda il becco", disse, "impacchetti questa roba e sparisca. Oppure la porterò alla polizia" e contemporaneamente indicò l'arma che si trovava sul tavolo. L'uomo e i componenti della sua famjglia si fissarono l'un l'altro in silenzio. "E tu, cosa dici?" chiese infine Eisele a sua moglie. Ma al posto suo rispose il figlio maggiore: "Tra mezz'ora lei sparirà e non si farà mai più rivedere qui". Poi afferrò la pistola, aprì l'otturatore ed estrasse le munizioni. "E se la porti via, questa merda", disse, buttando la pistola ai piedi di suo padre. Eisele raccattò la pistola e se la sistemò nella tasca dei pantaloni. Con la mano che gli restava ammucchiò le carte sparse sul tavolo e le munizioni e lasciò in questo modo la stanza. Venti minuti dopo la famiglia, riunita ancora nel soggiorno, udì la porta d'ingresso richiudersi da sé. Eisele e la sua famiglia non si rividero mai più.

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