54 INCONTRI/ VISAGE l'Italia, ma pensavo che la vera Italia fosse nel profondo Sud del paese. Che impressione lefece l'isola? Fu subito un'illuminazione, una folgorazione violenta. Ero stupefatto dalla violenza di quella realtà, dalla dismisura degli elementi della natura. Attraversai un vero e proprio pe1iodo di euforia. Tutto andò bene, ebbi un contratto come lettore alla facoltà di Lingue di Catania, mi innamorai e nei mesi successivi iniziai a scrivere Tous les soleils. Purtroppo rimasi in Sicilia solo un anno, poiché in seguito mi trasferii a Roma con una borsa di studio del governo francese. Negli anni successivi, è ritornato in Sicilia? Rimasi a Roma due anni e poi ripartii per Palermo come lettore all'università. La seconda esperienza in Sicilia fu però meno positiva della prima, per alcune ragioni private, ma anche per le condizioni oggettive. Palermo era unacittàdura, militarizzata: era il periodo dei primi max i-processi, abitavo in viadell 'Ucciardonee potevo rendermi conto ogni giorno delle tensioni che pesavano sulla città. Era il periodo in cui Falcone conduceva una lotta quasi solitaria contro la mafia. Mi ricordo che abitavo vicino al luogo dove era stato assassinato Dalla Chiesa, ma ho impiegato quasi un anno prima di rendermene conto: non c'era quasi nulla che lo segnalasse. Solo una piccola targa, neppure un fiore. Quindi, dopo aver scoperto la Sicilia quasi magica della natura incontaminata, ha dovuto fare i conti con la realtà dura e violenta degli uomini... ,: · Sì, in effetti. Già nel Gattopardo Tornasi di Lampedusa descriveva Palermo come una città cupa, e in fondo questa atmosfera cupa esiste ancora: probabilmente le ragioni non sono più le stesse, ma a Palermo si vive sotto una cappa di piombo, la si sente. Si vive in una situazione di minaccia di fronte ad un oppressore invisibile, nei confronti del quale c'è un consenso tacito e silenzioso. L'invasore non si mostra mai, ma tutti lo sentono presente e vicino. Tutti 1ispettano una sorta di tacito coprifuoco. Questo almeno fino a qualche anno fa, quando vi abitavo, mi auguro che oggi le cose stiano cambiando. Per uno straniero è stato difficile il dialogo con quella realtà? Non mi sono sentito escluso dalla città, anche perché ho potuto allacciare alcune amicizie che per me sono state importanti. Tuttavia, mai come in quegli anni mi sono sentito tanto arrabbiato e scandalizzato. Avevo ben presente la patetica solitudine delle poche persone che lottavano contro lamafia, le sentivo disperatamente sole mentre la maggior parte della popolazione era inerte e, per ragioni purtroppo comprensibili, rifiutava di impegnarsi nella battaglia contro la mafia.D'altra parte, quando si arriva da un paese come la Francia, costruito sui valori della repubblica e dell'illuminismo, è molto difficile entrare in contatto con un mondo retto da leggi feudali che ad ogni istante non possono che scandalizzare. Angelica è stata scritta in quel contesto? Sì, nel romanzo riprendo il rituale sanguinario della mattanza, che per me era una specie di metafora della situazione presente in Sicilia. Inoltre ho inventato il personaggio di Angelica, una ragazzina figlia del rais della mattanza che però per me rappresentava l'incarnazione della libertà: una figura gracile e leggera che attraversa una realtà tragica senza mai essere intaccata da essa. È rimasto ancora a lungo in Italia? A Palermo sono rimasto due anni, tornando poi a Roma, dove ho abitato fino al 1992. In tutto sono rimasto in Italia undici anni, un periodo enorme nel corso di una vita. Alla fine sono rientrato in Francia perché avevo bisogno di verificare alcune cose, di capire se volevo abbandonare definitivamente il mio paese d'origine oppure se ormai dovevo considerare di averne due diversi. Infatti, pur abitando in Italia, ho continuato a considerarmi uno scrittore francese poiché scrivevo sempre in questa lingua. E poi avevo bisogno di tornare per vedere come era cambiata la Francia. Insomma avevo bisogno di fare una verifica generale. Il suo ultimo romanzo, Bambini, l'ha dunque scritto quando abitava ancora a Roma ... Sì. Volevo scrivere un libro in cui il personaggio principale fosse l'emozione. I critici mi hanno detto molte volte che ho un bello stile, che scrivo bene. Ma spesso questo complimento è in fondo un modo mascherato per dire che non si è provato nulla alla lettura del libro. Con Bambini volevo spogliarmi di ce1ti manierismi di stile e contemporaneamente mettere inprimo piano l'emozione. Era un'idea assai vaga. Ho scelto di parlare di un gruppo di bambini proprio perché sono personaggi che vivono emozioni, sono emozione allo stato puro. La scelta però non era del tutto nuova, dato che il mondo dell'infanzia è sempre stato presente in tutti i miei libri. ln Tous les soleils, all'inizio della storia il narratore è un bambino ancora nel ventre della madre, tanto che racconta alcuni ricordi prenatali, mentre in Angelica la protagonista è una ragazzina. È difficile costruire personaggi infantili? Kundera dice che il personaggio è un "io sperimentale", un prolungamento di séin un'altra forma. "Jeestun autre", è la formula di Rimbaud. "MadameBovary c'est moi", dice Flaubert. Insomma, il personaggio romanzesco è un altro se stesso, un sé in una forma diversa, e sc1ivere un romanzo significa inventare altri se stessi che non siano copie dell'autore. In fondo, la grande anemia del romanzo francese contemporaneo nasce dal continuo ripiegamento verso l'autobiografismo. Spesso, infatti, nei romanzi francesi l'io narrante non èaltroche l'io dell'autore, il quale non è capace di inventare veri caratte1i differenti da se stesso. Io invece nei miei libri ho sempre cercato di costruire personaggi "rischiosi", lontani dalla mia esperienza personale. Ho sempre inventato un io narrante distante da me e dalla mia realtà. Certo, è più difficile, ma personalmente ho bisogno di questo rischio per scrivere, devo potermi dire "io sono un altro". In questo modo il personaggio romanzesco diventa una specie di antenna per percepire in maniera diversa la realtà: di conseguenza, io ricevo sensazioni che altrimenti, senza il canale del personaggio, non avrei mai conosciuto. Ecco, in Bambini ho voluto mettermi nella pelle di alcuni bambini italiani per far emergere il loro modo di vivere e guardare il mondo. Con Bambini lei è passato dal mondo barocco, sensuale e violento della Sicilia a quello della piccola borghesia romana. Si tratta di universi differenti con conflitti e contraddizioni del tutto particolari. È vero, c'è stato un cambiamento. Ma, dopo aver raccontato l'Italia meridionale un poco folcloristica (e per me l'espressione non ha alcuna implicazione negativa, indica solo la sopravvivenza di alcune tradizioni del passato), volevo parlare dell'Italia moderna. Volevo raccontare Roma, che è una grande città, moderna e europea, in cui gli abitanti vivono male come in tutte le metropoli europee: lagente è chiusa, diffidente, fredda, come accade dappertutto in questi anni. Su questo sfondo, la storia sociale e collettiva si stempera, lasciando emergere il malessere della coppia che sembra essere un dato costante della nostra società. Va detto però che questo aspetto del romanzo è nato quasi controvoglia, il libro infatti ha preso
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