PICCOLOINFERNOQUOTIDIANO. GEOGRAFIAMILANESE OrestePivetta L'epigrafe è una citazione di Italo Calvino: l'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, quello è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Milano, 1994. Percorsi nel presente metropolitano (Feltrinelli 1994, pp.165, Lire 18.000) la traduce nelle voci e nelle immagini di una microrealtà urbana. Lorenzo Fantini, ancora un giornalista (collaboratore di Milano, Italia), gira la città del! 'era Formentini, seguendo le circonvallazioni, i grandi anelli concentrici che dall'età romana alle tangenziali d'oggi la racchi udono, egli assi di penetrazione, le vie che da sud, est, nord, nord-ovest l'hanno collegata alla campagna, alla Repubblica della Serenissima, all'Europa occidentale, al Piemonte e alla Francia. La narrazione segue le strade nella casualità degli incont:Ji e delle immagini e quindi delle "vite", delle esperienze, dei dolori e delle speranze, senza darsi pena di sintesi generali, di accostamenti per tema, di disegni ... È un procedere faccia dopo faccia, l'edicola, il mercato, la casa popola.re, la sede politica, il leghista, l'ex comunista, l'immigrato, l'inunigrato che s'è adattato, l'immigrato che si spegne nella desolazione, l'ex opera.io senza fabbrica, il sindacalista della Elizabeth Arden, il comitato antidroga, l'autonomo, il covo dei naziskin ... Lo sguardo sulla città di Lorenzo Fantini può ricorda.re quello di Nik Cohn, più recente, o di Jerome Charyn su New York (rispettivamente con Broadway, Einaudi, e con Metropolis, e/o), che rimandano magari a Dos Passos (New York). Fantini si fa accompagnare da un tassista.come Nik Cohn, che si sceglie Sasha Zim, un russo appena sbarcato nel cuore della Grande Mela, ma così svelto da potergli ormai fare da guida. Charyn viaggia invece all'ombra del sindaco, ne segue le mosse, lo spia nei suoi raid postelettorali tra ospedali, scuole, ospizi, senza tetto. Per Fantini il sindaco leghista neoeletto è una presenza. per forza di cose meno determinata. Il sindaco è appena nato, non si vede, non si sente, non ha gesti, quasi non ha un volto. Si sentono i "suoi" nei consigli di zona, nei comitati di quartiere, tra la gente. Un'ombra, un fantasma, un interrogativo sulla vita della città. Quanti si chiedono, proponendo le Lorovicende al cronista di Milano, 1994, "e adesso che cosa succederà?". Immigrati che temono per i loro diritti o per la sorte di un centro di p1ima accoglienza, operatori sociali che aspettano il taglio delle spese "superflue", inquilini di uno stabile popola.re che vorrebbero che i tetti e i balconi e le fogne venisser_?riparati, genitori che sperano nel rip1istino di un parco giochi. E la città vera, nelle sue infinite domande, che cerca il proprio futuro. Che non avrà risposta. Finora almeno non la ha avuta. Tantomeno cerca il libro di darne una. Fantini si preoccupa della geografia, della molteplicità, della varietà. Si muove cinematograficamente. Cioè il metodo è quello della cinepresa che annota. Ma la scrittura lascia il tempo alla dichiarazione, alla riflessione, persino al sentimento e quindi alla comprensione. Senza mai tradire la concretezza, l'evidenza. Basterebbe quella prima pagina, primo capitolo, The day after, cioè Milano 20 giugno 1993, quando il primo exit poll conferma l'elezione di ForFotodi Guido Fiore/Ansa. mentini. Il taxi cammina per una città calda e umida, "avvolta nel coprifuoco", Enrico Mentana comunica i risultati in tv, "in un bagno di sudore". "Rivoli di liquido denso gli si infilano sotto il colletto della camicia." Sono da poco passate le dieci di sera. L'inferno 1nilanese di Lorenzo Fantini comincia in quella notte di inizio estate e te lo senti addosso. Probabilmente le colonnine dell'inquinamento avevano raggiunto livelli altissimi. Era giusto l'ora del rientro dal week end (l'affluenza alle urne non aveva raggiunto il settanta per cento), il centro oppure corso Buenos Aires oppure i navigli erano stati presi d'assalto da migliaia di auto e di persone in cerca di un parcheggio, di un cinema, di un bar, di un po' di musica. Una fotografia autentica. di un'illusione. Altre ne seguiranno e fanno parte dell'universo quotidiano e dei panorami consueti di una grande città, Milano, Roma,Napoli, forse Torino. Probabilmente le differenze si sono fatte negli anni meno vistose. Oppure si sono organizzati luoghi fisici di omologazione. Le città nuove, le città delle grandi periferie, dei palazzoni speculativi accanto ai "grandi progetti" pubblici potrebbero sembrare urbanisticamente e sociologicamente uguali dappertutto, non fosse per qualche obbligo paesistico (le colline di Roma per esempio), non fosse per i diversi livelli del degrado, sempre meno diversi in realtà. Le periferie di Milano, le periferie dei grandi agglomerati Iacp sorti negli anni Sessanta-Ottanta., a contatto con la campagna e con le autostrade, tagliando orti e cascine, scavalcate dai viadotti, sono diventate una sorta di spugna che si adatta e che accoglie tutto. La città in fondo è una spugna. Una città come Milano si esp1ime appunto per questa capacità di assorbire, ingerire e proteggere, ingerire e utilizzare. Forse più di qualsiasi altra città italiana, per essere una città di pianura e di commerci, governata. nella sua sto1ia da una classe dirigente, di industriali o di conm1ercianti, di speculatori o di finanzieri, che alla cultura ha sempre premesso i soldi, da qualsiasi parte provenissero, una classe dirigente che non ha mai avuto il timore di sacrificare persino la propria. storia pur di guadagnarci (pensiamo alle ricchezze costruite sugli sventramenti delle zone medioevali e rinascimentali di Mila.no).
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