32 STORIE/ GROSSMAN Anche le frustate si moltiplicarono, diventando più mordenti, cattive, al tempo stesso gelide e brucianti, taglienti e penetranti. Trainare il carro sull'asfalto era al confronto più dolce dell'erba e del fieno, m,aper giorni e giorni capitava di non sentire l'àsfalto sotto le gambe. · I muli col'lobbero il freddo, il tremito della pelle inzuppata dalla gelida pioggia. Cominciarono a tossire, ad ammalarsi di polmonite. Sempre più spesso i conducenti trascinavano sul ciglio della strada i muli che avevano cessato di vivere, che non si muovevano più. Intanto la pianura si era come dilatata, la sua en01me vastità non la percepiva più soltanto con lo sguardo, ma anche con tutti e quattro gli zoccoli, che sprofondavano sempre più nel te1Tenomolle. Le zolle vischiose si appiccicavano tenacemente alle gambe, mentre la pian11raappesantita dall'acqua si faceva sempre più ampia e imponente. Nell'ampio, spazioso cervello del mulo, nel quale nascevano vaghe percezioni di odori, di forme e di colori, stava affiorando a poco a poco l'immagine di un concetto completamente diverso, un vero e proprio concetto, di quelli nati dal pensiero dei filosofi e dei matematici, il concetto dell'infinito: la nebbiosa pianura russa sotto la fredda pioggia autunnale. Ed ecco che questa immagine nebbiosa, greve e opaca viene sostituita da un'altra immagine bianca, arida, che infiammava le narici e scottava le labbra. L'inverno aveva inghiottito l'autunno, senza portare però alcun miglioramento. Anzi, portando con sé sofferenze inAudite:un rapace, feroce e vorace, ne aveva divorato un altro meno forte ... Lungo le strade, accanto ai corpi dei muli, giacevano ora anche· i cadaveri degli uomini uccisi dal gelo. Le forze muscolari e il morale di Giù erano ormai allo stremo per la continua, estenuante fatica, per il gelo, la pelle del petto scorticata fino alla carne viva, le piaghe sanguinolente sui garretti, il dolore alle gambe, gli zoccoLi consunti e rovinati, le orecchie congelate, gli occhi infiammati, le fitte allo stomaco provocate dal cibo gelato e dall'acqua gelida. Sentiva di essere sottoposto ad un'enorme pressione. li mondo intero gli stava crollando addosso come se niente fosse. Persino il conducente non infieriva più su di lui, si era rannicchiato su se stesso e non lo frustava più, non gli tirava più calci su quell'ossicino della gamba anteriore tanto sensibile ... La guerra e l'inverno lo stavano demolendo, e Giù opponeva a quest'attacco sferrato con tanta indifferenza, e che pQteva distruggerlo, una propria indifferenza altrettanto grande. Era divenuto l'ombra di se stesso, unacinereaombra vivente che non avvertiva più né il proprio calore né il piacere del cibo e del riposo. Per lui non faceva differenza camminare sulla strada ghiacciata, muovendo meccanicamente le gambe, oppure stare fermo, con la testa china. Masticava il fieno senza alcun piacere, con indifferenza, così come era indifferente alla fame, alla sete, al tagliente vento invernale. Le pupille dei suoi occhi erano doloranti per il biancore accecante della neve, ma non desiderava che scendesse la sera: per lui, ormai, quel sole gelido e le notti di luna erano la stessa cosa. Camminava sempre accanto al suo vecchio compagno di pariglia, ora somigliante a lui in tutto e per tutto: l'indifferenza che manifestavano l'uno per l'altro e verso se stessi era enorme. Questa indifferenza verso se stesso costituiva per Giù l'ultima ribellione. Essere o non essere gli era divenuto del tutto indifferente: il mulo sembrava aver risolto il dilemma di Amleto. Quandoiniziòl'offensivarussanonfacevaancoramoltofreddo. Durante il micidiale fuoco di preparazione dell'artiglieria Giù non sj fece prendere dal panico. Non cercò di strappare le briglie, non scalpitò quando il plumbeo cielo invernale si accese di lampi e la. terra cominciò a tremare, mentre l'aria, squarciata dai sibili dell'acciaio, si riempì di fumo, di fango, neve e detriti di argilla. Restò ritto, la testa bassa, mentre accanto a lui gli uomini correvano, cadevano, si rialzavano e riprendevano a correre, uòmini e carri che procedevano a zig-zag, autocani dal muso appiattito che correvano ali' impazzata. · Improvvisamente il suo compagno di pariglia ragliò, ma in.modo strano, con un suono di voce insolita, quasi umana, cadde, scosse le gambe e poi restò immobile, mentre la neve si arrossava intorno. Una frusta giaceva per teITa,e accanto ad essa, sulla neve, era steso il conducente Nicola. Giù non avrebbe più sentito lo scricchiolio dei suoi stivali, non avrebbe più annusato il suo odore di tabacco, di vino, di cuoio unto col sego. Calò la'sera. Si fece silenzio. Il mulo continuava a stare ritto con la coda tra le gambe. Nella sua testa vuota continuavano a tuonare i cannoni, che in realtà tacevano già da un pezzo. Di quando in quando Giù muoveva un po' le gambe, poi tornava immobile. Tutt'intorno giacevano corpi di uomini e di animali, autocarri ribaltati, qua e là si levavano pigramente sottili fili di fumo. E più oltre, senza inizio né fine..,la pianura: nebbiosa, buia, 1icope1ta di neve. La pianura aveva inghiottito tutto il suo passato, l'afa, i ripidi sentieri di pietrisco rosso, il mormo1io dei ruscelli. Ormai Giù non si distingueva quasi più dall'immobilità che lo circondava, si era come fuso in essa, era diventato un tutt'uno con la sconfinata, nebbiosa pianura ... Quando il silenzio fu rotto dai ca1Tiarmati - Giù li udì - un rumore metallico si propagò nell'aria, penetrò nelle orecchie degli uomini e degli animali morti, e anche in quelle del mulo sconsolato e ancora vivo. E quando l'immobilità della pianura venne infranta e i mezzi· cingolati e i pezzi d'artiglie1ia semoventi avanzaro110a fo1mazione spiegata da nord a sud, stridendo sulla distesa innevata, Giù li vide riflettersi sui parabrezza e sugli specchietti retrovisori degli automezzi abbandonati. Ed essi si riflessero anche negli occhi del mulo, ritto accanto al carro rovesciato, che non si spostò né scalpitò neppure quando uno dei cingolati lo sfiorò, alitandogli addosso un tepore amarognolo e un odore di olio bruciato. Poi sulla candida distesa si stagliarono bianche figure umane che si muovevano senza far rumore e che pai, rapidamente, quasi non fossero tromini ma animali da preda, scomparvero come dissolte, inghiottite dal l'immobile distesa nevosa. Poi da nord irruppe con gran fragore una fiumana di uomini, automezzi, cannoni, cani cigolanti. Improvvisamente un uomo con la frusta si avvicinò al mulo e si mise a esaminarlo. Giù captò un odore di tabacco e cuoio ingrassato. L'uomo, proprio come faceva Nicola, tastò Giù su un fianco e gLi guardò i denti, lo tirò per le redini e disse qualcosa con voce roca. Il mulo gettò istintivamente un'occhiata a Nicola che giaceva sulla neve. Ma il mulattiere rimase muto. L'uomo strattonò nuovamente le redini, ma ilmulo non si mosse. Allora l'uomo si mise a gridare e gesticolare: i suoi minacciosi incitamenti differivano da quelli dell'italiano non tanto perii timore che potevano incutere, quanto piuttosto per la combinazione dei suoni con cui venivano espressi. L'uomo colpì il mulo con lo stivale sull'osso sporgente della gamba anteriore, lo stesso su cui infieriva a colpi di stivale Nicola. Era un osso particolarmente sensibile e Giù provò un forte dolore. Il mulo seguì l'uomo. Si avvicinarono a dei carri già attaccati ai .
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