Linea d'ombra - anno XII - n. 93 - maggio 1994

Francesco Ciafaloni FORTEZZE Si capì presto che così non poteva continuare. Nessuno se la sentiva di 1inunciare davvero al parcheggio in seconda e in terza fila, a lasciare la macchina dove capita, in mezzo alla strada, sulle rotaie del tram, metà sul marciapiedi metà sulle rotaie, metà sul marciapiedi metà dentro il negozio, o il portone, dove si vuole entrare. A nessuno però piaceva davvero contrattare la propria uscita di casa coll'occupante dell'androne o con le due macchine che stanno tra la propria (se uno è così stupido da lasciare, per caso, la macchina in un posto proprio sgombro, e perciò, presumibilmente, scomodo e assediabile dai furbi ritardatari) e il libero budello stradale. È vero che così, dimentico delle centinaia di volte in cui aveva chiuso gli altri, uno poteva manifestare la propria indignazione, dare prova del proprio vigore e della prop1ia capacità rintracciando e redarguendo gli assedianti, ma il gioco non poteva durare veramente a lungo. Anche lo sport di correre di gran caniera a zig-zag contro l'avversario che veniva in senso opposto, nello spazio rimasto tra le macchine in doppia fila, facendo lo slalom tra le occasionali in terza fila, lampeggiando e accelerando in modo da costringere lui ad aspettare dietro l'ostacolo era indubbiamente emozionante, ma il numero degli scontri frontali era diventato così alto da prodime una industria del soccorso e delle segnalazioni retribuite di incidente che erano diventate anche più frequenti delle tempestive segnalazioni di morti e moribondi dagli ospedali alle aziende di pompe funebri. Per giunta nessuno aveva veramente voglia di pagare le tasse per riparare le strade; meno ancora per rifare la segnaletica. E in ogni caso le tangenti, universali, selezionavano ditte così corrotte e inefficienti che le riparazioni duravano un giorno e le strisce al più una settimana. Per un bel po' la soluzione adottata era stata quella delle potenti batterie di fari (bassi, gialli, rossi) e dei fuoristrada con quattro ruote motrici. Più grandi erano le buche o le erosioni, più strette diventavano le strade, più svaniva, anche nel ricordo, la segnaletica, e più grossi diventavano i fuoristrada e potenti i fa1i. L'inconveniente era che la maggior parte dei fuoristrada era di produzione estera, per lo più giapponese, e quel che si guadagnava in puzzo e potenza si perdeva in posti di lavoro. Anche la mortalità dei vecchietti e dei ciclisti era diventata preoccupante, almeno dal punto di vista dell'immagine. In effetti la produzione di biciclette non era più importante da tempo (con l'eccezione delle mountain bikes, che i giovani usavano però fuori città, per coprire di fango e minacciare di infarto quei vecchietti che fossero sfuggiti, strisciando, alle macchine e avessero raggiunto un tranquillo sentiero di montagna). Di vecchietti poi ce n'erano anche troppi e perciò la morte di qualche sprovveduto che attraversava col verde o sulle strisce (quelli che passavano zoppicando, col rosso, o in diagonale erano salvati dal pronto rispetto dei concittadini per ogni forma di illegalità) non era un gran danno, ma le macchie e i colaticci di sangue, i cervelli schizzati, i corpi schiacciati sotto le grosse ruote dei fuoristrada facevano un brutto vedere sui rotocalchi e alla TV e il problema era diventato politico. STORIE/ CIAFALONI 63 C'era stata una discussione sulla necessità di rilanciare il mezzo pubblico, da tempo pilastro della sinistra. Ma la sinistra, si sa, pensa che le cose vadano fatte per sé, per pura adesione all'egemonia o obbedienza al dominio, non perché è comodo o vantaggioso. Dove i cittadini dovessero mettere la ferraglia che avevano acquistato, per amore o per forza, soprattutto nella città che producendo la ferraglia era diventata tra le prime e più brutte del paese, non li riguardava. Parlare di parcheggi era, giustamente, come proporre di risolvere i problemi del la co1rnzione poi itica con semplificazioni delle leggi e snellimenti delle procedure. Il fatto che se i mezzi pubblici passano una volta ogni tre quarti d'ora e a torme, tanti, tutti insieme, col primo strapieno e gli altri vuoti, la corsia riservata può essere il massimo spreco di suolo pubblièo dal punto di vista del flusso di persone per unità di tempo, non turbava la loro intemerata fede nei principi. Perciò le corsie riservate si riempirono anche quel le di macchine e i più accorti cominciarono a fennarsi davanti al tram per far scendere il passeggero a fare una breve commissione. Fu un giovane progettista Fiat, ispirato da vecchie foto della guerra d'Africa, a risolvere tutto lanciando la tanqueta. Non un vero carro armato, s'intende, che sarebbe costato moltissimo di corazza e di benzina, ma una cosa utilitaria, un oggetto simile alle scatole di sardine con cui la Folgore era andata a fare la guerra nel deserto. Roba leggera, ma d'acciaio un po' spesso e con i cingoli. Basta con la plastica, fragile e non riciclabile. Basta con le curve e le lamiere , sottili che si graffiavano con l'unghia e si ammaccavano col dito. Una bella tanqueta, con vernice antigraffio, cingoli in acciaio o in gomma speciale (per mantenere in piedi l'industria del settore): una forza segreta, sui cingoli verso il futuro e tutto si 1isolveva. Uno era bloccato accanto (meglio sul) marciapiedi da altre due t:anquet:as?Niente paura! Bastava accendere il motore, bloccare il cingolo esterno e accelerare bruscamente. G I i assedianti si facevano più in là e l'assediato usciva trionfante. È vero che gli assedianti così ingombravano la carreggiata, ma il primo che passava, con attenta manovra a spinta ributtava gli ingombranti e improvvidi assedianti fuori dal budello centrale e tutto era a posto. Senza contare la facilità enorme nel salire e scendere dai marciapiedi, sfondare po1toni, sopravvivere, con l'aiuto di adeguati ammo1tizzatori, agli urti frontali. È vero che con tutti quei cingoli il numero e la qualità dei buchi erani in continuo sviluppo. Ma che importava? Per le tanquetas bastava che non ci fossero ostacoli anticarro per andare avanti. Anzi, quella dei buchi era una delle tante caratteristiche che rendevano irreversibile e dominante la tanqueta. Lo aveva spiegato già Veblen, all'inizio del Novecento. Una tecnologia vincente non è necessariamente più economica in sé, ma genera un sistema che rende impossibile la sopravvivenza delle tecnologie precedenti (come era avvenuto allora con la macchina per scrivere, poi col persona!, ora con la tanqueta). Ve lo immaginate un automobilista vecchia maniera che bloccava una tanqueta? Si ritrovava la macchina ridotta a un rottame. Le assicurazioni non le trattavano neppure più le autovetture a pneumatici! E i ciclisti? Con le tanquetas sparirono del tutto. Incontrarne uno per istrada era altrettanto raro che incontrare uno sciatore (quelli c'erano davvero, con le rotelline sotto gli sci da fondo, e si ritenevano immuni da ogni legge e regola-erano sportivi, no?-; sopravvivevano come erano sopravvissuti prima grazie alla giovinezza e al giusto rispetto che i tanquetisti nutrivano per lo sportivo in divisa). E poi avvenne il miracolo, il secondo miracolo economico italiano. Di colpo la Fiat si ritrovò col monopolio del mercato, come ai bei tempi della Seicento. Gli altri paesi produttori avevano le strade e parcheggi e non avevano nessuna convenienza, iniziaimen-

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