Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

condizione standard (la perdita di sé, il disordine emotivo, la promessa di una felicità assoluta). Il contesto, diciamo così, "realistico" allude alla presenza dei genitori (alterati per l'incremento di telefonate) e al fondale scolastico (la distrazione amorosa è pagata con un brutto voto). Dal calco dell'esperienza emotiva e sensuale dell'innamoramento si pretende solo una vaga verosimiglianza, una tipologia di secondo grado. Si presume che sarà raccontata ancora. E con uno stile non dissimile. Il fine apparente è quello di imparare a "conoscersi", come ripete una volta di più una rubrica interna che affronta il tema della masturbazione. Non ci sono tracce di malizia, doppisensi, allusioni ammicanti. E neppure si fa riferimento a un codice morale qualechessia. Tutto è terso e pulito. Siamo dinnanzi agli estremi esiti linguistici di quella forma particolare di cultura laica che è maturata dalla psicologia funzionale e dall'analisi relazionale. Anche quando, come in "Pupa" e "Cioè giri", si avverte un'interlocutrice appena più grande che ha già superato la "prima volta", l'orizzonte non cambia. Le tecniche di seduzione, i problemi sessuali di lui, le difficoltà di comunicazione della coppia sono letti come occasioni di un "dal I'A alla Z" comportamentale che si riempie e si svuota continuamente ponendo le condizioni del suo infinito prolungarsi nel tempo. Benché il modello sia quello "enciclopedico" (tratto che avvicina il periodico giovanile alla pubblicazione a dispense, altra grande protagonista dell'edicola), la formulazione delle voci si presenta come un workinprogressche mima l'ampiezza e la varietà della casistica comportamentale. L'ossimoro "definizione infinita" può ben applicarsi alla modalità dell'operazione editoriale e all'"offerta" ideologica. Stretta com'è fra la concretezza di pettini e petting e la vaghezza di un mondo linguisticamente inafferrabile, fra la professata tangibilità del proprio corpo e del corpo del partner e la proiezione onanistica del corpo della star, l'adolescente può rinunciare alla propria "stupidità" schermandola dietro il "manuale" che incasella settimanalmente le sue fantasie e settimanalmente giustifica l'errabonda volatilità del suo agire. L'elasticità del "manuale" è così lenta da concedersi anche l'apparente contraddizione fra minimalismo esistenziale e proiezione fantastica che sigla il periodico. ln "Super!" (marzo 1994, n. 88), nella rubrica 'Pronto soccorso amore' la questione è affrontata da un "noi" mimetico redazionale: "Cosa fare per questo nostro grande e disperato amore per iI big?", "Passiamo intere giornate chiuse in camera nostra in compagnia di foto, poster, ritagli di giornali e dischi (se è un cantante) ...", "Ma è giusto vivere così?", "No, per parecchie ragioni. La prima è che rischiamo di dimenticare la realtà ... La seconda è che coltivare sogni impossibili, se rappresenta uno stadio dell'adolescenza, è pur sempre uno stadio" "La terza ...(è che) se davvero riuscissimo a conoscerlo, scopriremmo che lui è un normalissimo mortale e non il super eroe che noi avevamo costruito nella nostra fantasia (con l'aiuto della pubblicità e dei creatori di immagine)". Il gioco è dunque scoperto. Nessuna sorpresa. li periodico, che è "creatore di immagine", promuove "super eroi" e fornisce materiale per affollare i muri della "nostra camera", non esaurisce nel processo mitopoietico la sua funzione; anzi, la sua funzione comincia allora. Il suo ruolo, come s'è già detto, è quello di dispensare saggezza analgesica, di garantire un equilibrio formale, di offrire un "documento" trasversale rispetto alle istituzioni che azzeri ogni sospetto di conflitto. È interessante notare come la formulazione del "problema" (qui e sempre) avviene secondo uno stile tipicamente scolastico, da "tema in classe" standard, con il significativo scarto dell'interrogazione retorica ("Ma è giusto vivere così?") che separa l'enunciazione "drammatica" dalla sequenza numerata delle "ragioni" che sorreggono l'argomentazione propositiva. È dunque fondamentale far sì che il cerchio non si chiuda mai, rimandando, con buona pace di "ragioni" e definizioni all'infinita declinazione delle immagini del desiderio, ovvero al pezzo di chiusura del settimanale, Principe delle passioni, in cui il corpo della star si reincarna in una nuova epifania della virilità ("Lorenzo Flaherty è il nuovo idolo della televisione italiana"). La sindrome di Cherubino Si sa pochissimo dell'adolescente. Se n'è sempre voluto sapere poco. Letteratura e cinema sono sempre sfuggiti alla frontalità del ritratto (salvo casi eccezionali come Le grand Meaulnes di Alain-Fournier e l'episodio Ermannino di Heimat del regista tedesco Edgar Reitz) e hanno sempre preferito giocare sulla comicità o sulla tragicità vagamente mostruosa del non-più-bambino/a e non-ancora-uomo/donna (basti pensare aMaliziadi Samperi, alla stessaLolita di Kubrick o a Carrie di Brian De Palma-Stephen King). Ne sa poco la scuola che "normalizza" la sua "mostruosità" offrendogli lospazio destinato istituzionalmente alla crescita, alla maturazione. E la famiglia ne sa quel che le consente la relazione privilegiata che con lui instaura. È singolare come a una conoscenza così scarna e svogliata faccia riscontro, sull'altro versante, una spasmodica fame di sapere, anzi, per essere più precisi, un'ansia febbricitante di essere "spiegati" a se stessi, di possedere la conoscenza attraverso la mediazione di un altro. È l'atteggiamento di Cherubino nelle mozartiane Nozze di Figaro quando interroga Susanna e la Contessa: "Voi che sapete/ che cosa è l'amor/ donne vedete/ quel che ho nel cor". Il giovane Cherubino non è consapevole dell'inquietudine che lo agita e chiede di essere spiegato a se stesso non tanto per agire di conseguenza (nella fattispecie dichiararsi innamorato dell'una o dell'altra donna) quanto per legare la propria incertezza interiore (e il dolce struggimento che le è implicito) alla saldezza di un linguaggio che ignora e che vuole continuare a ignorare. E ai versi di Da Ponte fa eco - se vogliamo - la redazione di "Debby'' n. 23, 1993 parlando a proposito della timidezza di "quella fase difficile che è la nostra adolescenza, un momento in cui non sappiamo con certezza chi siamo, o meglio, chi vorremmo essere". Il "noi" mimetico-si noti-non esprime un'opinione bensì descrive e definisce una modalità dell'essere, non parla la lingua di un "sé" doloroso bensì quella di un programma da sala riunioni stilato per non mai lasciare Cherubino senza risposta, per assicurargli un periscopio sempre aperto sul suo cuore "analfabeta". Da questa "sindrome di Cherubino", da questo piacere del la passività cono citiva discendono i progetti speciali che l'editoria d'edicola ha costruito per l'adolescente, nonché la rassicurante proposta di una "cultura passiva" chetale è la promessa - si prolunga senza traumi anche nelle età successi ve. Alla specificità della "sindrome di Cherubino" bisogna per altro far risalire anche la presenza del fotoromanzo, un genere caduto in disgrazia presso il pubblico adulto verso la prima metà degli anni Settanta e accolto con nuova fortuna ali' interno del periodico adolescenziale. Il passaggio è avvenuto con un sostanziale aggiustamento di tiro, lasciando cadere la greve componente romanzesca, il "racconto" alla Matarazzo di melodrammatiche vicende quotidiane risolte per lo più con un

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