20 SUDAFRICA/BOSMAN dedicava a un'occupazione utile, o almeno così credeva: limava la punta delle cartucce del suo Mauser.sfregandole su una parte piatta della roccia, finché si vedeva il piombo sotto l'acciaio, ottenendo così dei proiettili dum dum. Spesso gli dicevo la mia. "Hannes," lo esortavo "quello che stai facendo è peccato. li Signore ti guarda". "Non è un problema," rispondeva Hannes "il Signore sa che questa è la gue1i-a boera, e in tempo di guerra Egli è sempre disposto a perdonare una piccola sciocchezza come questa, tanto più che di inglesi ce ne sono così tanti:" A un certo punto, mentre eravamo appostati dietro quella roccia, in lontananza sulla strada scorgemmo due □omini a cavali<>. Rimanemmo perfettamente immobili e li lasciammo avvicinare fino a circa quattrocento passi. Erano due ufficiali inglesi, che montavano cavalli di razza e indossavano uniformi molto belle ed eleganti. Da diverso tempo non vedevo qualcuno tanto ben vestito, e mi sentivo piuttosto imbarazzato con i miei veldskoens e i pantaloni tutti gualciti. Ero contento che la roccia mi nascondesse alla loro vista, tanto più che la mia giacca era completamente strappata sulla schiena, dopo che tre giorni prima avevo dovuto passare in fretta e furia sotto un filo spinato. Ero riuscito a mettermi in salvo appena irf tempo. Il veld-kornet, che mi seguiva venti metri più indietro, era grasso e non correva veloce come me. Rimase sul filo spinato, trafitto da una pallottola. Per tutta la guerra boera fui contento di essere ll\agro e di non avere problemi di calli. Hannes e io facemmo fuoco quasi nello stesso istante. Un. ufficiale stramazzò a terra. Cadde di spalle e rotolò due volte sulia strada, sollevando polvere rossa con i piedi. Poi l'altro soldato fece qualcosa di strano: arrestò il cavallo e smontò. Lanciò solo un'occhiata verso di noi, quindi portò il cavallo nel punto in cui l'altro si contorceva e dibatteva al suolo. Gli ci volle un po' per issare il compagno sul cavallo, perché non è facile tirar su un uomo in quelle condizioni. I suoi movimenti erano lenti e calmi, come se non si curasse del fatto che gli uomini che avevano sparato al suo amico erano appostati a poche centinaia di metri di distanza. In qualche' modo riuscì a caricare il ferito sulla sella, e si mise in cammino a fianco del cavallo. Dopo qualche metro si fermò, come se si fosse ricordato improvvisamente di qualco'sa. Si voltò e con la mano fece un cenno verso il punto in cui immaginava che fossimo nascosti, come per invitarci a sparare. Per tutto il tempo ero semplicemente rimasto fermo a osservarlo, sbalordito dalla sua freddezza. . Ma quando agitò la mano caricai un'altra cartuccia nel mio Martini e presi la mira. Da quella distanza non potevo sbagliare. Mirai con molta attenzione, e stavo proprio per premere il grilletto quando Hannes mise la mano sulla canna e mi spinse in alto il fucile. "Non sparare, Oom Schalk" mi disse. "Quello è un uomo coraggioso." Sorpreso, guardai Hannes. Era pallidissimo. Non dissi niente, e lasciai cadere il fucile sull'erba, ma non riuscivo a capire cosa fosse successo a mio nipote. Non solo l'inglese, anche Hannes sembrava strano. Quante stupidaggini, non sparare a un uomo solo perché è coraggioso. Se è coraggioso e combatte dalla parte sbagliata, a maggior ragione deve essere eliminato. Dopo quell'episodio, rimasi con mio nipote per qualche mese. Poi, un giorno, durante una schermaglia vicino al fiume Vaal, Hannes rimase tagliato fuori dal suo commando insieme. ad alcune decine di altri burgher e dovette arrendersi. Da allora non lo vidi più. Tempo dopo appresi che, dopo averlo fatto prigioniero, gli inglesi lo avevano perquisito e gli avevano trovato addosso i proiettili dumdum. Lo uccisero. Fui molto addolorato quando seppi della morte di Hannes. Era sempre stato una persona piena di vita e di entusiasmo. Forse Hannes aveva ragione a dire che il Signore non se la sarebbe presa per una piccola sciocchezza come i proiettili dumdum. Ma fece l'errore di non pensare agli inglesi. Rimasi nel veldfino alla fine della guerra. Quando venne data la notizia della pace, deponemmo i fucili e ritornammo a casa. La mia fattoria era facilmente riconoscibile dalla buca sotto la koppie, da dove avevo estratto le lastre di ardesia per l'aia. Quella buca era quanto restava della fattoria così come l'avevo lasciata. Tutto il resto era distrutto; la mia casa incendiata, le mie terre devastate, il bestiame e le pecore massacrati: Persino i recinti di pietra che avevo costruito erano stati abbattuti. Mia moglie uscì dal campo di concentramento, e insieme andammo a vedere la nostra vecchia fattoria. Era entrata nel.campo di éoncentramento con i nostr~ due figli, ma ne uscì sola. E quando la rividi e mi accorsi di come era cambiata, capii che io, nonostante tutti i combattimenti a cui avevo preso parte, non avevo visto il vero volto della guerra boera. Né Sannie né io avevamo la forza di ritornare a coltivare la terra nello stesso posto. Sarebbe stato tutto diverso senza i bambini che giocavano per la casa e combinavano le loro birichinate. Con il denaro che ricevemmo dal nuovo governo per rimborsarci in parte delle nostre perdite, decidemmo di comprare un carro e dei buoi, e lasc"iammo lo Stato Libero, che ora non era più nemmeno lo Stato Libero, ma si chiamava Colonia del Fiume Orange. Attraversammo tutto il Transvaal, spingendoci nella parte settentrionale del Marico Bushveld. Anni prima, da ragazzino, avevo fatto lo stesso viaggio con i miei genitori, e ora che ci tornavo avevo ancora l'impressione che fosse una buona terra. Sul versante più lontano del Dwarsberge, vicino a Derdepoort, ci assegnarono un appezzamento governativo. Dopo di noi arrivarono altri agricoltori; un paio li conoscevo, venivano anche loro dallo Stato Libero. C'erano anche alcuni ribelli della Colonia del Capo che avevo visto impegnati in azioni di commando. Tutti avevano perduto qualche parente durante la guerra. Alcuni erano morti nei campi di concentramento o in battaglia, altri erano stati fucilati per essersi uniti ai ribelli. Quindi, per un motivo o per l'altro, tutti noi che eravamo emigrati in quella parte del Marico vicina alla frontiera con il Bechuanaland nutrivamo astio nei confronti degli inglesi. E fu allora che arrivò il rooinek. Ci eravamo stabiliti nei pressi di Derdepoort da nemmeno un anno, quando venimmo a sapere che un inglese aveva comprato un appezzamento confinante con la terra di Gerhardus Grobbelaar. La notizia ci giunse mentre eravamo seduti nel salotto della casa di Willem Odendaal, che serviva da ufficio postale. Una volta alla settimana il caITo postale portava le lettere in arrivo da Zeerust, e per l'occasione ci riunivamo in casa di Willem Odendaal a parlare, fumare e bere caffè. Pochissimi di noi ricevevano lettere, e quando arrivavano si trattava sempre di richieste di pagamento per i pozzi che avevamo fatto scavare nei nostri terreni o per il cemento e-altri materiali da costruzione. Tuttavia, ogni settimana andavamo puntualmente a ritirare la posta. Quella volta, come in altre occasioni, il carro postale non arrivò per via dell'inondazione del fiume Groen, e ce ne saremmo andati tutti a casa come se nulla fosse, se qualcuno non ne avesse parlato. Quando Koos Steyn sentì che un inglese stava venendo a vivere tra di noi, si alzò dalla panca su cui era seduto. "No, amici" disse, "ogni volta che arrivano gli inglesi, vuol dire che poco dopo i boeri devono spostarsi. Io sistemo il carro e preparo il caffè, e domani mattina presto mi metto in viaggio."
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