Linea d'ombra - anno XII - n. 93 - maggio 1994

36 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE giudice istrqttore. Il prigioniero: "Lo Stato dovrebbe punire la gente per quello che fa, non per quello che pensa. Il diritto romano diceva: cogitationis poenam nemo patitur'. "Che significa?", chiede il giudice istruttore. "Che non si può punire uno per quello che pensa. È un principio stabilito dai giuristi romani più di duerni]~ anni fa." "Dovevano essere tutti matti", è la risposta del giudice 'Istruttore (Gli spettri della rivoluzione, pp. 57-58). Nelle sue Lettres de Russie del 1839, Astolphe de Custine scriveva: "La vita sociale di questo paese è una congiura sistematica contro la verità. Chi non si lascia ingannare passa per traditore. Ridere delle adulazioni, rifiutare le menzogne, contrastare la mistificazione politica, voler motivare l'obbedienza equivale ad alzare la mano contro lo Stato e il Potere; ossia esporsi al destino del rivoluzionario, del cospiratore, del nemico dell'ordine, del criminale che lede la maestà, del Polacco, e sapete bene di che crudele destino si tratti ...". A questa frase, scelta come esergo da Herling a uno dei suoi saggi, fa da contrappunto, in Unmondo a parte, il ricordo di una donna che a Kolyma gli prestò un libro di Dostoevskij, Memorie di una casa di morti, e gli disse: "Nel 1936, appena entrata in prigione, soffrivo molto perché credevo di essere stata privata della libertà. Ma adesso so che la Russia intera è sempre stata una casa di morti, che il tempo è rimasto fermo tra il lavoro forzato dÌ ~ostoevskij e il nostro; e adesso io sono libera, completamente libera! Siamo morti tanto tempo fa, anche se non lo vogliamo ammettere. Pensi a ciò <l:hele dico ora: io perdo la speranza quando il desiderio di vivere si risveglia in · me, ma la ritrovo ogni volta che mi prende un desiderio ardeq.te• di morire". Doveva toccare proprio a un polacco come Herling mostrare, sulle tracce di un Cechov spintosi fino a Sachalin per scoprirvi "la malattia della libertà", che c'è anche un'altra Russia, capace di ribellarsi, una Russia che non è affatto un paese di morti. Herling ha ricordato, in un'intervista al "Corriere" (24 marzo 1992), l'occasione in cui fu proposta la sospensione della sezione del Pen Club di Budapest finché non fossero stati scarcerati gli scrittori ungheresi arrestati dopo l'insurrezione del '56. A favore della proposta votò perfino la delegazione polacca, composta esclusivamente di intellettuali di regime, mentre Moravia votò contro "per evitare ingerenze nelle questioni interne ungheresi": in quel momento Herling credette di capire perché, poco prima, in una birreria Moravia gli avesse raccontato che in Urss avevano appena deciso di permettere la pubblicazione dei suoi libri, non più ritenuti contrari ai principi dell'arte sovietica; così dicendo gli aveva dato di gomito strizzandogli furbescamente l'occhio .... Nel 1947, a un precedente congresso del Pen Club, Ignazio Silane aveva fatto questa affermazione, riportata da Herling in Gli . spettri della rivoluzione: "Gli intellettuali come classe non hanno ragione di ritenere che essi si siano comportati nel cors9 degli ,òlltirni decenni in un modo esemplare, né esiste una ragione di considerare come ben fondate le loro pretese di avere una parte di primo piano nel guidare l'opinione pubblica. È senza dubbio una cosa pericolosa e difficile parlare dell'esistenza di un'élite morale in qualsiasi paese: ma è straordinariamente rischioso identificarla con l'élite intellettuale". Gli intellettuali hanno spesso dato l'impressione ~ essere rimasti invischiati nel "dramma del cortigiano". E a volte hanno perso il senso del decoro. Comequell' Aleksej Tolstoj tc,tnato nell'Urss da Berlino, e per questo premiato da Stalin con una villa, due macchine lussuose e una cantina ben fornita. Durante un ricevimento al Cremlino Aleksej Tolstoj propose a Stalin di brindare alla loro amicizia e di darsi del tu ( Gli spettri della rivoluzione, p. 180). Il figlio del calzolaio georgiano gli rispose: "Voi certamente scherzate, caro Conte". OLOCAUSTOF, ASCISMO, SPETTACOLO Sulfilm di StevenSpielberg MarcelloFlores Una battagliera rivista di cinema degli anni Sessanta, "Ombre rosse", cui "Linea d'ombra" è per certi aspetti legata, coniò lo slogan, a proposito del film di Resnais La guerra è finita, "a film politico giudizio politico". È facile la tentazione di parafrasare quel semplice e lineare - troppo - metro di giudizio e di dire, pensando al film di Spielberg Schindler's List, "a film storico giudizio storiografico". Non mi pare che in Italia l'ultima opera del regista americano abbia suscitato le riflessioni e polemiche che si sono invece avute, ad esempio, in Francia o in Polonia o negli stessi Stati Uniti. Vedrò più avanti, riallacciandomi a un recente movimentato episodio di televisione "storica" postelettorale in Italia, di provare a capire perché da noi la discussione dell'Olocausto abbia sempre stentato a prendere corpo davvero, a decollare da una retorica abbastanza scontata, soprattutto dopo la scomparsa di alcune grandi personalità - penso soprattutto a Primo Levi - certamente più lette e apprezzate ali' estero che in patria. Quali sono stati i motivi ricorrenti del dibattito che ha segqito l'uscita del film di Spielberg? La veridicità o meno del racconto storico; la capacità o meno di richiamare il contesto storico dell'epoca e la sua specificità; l'opportunità di utilizzare una vicenda a lieto fine perraccontare la più grande tragedia collettiva del mondo contemporaneo. Più in generale è riemerso il dissidio/ dilemma tra chi pretende di garantire - nella memoria e nella coscienza - il carattere eccezionale e irripetibile, e per questo indicibile, di quella tragica esperienza, e chi invece si sforza di spiegarlo ricorrendo alla razionalizzazione, alla comparazione, a una necessaria riduzione e semplificazione. Quanto più una società è stata abituata a discutere questi temi e a convivere con questi interrogativi e con queste diverse impostazioni, tanto più il dibattito, per quanto acceso, è risultato utile ad ampliare il livello di consapevolezza e il grado di comprensione di questa complessa eredità storica. Da questo punto di vista il film qi Spielberg ha già ottenuto, con la sua sola presenza, un risultato positivo: costringere a prendere posizione e a dibattere e rendere evidente lo stato della sensibilità storica (che è segnale di cultura e coscienza politica) esistente nei diversi paesi. , Non è un caso, infatti, che la polemica e la discussione abbiano presto assunto un carattere eccentrico rispetto agli interrogativi iniziali e si siano spostate sul terreno della memoria e dell'educazione alla memoria, dell'efficacia, dei mezzi e così via. Il grande argomento addotto dai difensori di Spielberg, infatti, è stato il grado di "conoscenza" e di "memoria" dell'Olocausto esistente nei paesi occidentali, e in specie negli Usa, soprattutto tra le giovani generazioni. Chiunque abbia a che fare a qualsiasi livello e titolo col mondo della scuola non potrà che convenire su un fatto: sempre più la memoria del passato- in particolar modo del passato "pesante" come quello dello sterminio degli ebrei -

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