8 DOPO LEELEZIONI non costituisce certo una novità né spiega interamente il dietrofront palermitano o la totale débacle della sinistra in Sicilia. Indubbiamente, l'anomalia della Sicilia nell'ambito di un Mezzogiorno complessivamente più aperto e ricettivo nei confronti del polo progressista, almeno rispetto alle aspettative della vigilia, indica chiaramente che Cosa Nostra è in grado di esercitare un controllo più stretto e più efficace del consenso di quanto non siano in grado di fare le altre forme di criminalità organizzata meridionali. Ma nel recente passato è stato dimostrato che l'ipoteca mafiosa può essere battuta o almeno arginata. Non si può del tutto escludere peraltro che l'anomalia siciliana nasca anche - in seconda istanza ovviamente - da una più diffusa, ancorché malintesa e fuorviata, esigenza di rinnovamento. Le ragioni dell'exploit di Forza Italia non si esauriscono tutte nell'indubbio appoggio del potere mafioso e della tangentocrazia, ai quali Berlusconi è calato con solerzia a promettere e garantire una rassicurante pax politica e giudiziaria. Possiamo allora dire che la sostanza della vittoria delle destre è la ricompattazione di un sistema di potere economico, politico e illegale che le lotte sociali, i movimenti di massa, l'opinione pubblica avevano gradualmente e parzialmente sfaldato. Ma ci sono molti altri fattori, più o meno secondari, che sarebbe miope e fallimentare non analizzare in modo rigoroso (compito che tuttavia sono costretto a lasciare ad altri, limitandomi qui soltanto a qualche fugace e frammentaria nota). A Innanzitutto bisogna considerare che c'è sempre stata una differenza rimarchevole tra il voto amministrativo e quello politico. La gente è disposta a concedere fiducia alla sinistra per quei che concerne il governo locale, ma non ancora per quello nazionale. Qui entra in gioco un complesso problema di credibilità e di immagine che si può solo rimandare ad ulteriori riflessioni. Ma certamente si può affermare che la battaglia dei progressisti è stata troppo difensiva, paradossalmente conservatrice, vertendo quasi esclusivamente sul mantenimento dello Stato sociale. A Palermo questo capovolgimento dei ruoli è stato ancora più evidente, dal momento che la sinistra era in campo come forza di governo. È escluso .che la Giunta Orlando sia stata giudicata nel complesso per il suo operato: nessuno ragionevolmente può imputare a un governo appena insediato una cattiva amministrazione che non ci sarebbe stato nemmeno il tempo materiale di mettere in atto. Tuttavia Orlando con alcuni discussi provvedimenti (peraltro nella sostanza opportuni ed encomiabili) ha toccato il punctum dolens delle clientele assistenziali suscitando il malcontento di alcune frange colpite nei propri interessi corporativi, a cui non ha fatto da contrappeso una consapevolezza dei benefici collettivi acquisiti. In sostanza, la Giunta si è subito fatta dei nuovi nemici senza però capitalizzare nuovo consenso. L'Orlando-dipendenza è stato sempre il limjte sostanziale della Rete (e non solo a Palermo), ma anche l'elemento "ariete" che ha consentito di scardinare il vecchio sistema di potere. Il caso Orlando è un chiaro esempio di effetto carismatico interclassista. Ma in queste ultime elezioni la sinistra è stata penalizzata da una spersonalizzazione della sua proposta, a cui peraltro corrispondeva nella parte avversa un'esasperata personalizzazione, anzi addirittura l'identificazione dello schjeramento con un volto e un'immagine. Orlando aveva raccolto un inaudito 75% di suffragi in un teteà-tete con un avversario, come Elda Pucci, di incomparabile modestia, in una situazione di vero e proprio tertium non datur. L'attesa messianica che aveva accompagnato l'irresistibile ascesa di Orlando alla guida della città (e che è imputabile solo in minima parte a un certo linguaggio evangelico del leader della Rete) si è convertita, per una sorta di effetto boomerang, in una precoce disillusione che ha spianato la strada alle lusinghe del1'Eldorado berlusconiano. Un certo massimalismo primitivo diffuso tra i ceti più provati e deprivati pretendeva un "tutto e subito" assolutamente chimerico confidando in proprietà taumaturgiche del neo-sindaco. Raggelata dalla cautela di una Giunta alacre ma anche riflessiva (e forse-nella fase iniziale- un po' troppo chiusa in sé) la città ha cercato altrove illusorie scorciatoie, credendo di vederle incarnate nelle figure vincenti e rampanti dei manager del Biscione. Dobbiamo abituarci a convivere con una estrema labilità e mutevolezza dell'opinione pubblica (espressione che-a rigordi termini~ oggi non significa più niente). Il consenso è effimero e fluttuante come la televisione stessa, che è lo strumento attraverso cui si costruisce. L'elettore usa il voto come il telecomando, mutando di continuo canale. C'è il rischio concreto che nei prossimi anni si verifichj l'avvento dello zapping elettorale. A Palermo il cambiamento di umore è dipeso in gran parte dalla diretta proporzionalità fra l'urgenza e l' enormùà dei bisogni e la disperata fretta di ampi settori della popolazione. C'è una necessità così immediata di risposte esistenziali (e spesso di mera sussistenza) che i normali tempi amministrativi non possono che generare ansia e malcontento. In questo humus di impaziente indigenza attecchiscono con grande facilità le formule miracolistiche, mentre deperiscono fatalmente i propositi di rigore e di realismo. La mitopoiesi berlusconiana ha affascinato la Palermo più disillusa e disperata e proprio per questo più disponibile alla .droga dei sogni televisivi. In una realtà per molti aspetti sudamericana, la macrotelenovela della Fininvest ha funzionato come oppio dei poveri. L'ostentazione dell'opulenza ha svolto un ruolQ cliseduzione e di garanzia. Nei quartieri popolari l'opinione più diffusa era che Berlusconi, essendo già ricco per conto suo, non aveva interesse a defraudare attraverso la politica la povera gente. C'è una sorta di pragmatico calvinismo popolare secondo cui la ricchezza e il successo sono sempre rivelazione palese di un'eccellenza a cui sarebbe in qualche modo "sacrilego" non dare fiducia. La politica è stata sempre considerata come ascesa al potere e non come discesa (quale deus ex machina) dal potere. Berlusconi "scende" in campo, non ha bisogno della politica, si mette anzi al servizio della politica. li meccanismo psicologico determjnato da questa teatralità annulla ogni discorso sui debiti attribuiti all'impero berlusconiano: lo status symbol per quanto acquistato a rate e ipotecato funziona sempre. Il miraggio delle minori tasse ha trovato a Palermo e in Sicilia un pubblico particolarmente ben disposto. C'è infatti un'antica tradizione anti-fiscale ("Governu 'talianu ti ringraziu/ca pi pisciari nun si paga 'u dazziu", recita una vecchia canzone popolare). Col suo sorriso "beautiful", Berlusconi ha promesso l'avvento di uno Stato utopico che tutto dà e nulla chiede (più lavoro e meno tasse), sostituendo all'idea dello Stato assistenziale quella dello Stato paternalistico (del Grande Padre telepantocratore). Contro un tale sfoggio di fascinazione, la sinistra ha schierato una serie di candidati di una modestia disarmante (e paradossalmente proprio i migliori sono stati i più penalizzati). Non solo in Sicilia il polo progressista non ha dirigenti di adeguato prestigio, ma è sprovvisto perfino di decenti quadri medi (come si diceva una volta). C'è bisogno urgente di un ricambio, di una trasfusione che attinga alle forze vive della società civile organizzata e della
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