e muove i suoi passi verso la prima vetrina per contemplare nel riflesso difficile l'acne nemica che minaccia le tempie. Dall'alto degli uffici marketing la "stupidità" adolescenziale è un pregiudizio, un en-ore di valutazione: quei due non sono più stupidi dei loro genitori e dei loro fratelli maggiori. Non sono stupidi affatto. Nessuno è stupido nella linda e laica civiltà della logica di mercato. Quei due sono ben noti e rispettati negli uffici delle majordiscografiche, fra i manager delle majorcinematografiche, fra i produttori televisivi, fra i responsabili di palinsesti, fra gli alchùnisti del messaggio pubblicitario. Altro che stupidi. Sono un soggetto sociale che ispira serietà, una serietà inquieta e febbrile. Giacché quei due sono, per età, i primi consumatori ad affacciarsi autonomi sul mercato. Il "figlio dell'analfabeta" E invece nessuno ha mai avuto, adolescente, la grazia di non sentirsi stupido. L'età, come è noto, è ingrata. Ci si fa una ragione del vuoto e si prende tutto quello che cade dentro, senza badare all'eco del tonfo. Le scelte-e quando ci sono sono radicali - obbediscono alla giusta irrazionalità di un'esistenza che butta germogli di una struttura emotiva, di uno schema cognitivo che ancora non si dichiarano. A differenza dell'infanzia e dell'età matura l'adolescente è alla mercé di se stesso e del mondo. E il mondo lo sa. Cosa che non rende le cose più facili né all'adolescente né al mondo. Il primo cerca di delibare la propria "stupidità" con meno sensi di colpa possibili, il secondo cerca di volta in volta di estirparglieli con ottusa sollecitudine supponendo di rendergli la strada più facile o di somministrarglieli con generosa ferocia supponendo di fargli imboccare la strada più giusta. E l'editoria? Chi è l'adolescente per l'editoria? Dell'editoria libraria non val punto discorrere, giacché, caduta la produzione, laica o confessionale non importa, della divulgazione seriosa e paterna, e, frenato da un fenomeno ante litteram del political/y correct, il libro ha scantonato davanti al giovinotto e alla fanciulla come l'impiegato scantona davanti all'immigrato. Sperando di passargli accanto invisibile. Confidando nella Tv come in un centro d'assistenza. L'editoria d'edicola è più accorta, rispetta il messaggio televisivo e se ne fa emanazione cartacea, accettando, con consapevole solerzia, il vassallaggio. Il periodico per teenager, è, per definizione, il bacino residuale del prodotto televisivo. E l'adolescente è, di conseguenza, un "residuo" del pubblico televisivo. L'osservazione del materiale esposto in edicola non desta altre considerazioni che questa. Alla categoria sociale e culnirale che Hans Magnus Enzensberger ha chiamato "analfabeta secondario", possiamo accostare quella, più sb1iciolata e incontrollabile, del "figlio dell'analfabeta", omologato, per via linguistica e simbolica, alla figura genitoriale, e assorbito come questa, nelle strategie della comunicazione. ("L'analfabeta secondario è il prodotto di una nuova fase del l'industrializzazione. Un'economia il cui problema non è più la produzione, bensì lo smercio, non sa più che farsene di una truppa ben disciplinata. Ha bi ogno di consumatori qualificati. (...) Il medium ideale per l'analfabeta secondruio è la televisione".) 1 Il fastidio che il padre prova entrando nella camera del figlio tappezzata di poster (vale a dire degli inserti allegati ai periodici) non ha nulla a che vedere con la logica dei valo1i, bensì con la percezione - per lo più incon apevole-dell'aspetto residuale dell'universo simbolico di cui l'adolescente colma lo spazio che gli è stato affidato. E iste dunque una "maturità" dell'analfabeta secondru·io. Non è, però, davanti allo schermo che si gioca la differenza: sino ad allora il messaggio televisivo (quand'anche ruticolato secondo fasce d'ascolto differenziate) è ancora un pacchetto compatto, ha una identità univoca. Come dire che Beautiful e Beverly Hills sono consumati "alla pari" da padre, madre, figlia e fratello maggiore. Lo stesso si dica per la musica, il cinema, la moda. Sono fenomeni che, quanto meno, si lasciano fruire come informazione. Quando, però, il messaggio del medium si polverizza nella stampa, diciamo così, generazionale, le cose cambiano. Il messaggio subisce, attraverso il periodico, un processo di gergalizzazione, di sottocodificazione che residualizza, a un tempo, prodotto editoriale e fruitore. Il "figlio dell'analfabeta", che è purtuttavia un figlio, oppone, in quanto "residuo", la cultura residuale a quella "matura" del genitore. La gergalizzazione, va da sé, suona anch'essa "analfabetizzata", dato che, se è vero che un gergo giovanile esiste, per i vassalli televisivi esso deve suonare deresponsabilizzato, appiattito, qualunquisticamente anglofono (valga per tutti il termine "big"). "Gergali" sono dunque i titoli delle testate (Cioè, Cioè girls, Debby, Super!, Pupa, Mini, Big Star), "gergale" è la grafica (tripudio del colore, caos di corpi e caratteri, ornato bamboleggiante) "gergale" è lo spettro tematico compreso fra la sfera privata del "big" e la sfera privata del consumatore potenziale. "Gergali" sono i codici figurativi, dettati dall'assoluta riconoscibilità del corpo della stai· e dalla plasmabilità, altrettanto assoluta, del corpo adolescente, così come quelli linguistici (da una prute l' appru·atoretorico del la fama e dall'altra lagrammatica del successo quotidiano nell'ambito del sesso, dell'amore, della competizione sociale, ecc). Alla base dell'offerta edito1iale compare, quand'anche drasticamente settorializzata in un'ottica generazionale, il mito del divo utilizzato secondo le modalità, consunte e a brandelli quanto si vuole, ma pur sempre efficaci, della proto-industria culturale. Vien voglia di citare Horkheimer e Adorno: "La perfetta somiglianza è l'assoluta differenza. L'identità della specie vieta quella dei casi. L'industria culturale ha perfidamente realizzato l'uomo come essere generico" 2 • on c'è nulla di più "generico" del "figlio dell'analfabeta", cieli' adolescente-consumatore. Uno, due, mille Cioè "Cioè" non è soltanto il nome del la testata più rappresentati va del l'area del periodico "adolescente", è anche la società editori aie leader del settore. Dal 1980 in poi, le Edizioni Cioè hanno attinto al serbatoio della rivista-madre moltiplicando le testate. Accanto a "Cioè", s'allineano titoli come "Cioè giri", "Debby'', "Pupa", "Cleò", "Mini", "16anni", ai quali s'aggiungono periodici di informazione televisiva, astrologia e fai-da-te come "Stelle tv", "Teleturto", "Astrella" e "Brick". E l'elenco è incompleto. L'effetto appru·enteè quello di un processo di partenogenesi. In realtà si tratta di un'operazione mru'keting tanto acuta quanto elementare. Una volta appurata la potenzialità del bacino d'utenza e la disponibilità all'acquisto (il prezzo di copertina dei periodici a testata generazionale s'aggira fra le3.000e le 3.500 lire,quello dei periodici d'informazione sulle 1.000), il prodotto si scinde in un pluriprodotto che compensa l'attesa di vru·ietàma, al contempo, rassicura l'iterazione del messaggio. È lastessa operazione su cui i è fondato lo strepitoso successo delle collane Harmony. Il pubblico è, in entrambi i ca i, prevalentemente femminile. ln entrambi i casi, dietro l'ampiezza del successo, si legge I' ampiezza del bisogno di passività culturale. Un bisogno di cui la sociologia discetta ma che solo gli uomini-marketing hanno imparato a conoscere veramente quantificandone la portata attraverso i rilievi di mercato. Da una lettura descrittiva di "Cioè" emergono alcuni punti-
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