Linea d'ombra - anno XII - n. 93 - maggio 1994

ipocrisia e con il loro opportunismo. Se qualcosa in questo paese, a sinistra, può cambiare nella direzione di una adeguatezza di piani a una situazione radicalmente nuova (al 2000) non si può certo pensare che possa venire da quelle zone. Sta dunque ai pochi gruppi consistenti e concreti che ai margini della sinistra, autonomi e presenti dentro la società e non dentro il palazzo, sono cresciuti nello scorso quindicennio delle ultime degenerazioni, procedere ad analisi nuove, a teorie consistenti e non parolaie (ah, le tonnellate di carta sciupate dalla sinistra socio-filosofica per costruire castelli di sciocchezze lungo questo cinquantennio!) ma sta a loro anche far chiarezza sulle tante minoranze fasulle che la piccola borghesia alfabetizzata del benessere, la grande maggioranza scomposta che ha determinato il trionfo della destra e il fiasco della sinistra, così specularmente unica, produce e produrrà di continuo nella frenesia di un esploso narcisismo sociale; sta a loro il compito delicato e fondamentale di collegare, confrontare, intrecciare, proporre; di spingere la politica su binari di funzionalità collettivamente utili, mai totalizzanti e mai "autonomi". Non basterà difendere spazi e principi, occorrerà crescere senza ricadere nelle manie burocratiche o nelle trappole ideologiche che hanno avvelenato la sinistra vecchia e quella precocemente decrepita (il post-'68) di ieri. Compiti gravosi e bensì entusiasmanti attendono coloro che non s'accontentano di frasi fatte e di slogan, che non rinviano al futuro e non delegano "la politica" agli attuali leader di bassissimo profilo intellettuale e morale, incapaci di guardarsi allo specchio come di aprirsi alla realtà di un paese alla cui bruttezza hanno contribuito, ' suicidati infine dalla loro duplicità e dal loro cinismo - ricchi e pomposi predicatori, avvezzi alla bugia sino a farne una prima natura, chiusi gli occhi e la mente ai valori, campanilisti senza consapevolezza del mondo e della integrazione tra noi e il mondo, mediatori burocratici di un potere meschino, familisti amorali e ladri la loro parte. Un'epoca nuova si è ape1ta nella quale la validità di ognuno verrà messa alla prova, un'epoca che non tollererà gli infingimenti nei quali la sinistra è cresciuta e dei quali si è pasciuta. Non sarà facile starvi degnamente; si potrà essere molto soli e molto detestati, dalle maggioranze e dalle loro pressanti mascherature mediologiche, dalla meschina battaglia al loro interno tra una destra molto reale e una sinistra molto presunta. Si potrà anche essere più minoritari che mai e non bisognerà spaventarsene, né chiudersi. La nostra differenza dovrà essere più che mai quella di un agire ape1to, che leghi i fini e i mezzi, che difenda chi non può difendersi, ma anche, nell'affermazione di modelli e di principi, che leghi la possibilità e il dovere per tutti di contribuire a un futuro di Libere coscienze e di collettive trasformazioni. Foto di Paolo Titolo/Contrasto DOPO LEELEZIONI 7 ANALISIDI UN CASOELETTORALE PALERMOTRAORLANDOEBERLUSCONI MarcelloBenfante Cosa è successo a Palermo? La domanda che tutti si pongono è come mai, a soli quattro mesi dal trionfo plebiscitario di Orlando, sia stato possibile un voltafaccia dell'elettorato così netto e repentino. Su questo dato, inequivocabile, bisogna ragionare con molta calma, partendo dal presupposto che in democrazia non solo l'elettore ha sempre ragione e merita comunque rispetto, ma anche le sue sragioni esigono un'attenta considerazione. C'è una componente irrazionale del voto che bisogna ricondurre alla logica degli interessi sociali concreti in un duplice senso, sia cioè come comprensione delle cause profonde che hanno portato al successo del polo reazionario, sia come riaffermazione del primato dei contenuti e dei bisogni reali sui fumi demagogici della politica-spettacolo. Deaglio, a Milano-Italia, ha parlato del "ribaltone" di Palermo. C era già stato in verità l'inquietante segnale del ribaltone di Catania, in cui le elezioni provinciali avevano capovolto il responso di quelle comunali. Anche in questo caso però occorrerebbe analizzare in dettaglio tutta l'articolazione del voto, che già vedeva nell'ambito del Consiglio Comunale anche grazie alle aberrazioni di una legge elettorale regionale diversa da quella nazionale - un sindaco isolato e ridotto praticamente ali' immobilismo politico e amministrativo. Ma a Palermo davvero non è cambiato, nulla come ha scritto, acidamente Attilio Bolzoni su "Repubblica" del 30 marzo? Non direi. Bisogna andarci piano con certi giudizi tanto affrettati quanto ingenerosi e incauti. Si esagerava quando si proponeva Palermo come l'emblema di una società affrancata, e si esagera adesso ad affossarla gridando al tradimento. È assolutamente insensato giudicare la città soltanto sulla base delle oscillazioni del voto. È invece un dato di fatto innegabile che la società civile palermitana sia cresciuta e si sia data forme organizzative nuove, più mature e più efficaci, che tuttavia richiedono un lungo lavoro nel tempo per sortire risultati stabili anche sul piano prettamente elettorale. Palermo non è certo né redenta né liberata, ma questo ovviamente può stupire solo chi la guarda dall'esterno in maniera superficiale, basandosi esclusivamente sui dati percentuali della rappresentanza politica, e non certamente chi ci vive, chi ci opera, chi ne constata giornalmente i problemi incancreniti e aggrovigliati. La seconda domanda più ricorrente verte sul ruolo giocato dalla mafia. Sarebbe non solo scorretto, ma anche troppo comodo, banale e riduttivo interpretare il successo di Forza Italia sic et simpliciter come il risultato di un consenso indotto e pilotato da Cosa Nostra. Certo, la mafia è scesa massicciamente in campo con tutto il suo peso, arruolando forze nuove e riciclando la vecchia classe politica corrotta e collusa. Tutte le leve clientelari sono state azionate, ogni tipo di pressione è stato esercitato, ogni forma di coercizione è stata sapientemente attuata. Ma tutto ciò

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