Linea d'ombra - anno XII - n. 93 - maggio 1994

22 SUDAFRICA/ BOSMAN Di tanto in tanto incontravo Webber. Sentivo dire che stava lavorando sodo, ma naturalmente nessun rooinek può guadagnarsi da vivere facendo l'agricoltore, a meno che ogni mese non gli mandino dei soldi dall'Inghilterra. Ma Webber, eravamo venuti a sapere, aveva speso quasi tutto quello che aveva per il terreno. Cercava sempre di imparare da quei libri verdi quello che doveva fare. È una fortuna che quei libri siano scritti in inglese e che quindi i boeri non possano leggerli, altrimenti molti altri agricoltori andrebbero in rovina ogni anno. Quando il bestiame si ammalava di galla, o le pecore avevano la febbre catarrale, oppure i vermi o le falene gli mangiavano il granturco, Webber andava a cercare il rimedio nei suoi libri. Chissà, magari li consul_tòanche quando i cafri gli rubarono le pecore. Tuttavia, Koos Steyn aiutava molto Webber e gli insegnava tante cose, perciò gli affari non gli andavano poi così i:nale,come invece sarebbero andati se si fosse fidato solo delle bugi<ìloscritte in quei libri verdi. Webber e Koos Steyn divennero ottimi amici. La moglie di Koos Steyn era diventata mamma solo poche settimane prima dell'arrivo di Webber. Per loro era il primo figlio dopo sette anni di matrimonio, e ·ne andavano fieri. Era una femminuccia. Quando nacque, Koos Steyn disse che avrebbe preferito un maschio, ma andava bene anche così, era meglio che niente. Fin dai primi giorni Webber si era affezionato alla bimba, che era stata battezzata col nome della madre, Jemima. Spesso, quando passavo davanti alla casa di Koos Steyn, vedevo l'inglese seduto sullo stoep, con la bambina sulle ginocchia. Nel frattempo gli altri agricoltori della zona cominciavano a essere infastiditi dall'amicizia di Koos Steyn con il rooinek. Dicevano che Koos era un vigliacco e un traditore, che era, amico di un uomo che aveva contribuito alla sconfitta della nazione afrikaner. Ma non era giusto definire Koos un vigliacco. Quando era scoppiata la guerra, Koos viveva nel distretto di Graaff-Reinet, quindi era un boero del Capo e avrebbe potuto anche non combattere. Invece si era 1,1nitoa un commando dello Stato Libero, con il quale era rimasto fino alla firma della-pace, e se in qualsiasi momento gli inglesi lo avessero catturato, lo avrebbero fucilato come ribelle, come avevano fatto con Scheepers e molti altri. Una volta Gerhardus Grobbelaar sollevò la questione mentre eravamo riuniti nell'ufficio postale di Willem Odendaal. "Quello che fai è sbagliato" disse Grobbelaar. "I boeri e gli inglesi sono nemici fin da prima di Slagternsek. La guerra l'abbiamo persa, ma u'ngiorno vinceremo. Dobbiamo opporci ai rooinek, è un dovere che abbiamo verso i figli dei nostri figli. Ricordati dei campi di concentramento." Pensai che nelle parole di Gerhardus c'era del vero. "Ma ora gli inglesi sono tra di noi, e dobbiamo conviverci" replicò Koos. "Se riusciamo a capirci meglio non avremo più bisogno di combattere. Questo inglese sta imparando l'afrikaans molto bene, e un giorno potrebbe diventare quasi uno di noi. L'unica cosa che non riesco a capire è perché si fa il bagno ogni mattina. Ma se cambia questa abitudine e la smette di lavarsi i denti, sarà quasi impossibile distinguerlo da un boero." Koos Steyn l'aveva messa sul ridere, ma sentii che anche nelle sue parole c'era della verità. Poi, l'anno dopo la siccità, fu la volta dell'antrace. Sembrava che fosse ovunque: nell'erba del veld, nell'acqua delle dighe, persino nell'aria che il bestiame respirava. Dappertutto trovavo vacche e buoi che giacevano morti a terra. Lo sconforto si impadronì di tutti noi. Quasi tutti, in quella parte del Marico, avevamo ripreso a coltivare i campi grazie alle terre che ci aveva dato il governo, e ora che il bestiame moriva non ci rimaneva nulla. Prima la siccità ci aveva fatto tornare al punto di partenza, adesso con l'antrace non avevamo più speranze. Non potevamo neppure seminare il granturco, perché se i buoi continuavano a morire con quel ritmo, nel giro di poco tempo saremmo rimasti senza bestie per tirare l'aratro. Alcuni cominciarono a dire che volevano vendere tutto quello che avevano per andare a cercare lavoro nelle miniere d'oro. Inviammo una petizione al governo, ma non servì a nulla. Fu allora che a qualcuno venne l'idea di rimettersi in viaggio. Ben presto non si parlò d'altro. Il problema, però, era dove andare. In Rhodesia non ci avrebbero lasciati entrare per paura che diffondessimo l'antrace anche lì, e sarebbe stato inutile andare in qualsiasi altra parte del Transvaal. Qualcuno parlò dell'Africa Occidentale tedesca. Nessuno di noi c'era stato prima, e credo che fu proprio per quello che, alla fine, decidemmo di andarci. "La maledizione degli inglesi si è abbattuta sul Sudafrica" disse Gerhar9us Grobbelaar. "Se rimaniamo qui moriremo tutti. Dobbiamo andare da qualche altra parte, dove non sventola la bandiera degli inglesi." In poche settimane si fecerò tutti i preparativi. Avremmo raggiunto il territorio tedesco attraversando il Kalahari. Ci portammo dietro tutto quello che avevamo. Davanti camminavano i buoi, i nostri carri li seguivano. Eravamo cinque famiglie: gli Steyn, i Grobbelaar, gli Odendaal, i Ferreira, Sannie e io. Anche Webber venne con noi, ma penso che non lo fece tanto perché desiderasse veramente partire, quanto perché lui e Koos Steyn si erano talmente affezionati l'uno all'altro, che l'inglese non se la sentiva di rimanere lì da solo. La persona più giovane era la figlia di Koos Steyn, Jemima, che allora aveva solo diciotto mesi di vita. Era così piccola che tutti la coccolavano. Webber vendette il suo carro e partì con quello di Koos Steyn. Quando alla fine del primo giorno di viaggio staccammo i buoi dai carri, eravamo già da diversi chilometri nel Protettorato del Bechuanaland, ed eravamo molto contenti di esserci lasciati alle spalle il Transvaal, dove avevamo passato tante sventure. Naturalmente, anche il Protettorato era territorio· inglese, ma ugualmente l'umore era migliorato da quando avevamo abbandonato il nostro paese. Ora vedevamo Webber ogni giorno, e sebbene fosse uno straniero con abitudini eccentriche, e sarebbe rimasto un uitlander per tutta la vita, ciononostante adesso lo disprezzavamo di meno per il fatto di essere un rooinek. Raggiungemmo Malopolole la prima domenica di viaggio. Per tutta la prima parte del tragitto viaggiammo nel Bushveld. Gli arbusti spinosi erano uguali a quelli che crescevano nel Marico, solo che diventavano sempre meno numerosi man mano che ci addentravamo nel Kalahari. Inoltre il terreno si faceva sempre più sabbioso, finché, prima ancora di arrivare a Malopolole, ci trovammo in pieno deserto. Tuttavia si continuavano a vedere cespugli sparsi qua e là. Quella domenica celebrammo una funzione religiosa; Gerhardus Grobbelaar lesse un capitolo della Bibbia e pronunciò una preghiera. Cantammo alcuni salmi, poi Gerhardus pregò di nuovo. Ricorderò sempre quella domenica e il modo in cui sedevamo per terra vicino a un carro ad ascoltare Gerhardùs. Fu l'ultima domenica che passammo tutti assieme. L'inglese era seduto accanto a Koos Steyn, e la piccola Jemima era sdraiata davanti a lui. Giocava con le dita di Webber, cercando di mordicchiarle. Era proprio divertente da vedere. Più d'una volta Web ber la guardò e le sorrise. In quel momento pensai che anche se Webber non era uno di noi, Jemima certamente non lo sapeva. Per lei non faceva nessuna differenza che l'uomo a cui stava mordicchiando le dita fosse nato in un altro paese e non parlasse la sua lingua. Ho molti ricordi di quel viaggio attraverso il Kalahari, ma una

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