18 SUD AFRICA/ MPHAHLELE quello che succedeva fuori. li ronzio e il brusio, così familiari per Good Street, aumentavano in un crescendo di rumori selvaggi, minacciosi e crudeli. Improvvisamente ebbe la strana e spaventosa sensazione che fosse lui la causa di quel baccano, lui il centro attorno al quale turbinavano quegli schiamazzi, lui l'origine di quel l'agitazione. Per un disperato istante fu tentato di lasciare la valigia dov'era accovacciato. Sarebbe stato così facile per lui, pensò. Già, perché non lasciare lì la valigia e liberarsi le mani, anzi di più, l'anima da quel fardello. Dopotutto non era sua. Non era sua. Questo pensiero gli fece ricordare che aveva fatto tutto questo proprio perché non era sua. Il trambusto sull'autobus era stato causato dal puro e semplice fatto che non era sua. Sentì che doveva arrivare a casa presto perché non era sua. Si stava nascondendo in quel cortile come un fuorilegge proprio perché la valigia non era sua. Perché lasciarla lì dunque, dopo tutti gli sforzi fatti per entrarne in possesso e tenerla? Sicuramente dovevano esserci dentro degli oggetti di valore, si disse Timi tra sé e sé. Era così pesante. Sicuramente ce n'erano. Non poteva essere altrimenti. Sennò perché la Provvidenza e1:astata così generosa con lui finora? Sicuramente gli spiriti dei suoi antenati provavano compassione per lui, con una moglie malata e dei bambini affamati. Poi crebbe in lui una determinazione selvaggia, primitiva; la cieca determinazione di portare a termine un compito che •aveva iniziato, sia che si potesse evitare in tempo un disastro o no, sia che si dovessero trovare degli oggetti di valore o del tutto inutili. No, non si sarebbe separato dalla valigia. Arrivò un cellulare e portò via gli uomini e le donne che avevano arrestato. La macchina della polizia ripartì. Timi andò fuori in strada e si avviò lungo il marciapiede; non aveva il Foto di RonHoviv/Soba/Conlroslo coraggio di guardarsi alle spalle per il timore di perdere il suo sangue freddo o di commettere qualche errore. Sapeva che non era fatto per quel genere di cose. Sullo stesso marciapiede, in direzione opposta, stava arrivando Pitso. Dio, perché proprio Pitso in quel momento? Pitso il pettegolo, Pitso il famigerato chiacchierone che quando arrivava lui, la festa finiva. Adesso erano di fronte. "Salve! Sembri di fretta, eh Timi?" esclamò Pitso gioviale e strillone come sempre. "Arrivi o parti?" "Arrivo." Timi non voleva incoraggiarlo. "Ah, e da quando ti chiami A.J.B.?" "E chi ti dice che io sia A.J.B.?" "Guarda lì, amico." Pitso indicò le grandi iniziali sulla valigia e guardò l'amico con occhi sorridenti. "Ah, è di mio cugino." Timi avrebbe voluto cancellare dalla bocca di quella nullità quel suo stupido, largo ghigno. Più tardi si ricordò quanto si fosse sentito debole e impotente. Perché Pitso e il suo ghigno erano inseparabili, proprio come Pitso e la sua bocca. Magari non fosse sembrato così a disagio! "Scusa Pitso, mia moglie non sta bene, devo sbrigarmi." Se ne andò. Pitso guardò l'amico, col sorriso inespressivo ancora stampato sulla grande bocca. La Chevrolet si fermò proprio a fianco del marciapiede. Poi si rimise in movimento, procedeva con noncuranza piano piano, in folle. "Ehi!" Timi guardò alla sua sinistra. Qualcosa si spezzò dentro di lui e una scheggia gli arrivò dritta in gola. "Fermati, jong! 1 " gli fece segno il conducente.
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