UNA SINISTRA È MORTA, VIVALASINISTRA PEGGIODELLASCONFITTA MarinoSinibaldi Per la sinistra ripartire da una sconfitta non rappresenta certo una novità. Lo sarebbe semmai muovere da lì e arrivare da qualche parte. Ma le reazioni venute alla luce dopo la disfatta· elettorale di marzo qon lasciano davvero speranze e anzi ripropongono testardamente immutati i vizi, gli errori, le confusioni che l'hanno determinata. Basta pensare alle due interpretazioni contrastanti e prevalenti per cui la sconfitta deriva dalla mancata conquista del centro oppure dalla moderazione del programma e dell' immagine della sinistra. Interpretazioni speculari ma non equivalenti. La prima corrisponde infatti a un'ovvietà matematica, anche se contiene più o meno nascosta la consueta tendenza a reagire alle sconfitte concedendo troppo ai vincitori, ossia, nel nostro caso, a sbiadire ancora di più quelli che dovrebbero essere i valori della sinistra. La seconda invece, per come viene correntemente formulata ("La sinistra non ha coltivato abbastanza antagonismo, radicalità e alterità") è quasi completamente priva di senso. Intanto perché il meccanismo elettorale rende pressoché automaticamente alternativi i due schieramenti in campo. In secondo luogo perché su una serie di questioni decisive, nonostante incertezze e timidezze e persino al di là della lettera dei programmi, i profili della destra e della sinistra erano visibilmente irriducibili. E infine perché antagonismo e alterità bisogna eventualmente praticarli e non proclamarli. Per esempio anche scegliendo candidature davvero innovative, e non provenienti dal solito ceto politico-giornalistico che non può ormai attirare nessun consenso e che poi a posteriori produce anche interpretazioni così insufficienti a spiegare la sconfitta. Come quella, complementare alla precedente, che denuncia nel programma e nell'immagine della sinistra una scarsa esibizione di novità e discontinuità. Quasi che un voto che manda al governo Ombretta Fumagalli e Publio Fiori possa rappresentare un clamoroso gesto di rottura e manifesti un secco rifiuto della continuità. In realtà in ogni transizione e persino in ogni rivoluzione, passata la fulminea stagione della rottura più o meno radicale col passato (che ha coinciso in Italia con l'elezione dei sindaci progressisti), continuità e discontinuità si intrecciano, tutto sta a scegliere quali continuità salvare e quali discontinuità perseguire.Sarebbe stato importante affermare con più chiarezza come si potessero conciliare la continuità democratica con la discontinuità etica, ma sostenere che nel!' immagine della sinistra fosse troppo debole la componente di rottura col passato, significa non riconoscere nulla dei tratti di chi ha vinto le elezioni. E di come la sinistra venisse percepita dai gruppi, i ceti, gli interessi collettivi e individuali che non l'hanno votata. Con simile incongruità è affiorata nel ripensamento postelettorale la questione dei Sogni della Sinistra. La superiorità delle destre si sarebbe manifestata nella loro capacità di offrire la visione di un futuro seducente; l'inferiorità della sinistra nella sua incapacità di rispondere allo stesso livello, con ia stessà capacità di attrarre entusiasmi e animare energie. Cosa rispondere a queste osservazioni? Intanto che per la sinistra è obiettivamente difficile sognare e proporre sogni, in questa fine secolo. In primo luogo per una ragione storico-genetica: praticamente per tutta la sua vita, la sinistra ha agitato un sogno che si è rivelato un incubo (lettura obbligatoria per questa sinistra lamentosa e sognante: Gustaw Herling, Un mondo a parte, da poco ripubblicato da Feltrinelli). Qualche imbarazzo a proporre sogni più o meno utopici è perciò comprensibile e perfino salutare. Ma poi è curioso che la critica appuntata su questa deficienza onirica provenga proprio da chi mostra di avere a cuore l'identità (magari antagonista e alternativa ...) della sinistra. Se per sogno si intende lo slogan mediatico del Milione di Posti di Lavoro, è ovvio che la sinistra non può contrapporre nulla di simile - per approssimazione, ciarlataneria, indecenza - senza smettere, molto semplicemente, di essere sinistra. È incredibile che chi si oppone per esempio a un'eccessiva moderazione del programma, con la giusta motivazione che una vittoria così ottenuta sarebbe inutile, non ritenga inutile e controproducente ricorrere a linguaggi e strategie simili. Chissà mai perché inseguire _il programma del centro è disastroso ma inseguire il linguaggio della destra no. Una spiegazione c'è, naturalmente; ed è che la demagogia è una delle tentazioni eternamente presenti nella cultura della sinistra - insieme ali' ossessione della conquista della maggioranza pervia moderata. Tentazioni speculari che oggi rischiano di spartirsi le spoglie del popolo di sinistra. Proprio dal punto di vista della sua identità, invece, la sinistra oggi può esistere solo se coniuga Principio Speranza e Principio Responsabilità. Non si tratta dunque di essere meno seducenti, di ingrigirsi eccedendo in realismo e senso della misura, ma di porre con coraggio questioni, come quella ambientale, che scarso spazio hanno avuto in campagna elettorale, forse perché poco compatibili con sogni e deliri vari. E di indicare obiettivi
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