Linea d'ombra - anno XII - n. 93 - maggio 1994

polacche e lontanamente italiane, nata in Francia, formatasi in Messico, affermatasi come una delle interpreti più profonde del malessere messicano e al suo interno della ribellione femminile contro le regole frustranti del sistema. Giornalista ancor prima che scrittrice, protagonista in prima persona di tutte le più importanti vicende intellettuali del Messico della seconda metà del Novecento, la Poniatowska meglio di altre ha saputo sintetizzare l'idea della donna che si afferma senza rinunciare alle sue prerogative di libertà e indipendenza, dentro un ambiente che se ricorda e riverisce i grandi scrittori ignora volentieri le scrittrici: un caso eloquente quello della Castellanos o di un'altra grande scrittrice della stessa generazione, Elena Garro (Los recuerdos delporvenir, 1963, e Testimonios sobre Mariana, 1981, un giallo affascinante, fra gli altri), ancora sconosciuta in Italia. li libro che Giunti ha pubblicato nella collana dei Narratori, Fino al giorno del giudizio (1993, pp. 388, Lire 24.000) è il secondo suo romanzo, uscito in Messico nel 1969 ed è un libro commovente, come sono quasi sempre i suoi libri, guidato da un pathos intenso, da una partecipazione che non riesce a dissimularsi neppure dietro l'apparenza del resoconto imparziale, obiettivo. Si direbbe che la Poniatowska, dopo aver scelto i personaggi e le storie da narrare, e la documentazione è un elemento certo e importantissimo nelle opere della scrittrice, fa il tifo per loro senza nasconderlo. Del resto basta scorrere la galleria dei suoi personaggi per ritrovarvi le figure degli studenti di Tlatelolco vittime dell'eccidio della Piazza delle Tre Culture (La noche de Tlatelolco, 1971), la figura di Tina Modotti, la fotografa e attivista italiana vissuta e trovata morta in Messico, dopo una serie di peregrinazioni per tutta Europa, su un taxi in una via della capitale (Tin[sima, 1992), di Diego Rivera e di Angelina Beluff (Querido Diego, te abraza Quieta, 1978, di prossima pubblicazione presso Giunti), di Mariana, duchessa franco-messicana legata alla genealogia di donne bellissime, pazze e innamorate (La fior de Lys, 1988), ovvero di personaggi prima amati dalla scrittrice e solo in un secondo momento scelti e guidati attraverso le pagine della scrittura. La storia di Jesusa Palancares, protagonista di Fino al giorno del giudizio, si iscrive di diritto nella schiera di personaggi esemplari descritti dalla Poniatowska; esemplari non tanto però per l'attitudine giudicante della scrittrice, che è ben conscia dei loro limiti e delle loro perversioni e non fa nulla per nasconderli, mostrandoli al contrario per quello che sono, ma piuttosto per la carica significativa che i personaggi portano con sé, per il modo in cui attraversano la storia messicana, dai. più umili a quelli già celebri, per il mo90 in cui si mettono in gioco e mettono in gioco, denigrandoli, assumendoli o rifiutandoli, i valori su cui la società si fonda e con iquali la stessa società li accusa, li salva e, più spesso, li condanna. Sono piene lenarrazioni della Poniatowska di processi reali o simbolici e di personaggi che non sanno sottrarsi all'impulso di manifestarsi liberamente per ciò che sono e di andare quindi incontro al giudizio dei tribunali o della gente comune, del potere istituzionale o del potere del senso comune. Femminista avant la lettre per intuito e premonizione più che per parte presa, Jesusa, che corrisponde nella vita alla persona di Josephina Borquéz, conosciuta e apprezzata dalla scrittrice, è un'india che spende i propri giorni in un lungo itinerario che la porta a conoscere un paese ignorato e a sperimentare la propria identità. In questa personale odissea, attraversa il Nord del paese al seguito del padre e della Rivoluzione, è costretta a sposarsi, combatte con le truppe carranziste e col "machismo" dei personaggi maschili che incontra, ed approda infine sola e ancora ragazza alla metropoli per rimanervi fino alla morte. A Città del Messico la attendono lavori occasionali, privazioni costanti, sporadici tentativi di fuga in un universo visionario e innocente ma soprattutto un incessante lavoro di ricostruzione sulle macerie dei tentativi di integrazione in un sottoproletariato dilaniato da una atroce lotta per la sopravvivenza. Frequentatrice di una personale e occulta religiosità, che le procura la nomea di pazza, santa o visionaria a seconda dei giudicanti, Jesusa è più semplicemente un umile e povero essere in una vita che le sfugge come sabbia fra le dita; non può smettere di cercare il segno della dignità dell'uomo sulla terra nel rapporto coi suoi simili, perché sono gli unici momenti che danno senso alla sua esistenza, ma conserva l'abitudine alla lotta, alla difesa dei propri diritti, come chi sa di essere solo una variabile fragile e dipendente all'interno di un sistema ferreo. Sullo sfondo si muove una città di quartieri operai e ghettidormitorio, "taquerias" e caffè da sottoscala, misere case in affitto che non sono diverse da quanto si incontra ancora oggi a Città del Messico, con la differenza che oggi il fenomeno è elevato a potenza. In questo incontro con una città che è simbolo di tutti gli incontri e di tutte le perdizioni, Jesusa cerca il bene ed anche quando è costretta a riconoscerne l'invisibilità si aggrappa alla vita con i denti, ricrea un luogo che non esiste, un suo particolare luogo uove parlare con un creatore più buono e più giusto dei suoi figli, cerca disperatamente di non lasciarsi morire quando è la vecchiaia precoce a sfinirla, ancora una volta la vecchiaia precoce come topos det diseredati di fine del secondo miilennio. Dimenticata da tutti, muore a Città del Messico, la città dove non avrebbe voluto restare, una cinica e realissima città che come l'antica Tenochtitlan reclama i suoi sacrifici umani, dopo aver attratto le vittime per un'effimera adorazione. Di tutti i personaggi della Poniatowska, Jesusa-Josefina è forse il più commovente per la sua ingenuità, per la sua pretesa di vivere, vivere soltanto, per il suo desiderio. di non soffrire più, di soffrire il meno possibile, per la sua presunzione di autosufficienza. Dei tanti personaggi della letteratura messicana è uno dei più belli e dei più strazianti, e tragicamente anche uno dei più attuali; dietro i vapori del Trattato di libero commercio e del liberismo di Salinas de Gortari, c'èJesusache vuole vivere e non può, che non ci riesce e si danna l'anima per farlo, in una città di venti milioni di anime e nelle sue desolate periferie. Gli anni Quaranta a Città del Messico sono lo scenario del Libro diJoséEmilio Pacheco,Le battaglie ne/deserto (Giunti, 1993,pp. 79, Lire 10.000), scenario dentro il quale si muove la storia di un giovane adolescente e del suo amore impossibile per la giovane e bella madre di un compagno di scuola. Ma parallelamente si muovono all'interno del libro di Pacheco altre storie, maggiori e minori, che si ricompongono in un quadrosempliceecrudeledella società e della cultura messicana di quegli a11ni;il quadro di una gigantesca ubriacatura che coglie tutti coloro che hanno soldi sufficienti per comprare vino importato, donne esotiche ma preferibilmente bianche e di tipo anglosassone, per reggere colazioni pantagrueliche all'Hotel Regis o negli altri celebri hotel frequentati dal l'élite del regime, per lasciarsi trasportare dalle promesse di un paese che vuole viaggiare su macchine nord-americane e che in virtù del nobile scopo è disposto anche ad ascoltare i terribili discorsi di Avila Camcho prima e del più celebre, per la sua furiosa dissennatezza, Miguel Aleman, tutti improntati ad un rigoroso ottimismo da visione del vuoto. Chi li ha vissuti quegli anni ne parla come di qualcosa di indimenticabile; i vapori della

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==