sua cameretta o da qualche altro luogo circoscritto come il cimitero in cui vive (assieme al minorato Gnaghi che è il contraltare dell'alienato Groucho di "Dylan Dog") Francesco Dellamorte. Il brano che segue, tratto dal sesto capitolo di Dellamorte Dellamore, offre un illuminante esempio di come, per Tiziano Sciavi, un colloquio tra genitori e figlio possa essere costituito solo da frasi fatte, formalità e moralismo ottuso: il tutto nel completo disinteresse dei genitori per quello che Dellamorte dice e fa. "(U padre) si guarda in giro e annuisce pulendosi gli angoli delle labbra con l'indice. 'Ti sei messo bene. Quand'è che ti sposi? 'Dellamorte alza gli occhi al cielo: 'Ma dai, papà ...'. 'Cos'ha detto?' 'Ha detto che si sposa'( ...). 'Senti un po" gli dice poi con aria grave, 'don Fermo mi ha detto che sei andato a fare la comunione e lui ti stava dando l'ostia e tu gli hai detto: vorrei prima un aperitivo, c'è del Campari? Ti hanno sentito tutti in chiesa' 'Ma papà, questo è successo quindici anni fa ...' 'Guarda che per questa volta passa, che neanche a me i preti e quelle cose mi piacciono, ma devi portare rispetto lo stesso. Se fai ancora una cosa del genere ti do tante di quelle botte che te le ricordi finché campi, sai?'. 'Cos'hadetto?' dice la mamma di Dellamorte. 'Dice che va sempre in chiesa e che don Fermo gli chiede sempre di te' grida il papà di Dellamorte" (Dellamorte Dellamore, Camunia 1992). Per chi ha una conoscenza anche superficiale della biografia di Sciavi non dovrebbe essere difficile rendersi conto del grande rilievo che i riferimenti autobiografici hanno nelle sue opere, nei romanzi in modo particolare. Se le atmosfere e le caratteristiche dei luoghi in cui Tiziano Sciavi ambienta le vicende da lui immaginate rimandano in modo più o meno diretto al paesello di Broni, prototipo di tutte le cittadelle e di tutti i microcosmi narrati dallo scrittore, l'abbigliamento dei personaggi eil tipo di automobili di cui si servono rendono un chiaro omaggio agli anni Settanta, decennio contrassegnato da contestazioni giovanili, grandi ideali spesso e volentieri traditi e da una costante presenza della politica in tutte le sue forme e in ogni possibile ambito. Sciavi è stato ed è tuttora dichiaratamente di sinistra e non perde mai occasione di lanciare messaggi che incitano alla tolleranza, al rispetto delle minoranze e al pacifismo; si diverte a prendere in giro i reazionari e i fautori del militarismo; si scaglia contro il nazismo e il fascismo e, quasi contradditoriamente con la sua pessima idea dell'esistenza, parla di fratellanza individuale, attenzione per i poveri e i reietti e del valore della vita. Ma Sclavi sa che gli uomini sono condannati alla perpetua ricerca di un piacere che non potranno mai soddisfare e approda a un pessimismo cosmico che poggia le basi su di una visione deterministica dell'universo. Sciavi è ben convinto che dopo la morte non ci aspetti che il nulla, in quanto siamo parte del ciclico meccanismo della natura. Con una tecnicacheèquasi daécoledu regard, Sciavi si limita a fotografare in modo minuzioso le azioni compiute dai suoi personaggi, senza mai intervenire in prima persona o commentando le scene che descrive. Il messaggio consegnatoci da Sciavi non si riduce, malgrado la personale idiosincrasia dello scrittore per molti aspetti della vita, a uno sterile invito all'autodistruzione: egli non vede nel suicidio un'azione positiva o risolutiva ma semmai uno dei tanti inutili tentativi di liberarsi del male di vivere. Sciavi intende il suicidio come una comprensibile tentazione ma, dopotutto, vuole dirci che a dare un senso all'esistenza di un essere umano può essere solo la presenza di qualcuno su cui riversare quell'amore che tanto spesso ci viene negato dagli eventi e che è forse la più "soprannaturale" delle cose, alla base di tutte le nostre più laceranti e irrazionali emozioni. GRAN CIARLASULLASCENA ESILENZISULBOSCO. LIBRIPERRAGAZZI GiuseppePontremoli A distanza di pochi giorni-pochi, beninteso, se si pensa agli intervalli solitamente epocali: in realtà tra i due giorni cui mi riferisco ne sono intercorsi quaranta-a distanza dunque di pochi giorni il taglio alto delle prestigiose pagine culturali di uno dei più venduti quotidiani italiani è stato occupato da due notizie riguardanti la cosiddetta letteratura per l'infanzia. E così si potrebbe forse essere indotti a pensare che quelJa che è stata chiamata la Grande Esclusa proprio non sia più tale e sia divenuta invece oggetto di accurata attenzione, di puntigliose cure, di informazioni e riflessioni pertinenti. Se poi si pensa che le notizie riguardano due sc1ittori come Antoine de Saint-Exupéry e Roald Da.hl - autori di storie sicuramente annoverabili tra quelle che Bernardo Atxaga ha definito "storie del Bosco", cioè quelle narrazioni che, indipendentemente dall'ambientazione rurale o urbana, contengono "una forte carica simbolica e parlano della realtà interiore" - al lieto stupore si potrebbe anche aggiungere qualche euforia. Euforia generata esclusivamente dal fatto di incappare, sco1Tendo le pagine di quel quotidiano, in una foto o un titolo in cui l'occhio capta "Roald Dahl" e "piccolo principe" e subito uccisa però dalla lettura di titoli e occhielli e articoli. Infatti lo strillo del prestigioso quotidiano era dedicato a quanto "sadico e antisemita" fosse, a sentire la sua prima moglie, Roald Dahl; e diceva altresì, quel prestigioso giornale, quaranta giorni dopo, come l'autore de Il piccolo principe fosse problematico amante e "pedofilo possibile". Notizie in qualche modo rassicuranti, perché il fatto di trovare su un quotidiano parole dedicate alla letteratura per l'infanzia potrebbe far temere chissà che mutazioni. E invece no, non è così: nulla è cambiato e ancora una volta si è avuta la conferma che il diritto di esistenza è garantito soltanto a quanto sia in qualche modo eclatante e si connoti solo come variazione sul consolidatissimo tema della Gran Ciarla sulla Scena. Evidentemente non si 1itienedi qualche impo1tanza il fatto che Saint-Exupéry e Dahl abbiano scritto libri che ragazzi e adulti hanno letto e continuano a leggere e amare; né importano le ragioni di questi amori; né, eventualmente e più in generale, l'immagine che i lettori si possono fare dell'autore di un libro amato. o, non importa nulla di tutto questo. Quel che importa è stri I lare qualcosa che tenga la Scena. Eppure non si dovrebbe mai dimenticare quel che disse Isaac B.Singer a proposito dei ragazzi come lettori: "Un bambino non potrà mai essere ipnotizzato dall'auto1ità. Se si dice a un adulto che un libro è stato scritto da Shakespeare, o da Milton, inevitabilmente considererà il libro bello. Ma per un bambino un nome non significa nulla; il nome dell'autore non gli interessa". Inoltre Singer individuava tra le ragioni del proprio scrivere anche per i bambini il fatto che essi "non si aspettano che iIloro scrittore beneamato redima l'umanità. Piccoli come sono, sanno che ciò non è in suo potere. Sono soltanto gli adulti ad avere delle illusioni così infantili". Ma poi, adulti o bambini che si sia, sarà più impo1tante che
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