46 MANEA SU ELIADE responsabile del benessere e della pace quotidiana del suo popolo", che "il mito di Stalin rivela la nostalgia per l'archetipo" e che la tomba di Lenin, benché profondamente atea nella sua essenza, riflette "la regressione verso il confuso desiderio di uno stadio superiore irrimediabilmente perduto". Sarebbe certo stata una bella sorpresa se nei suoi scritti autobiografici successivi Eliade fosse giunto a contraddire le posizioni precedenti, a rinnegare almeno in parte il suo coinvolgimento nel l'ideologia totalitaria. I Diari furono la sua ultima occasione ma egli non la colse. Forse troveremo una qualche attenuante nei suoi scritti inediti. Ma sta di fatto che il quadro che Eliade ci ha fornito di sé è particolarmente riprovevole, anche in occasione dei recenti mutamenti politici nell'Europa orientale, sollecitati ed in gran parte guidati da scrittori ed artisti che hanno coraggiosamente combattuto la tirannia. Sappiamo bene che il numero di intellettuali che negli ultimi cinquant'anni si sono schierati dalla "parte sbagliata" non è irrilevante. Tuttora vi sono intellettuali di quelle società appena liberate che, nella caotica transizione verso una società civile, invocano "buona dottrina" e "disciplina di ferro", stato forte, autorità consacrata e così via. La lotta contro la canonizzazione del potere è difficile come sempre. Ma se Eliade avesse apertamente chiarito la sua adesione all'ideologia e alla prassi totalitaria, la sua testimonianza avrebbe avuto un grande impatto, specialmente nel contesto attuale. 2. Il quarto volume dei Diari di Eliade, piuttosto breve, termina nel 1986 poco prima della sua mo,~te e conclude coerentemente la serie mantenendone la struttura: gli avvenimenti più importanti della giornata vengono laconicamente annotati insieme ad appunti di lezioni, lavori accademici e letterari, viaggi, conferenze e incontri. Come ha osservato Larry McMurtry a proposito di un precedente volume, "questo non è un diario intimo e tantomeno mondano. Non perché Eliade faccia mostra di sentirsi superiore alla sfera del personale o al pettegolezzo: semplicemente appare troppo impegnato, troppo assorbito dal lavoro che ha per le mani". Benché il Diario riporti ogni sua minima attività (comprende anche un'agenda di appuntamenti e a tratti sembra effettivamente limitarsi ad esserlo), rivela anche momenti di sconforto e perfino di sofferenza. Discrezione, generalizzazioni ed evasività scemano con l'avanzare dell'età. Alla data del 19 novembre 1983 troviamo ad esempio la seguente confessione: "Non riesco a sollevare i libri pesanti dagli scaffali, non riesco più a frugare nei raccoglitori ... Perché sono stato punito proprio per e nelle cose che ho più amato nella mia vita: i libri e lo scrivere?". Lo sconforto è generalmente legato al decadimento fisico: "Sono depresso e come al solito è per ciò che devo fare adesso, subito". li lettore delle ultime pagine del Diario avverte spesso quanto gli anni e làmalattia pesino ad Eliadeedirninuiscano la straordinaria capacità produttiva che Io aveva accompagnato per tutta la sua lunga vita. Il presentimento della fine è affrontato stoicamente con quotidiano impegno intellettuale e spesso con olimpico distacco retrospettivo. Scrive nel giugno 1980: "Temo che il mio eccesso (di franchezza e modestia) possa sminuire la rigorosa linea di condotta che (fin dalla prima giovinezza) non mi fa mancare di grandeur e nobiltà". · Volendo identificare i temi che sottendono la febbrile attività quotidiana descritta nei Diari, si può dire che due argomenti lo ossessionarono nell'ultimo periodo, come peraltro in tutta la vita: i libri e la Romania. Come Wendy Doniger giustamente sottolinea nella sua affettuosa postfazione al quarto volume dei Diari, "il suo interesse primario è per i libri; gli uomini vengono dopo". Il dramma della fine imminente per Eliade è nei libri che non potrà più scrivere piuttosto che nelle persone da cui dovrà separarsi. Sta scrivendo dell'inevitabilità della fine, quand'eccolo mettersi a catalogare con estrema calma e meticolosità la sua biblioteca: l'insieme di questi brani ci dà un commovente ritratto dello studioso allo stadio puro. Per chi gli stava accanto non dev'essere stato facile accettare la sua totale devozione ai libri da cui non riusciva a staccarsi, ma proprio i libri furono la passione dominante della sua vita: dall'adolescenza mai sazia di letture (escogitò addirittura un sistema per diminuire gradualmente le ore di sonno al minimo indispensabile e dedicare più tempo a leggere e scrivere) alla vecchiaia insonne quando solo la magia dei libri riusciva ancora a infondergli un po' di vita. Per un adepto della magia come Eliade, c'era come un rapporto di premonizione, di interdipendenza tra la distruzione dei libri e l'approssimarsi della morte. Un suo sogno, annotato il 21 luglio .1979, presenta immagini tipicamente surrealiste: un signore elegante in una copisteria circondato da una moltitudine di bizzarri animaletti; un manoscritto ridotto a pasto per topi di irrefrenabile voracità; il panico impotente dello scrittore e così via. In qualche modo, questo incubo si realizzò quando uno strano incendio distrusse la biblioteca del suo ufficio alla Meadville/ Lombard Theological School di Chicago nel dicembre del 1985, quattro mesi prima della sua morte. Sogno e realtà parvero unirsi nel lugubre avvertimento che il suo tempo stava per scadere. Sembra probabile che, come suggerisce Doniger, Eliade considerasse il lavoro più importante della vita stessa e prese la distruzione dei suoi libri come il segnale della "vicinanza alla fine". Ciononostante non giunse mai alla conclusione che la vita non avesse più senso e diede ancora alle stampe le sue numerose memorie ed i diari. Si può riscontrare la medesima pervicacia nel rapporto che Eliade mantenne con la Romania e con quel che potremmo chiamare la rumenità. Fino alla fine della sua vita egli scrisse narrativa e memorie in rumeno. Il suo vivo e duraturo interesse ed il profondo senso di affiliazione alla Romania si. riflettono nel rapporto con la sua lingua e la sua cultura (ma anche con i rumeni in patria e all'estero: è opportuno ricordare con quanti di loro cercò e mantenne contatti, condividessero il suo pensiero o fossero militanti comunisti, sia ammiratori, studiosi delle sue opere, amici, parenti, sia estranei). Nel la meticolosa monografia Mircea Eliade: le radici rumene apparsa nel 1988, Mac Linscott Ricketts, che è anche traduttore di alcuni di questi volumi, fa una pregnante osservazione sulla rumenità: "Rumenità ... era un termine che il pubblico (rumeno) associava all'ideologia e ai programmi politici della destra oltranzista: tutti i partiti dell'estrema destra ... la invocavano nella loro propaganda. Di fatto significa va sciovinismo, antisemitismo, repressione delle minoranze, anticomunismo ed entusiasmo per iI fascismo italiano e il nazional-socialismo tedesco. Eliade pensò che questa parola, trovata negli scritti dei nazionalisti del 1800 che molto ammirava, in origine indicasse qualcosa 'al di sopra' della politica e fosse stata svilita dai partiti del ventesimo secolo." L'affiliazione nazionalistica di Eliade dev'essere evidenziata in tutta la sua intensità e pervicacia non solo perché egli passò più di metà della vita fuori dalla Romania, scrivendo in altre lingue e vivendo come un profugo di fama internazionale, ma anche perché egli rappresenta un caso di grande rilevanza per la vita intellettuale rumena e perfino per le sorti della Romania di oggi, di ieri e forse anche di domani. Eliade non fu uno di quegli intellettuali che frappongono un impenetrabile muro di libri tra sé e il mondo reale. Egli fu sempre partecipe del destino della sua terra natìa ed ebbe una chiara visione dell'ideale politico e sociale che si augurava per la Romania.
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