Linea d'ombra - anno XII - n. 94 - giugno 1994

MAFIA Giuseppe Di Lello GIUDICI IN SICILIA INCONTROCON ANTONIOROCCUZZO li libro si chiama semplicemente Giudici. Lo ha scritto Giuseppe Di Lello,54anni, abruzzese che dal l970fa il giudice a Palermo e che negli anni Sessanta è stato uno dei membri dello storico pool antimafia. Di Lello è stato ora eletto deputato progressista nel collegio di casa sua, Lanciano-Val di Sangro (provincia di Chieti), lontano dalla Sicilia che lo ha visto protagonista, dal 1980, delle più delicate inchieste sul potere mafioso. Giudici è non a caso pubblicato da Sellerio nella collana blu "la memoria": è infatti un diario di magistratura siciliana in interno di tribunale e ripercorre 24 anni di processi di mafia. Il libro è scritto e pensato come una dura e non retorica "requisitoria" sul ruolo della magistratura come "ceto omologo" a tutta la classe dirigente siciliana. La mafia, ricorda Di Lello, non è "antistato", "nemico esterno", ma è interna alle classi dirigenti e di governo. Dunque, i magistrati che indagano seriamente e a fondo sul potere mafioso sono stati e sono, secondo Di Lello, una "anomalia" all'interno di una corporazione distratta per "pudore strategico": per decenni, dice il giudice Di Lello, la magistratura non ha esercitato alcun controllo di legalità sulle convergenze tra mafia e politica. Giudici è dunque un libro eretico e controcorrente, 235 pagine scritte da un giudice "anomalo" che dichiara di essere privo di verità comode e osserva, con occhio critico, la fisiologica malattia mafiosa che ha pervaso per decenni, e pervade, i palazzi di giustizia siciliani. Foto di Roberto Koch/Contrasto. Dottor Di Lello chi sono i "giudici" che lei descrive, eroi o antieroi? La storia della magistratura italiana dimostra chiaramente che si tratta di una corporazione che ha operato sempre a presidio degli interessi della classe di governo. In questo libro lei parla soprattutto di giudici e giustizia a Palermo. La magistratura palermitana è omologa alle altre, con una differenza: che a Palermo c'è la mafia. Nel mio libro, cerco di raccontare questa storia particolare all'interno dell'anomalia giudiziaria italiana. Nel suo ruolo storico di tutela e presidio degli interessi della classe dirigente, a Palermo la magistratura ha storicamente coperto la parte che chiamerei "legalitaria" della mafia. E ha semmai colpito la parte indifendibile e solo "militare" nei momenti di passaggio: è accaduto in occasione della strage di Ciaculli nel '63, poi con l'omicidio Scaglione nel '71 e anche con le stragi dell'inizio degli anni Ottanta. La reazione giudiziaria a quelle stagioni di violenza ha sempre individuato responsabilità marginali, le ha colpite e annullate, lasciando intatto il sistema complessivo. Insomma, la magistratura siciliana ha sempre svolto un ruolo "selettivo": ha processato la mafia militare e ha salvato quella politica. Ottenendo quale risultatofinale? • La continuità della classe dirigente e di governo,' ma anche il mantenimento del proprio ruolo di garanzia degli equilibri di governo. L'intervento giudiziario è sempre stato caratterizzato da questi obiettivi "politici": enucleare alcune figure da porre sotto processo (magari poi assolvendole in dibattimento per insufficienza di prove, come è regolarmente accaduto fino alla fine degli anni Settanta), ma salvare il sistema. Così il procuratore Scaglione, ucciso il 5 maggio 1971, fu fatto passare per un colluso, una mela marcia in un sistema

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