Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

a ~ " " ~ ~ \ 66 VEDERE,LEGGERE,ASCOLTARE · . happy end, e la patina moraleggiante delle storie (quante ragazze madri finalmente spose felici, quante brave ragazze sedotte, quanti salvataggi in extremis di periclitanti integrità). La fisionomia attuale delle brevi storie autoconclusive, che compaiono in coda ai periodici delle Edizioni Cioè e degli editori di seconda generazione, è, in ottemperanza allo "spirito" del prodotto, delle lezioni illustrate di behaviorismo, delle esemplificazioni narrative di saggezza analgesica. Se il fotoromanzo "democristiano" era un polpettone moralistico ma anche malizioso e allusivo, quello "sociaJjsta-berlusconiano" si trincera dentro i confini del target (I' adolescente) per riprodurne pedissequamente il teatro e moltiplicare all'infinito la casistica comportamentistica (la "prima volta", il tradimento, l'amicizia compromessa dall'amore, e così via ripetendo). La presenza di interpreti non noti o comunque non compresi nel circuito televisivo-cinematografico (non mi risultano prestazioni straordinarie di divi, come invece accadeva negli anni d'oro del fotoromanzo) fa sì che il rapporto fra immagine della star (il big) e immagine quotidiana del compagno (il boy) acquisisca un anello intermedio, un emblema mediano, un "corpo" sufficientemente "scelto" per tener viva la dinamica del desiderio (e la fedeltà al periodico) ma non abbastanza premiato dalla fama per situarsi nell'Olimpo dei "super". La lontananza dalla fama è, per altro, la condizione indispensabile per la veicolazione del "sapere", che fa del "corpo" non ingombrante degli interpreti un finto ma credibile "doppio" di sé. Il testo e il fantasma Detto questo, ci sembra che il discorso debba ricominciare da capo. O meglio che il discorso debba continuare altrove. L'adolescente resta muto, i periodici che gli sono dedicati continuano a opporre, anch'essi, un muro di cartaceo silenzio, le parole si assottigliano sino a diventare ossi di seppia. Il guaio è che il passaggio da una descrizione del fenomeno editoriale da un punto di vista prettamente merceologico a una valutazione delle sue valenze culturali (o almeno il tentativo di effettuarlo), lascia la fastidiosa impressione di ripetere un disegno già realizzato negli uffici marketing delle imprese attraverso ben più sofisticati strumenti, di far eco alla psicologa a cui è commissionato il commento della cosiddetta "ricerca quafaativa", vale a dire quella parte delle ricerche di mercato fondata su Il' analisi motivazionale della potenziale fascia di consumatori. Ne consegue un risultato importante: che la dimensione "testo" tende inevitabilmente a dissolversi, lasciando emergere il solo prodotto. In altri termini, il testo della pubblicazione non fa che professare un'identità estranea a ciò che veicola e "comunica", parla d'altro, anzi parla d'una sola cosa, dell'intrinseca necessità che il prodotto-testo ha d'essere consumato. Adifferenza, ad esempio, del fallimento commerciale d'un romanzo, d'un film, di un'opera responsabilizzati dalla firma di un autore, un periodico siffatto che non rispetti le previsioni di mercato, può limjtarsi a non esistere più, ad essere risucchiato dai ghostbuster degli uffici commerciali e amministrativi, a rinunciare aJla propria fantasmaticità. Quando il fantasma merceologico esiste, è inevitabilmente ubiquo, e dunque imprendibile. Tollera solo d'essere quantificato, e che si quantifichi dall'interno o dall'esterno di un'azienda mi par proprio che il risultato sia lo stesso. Forse, dovrebbe essere preso per quello che finge di essere (e questo è in parte il senso di questi appunti): e cioè un testo. Note I) H.M. Enzensberger, Mediocrità efollia, Milano, Garzanti, 1991, p. 53. 2) M. Horkheimer/ W. Adorno, La dialettica dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1977. IL 1993 IN VIDEO. UNARASSEGNA LucaMosso,AlbertoSaibene Un anno italiano in video, selezione della produzione indipendente, come recita il sottotitolo, ci consente di tentare un bilancio della situazione del video in Italia. La rassegna, primo appuntamento della sesta edizione di Filmmaker, si è svolta a Milano, con la collaborazione di Invideo, negli ultimi giorni di febbraio. Più che una linea univoca e coerente si possono rinvenire nella produzione italiana indipendente alcune tendenze dal presente sofferto e dal futuro incerto, tutte più o meno impegnate, tuttavia, nello sforzo di individuare per il video uno specifico e autonomo linguaggio espressivo. I video in rassegna a Milano, se da un lato testimoniano la definitiva emancipazione dall'estetica ipervelocista e furbastra del videoclip, dall'altra prendono le distanze dalla tentazione di replicare in piccolo i pochi pregi e i molti vizi del cinema italiano adulto. La scelta dei curatori di escludere la fiction per concentrarsi su documentario e videoarte, individuando quindi neJla non-narratività il principale tratto specifico del mezzo e recidendo, così, i legami con tutta la tradizione cinematografica, tendeva a costituire l'immaginario palinsesto di una "televisione che non c'è" (Cavatorta). Questa impostazione ha il merito di porre da subito il problema dei luoghi della fruizione, veramente cruciale anche per gli effetti che produce sulle scelte linguistiche. In attesa della televisione del futuro, cablata e "di segmento" (sul modello Channel Four e Arte), capace di recepire ed alimentare le spinte alla sperimentazione, i videomakers non possono che confrontarsi con la televisione "reale", capace nelle sue forme tradizionali (l'inchiesta, il talk show), o in quelle "moderne" (la linea Guglielrni) e marginali (Fuori orario e il ghezzismo) di occupare o almeno di condizionare tutti gli spazi dell' immaginario. Tra le 52 opere in programma, a nomi noti come Mario Martone o Daniele Segre si mescolavano semiesordienti provenienti da molte parti d'Italia. Una delle caratteristiche della produzione indipendente è la frammentazione geografica. Se infatti due terzi delle opere sono di provenienza romana o milanese, nel restante terzo troviamo lavori di produzione torinese, bolognese, catanese, palermitana, fiorentina, napoletana, a conferma di un policentrismo produttivo ormai acquisito. Nonostante che produrre in video abbia abbassato di molto i costi rispetto alla pellicola, la maggior parte dei video sono prodotti da piccole case di produzione o autoprodotti. La Rai, fino ad ora, non pare tenere una linea produttiva ben definita. Due i generi presentati nella rassegna: documentari e :videoarte. Della videoarte, alla quale si possono apparentare videoteatro e videodanza, si può dire brevemente che non sono molti i risultati che convincono. Sono da segnalare, per coerenza di ricerca, i lavori di Studio Azzurro, l'opera del napoletano Franz Ceranti tra

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