Linea d'ombra - anno XII - n. 92 - aprile 1994

' 4 DOPO LEELEZIONI ,. CORAGGIO, ITALIA! PiergiorgioGiacchè "Forza Italia", ha appena finito di trasmettere i risultati definitivi della vittoria di Canale 5 e all'improvviso ci si accorge che finalmente "è passata 'a nuttata" ed è già mattina. Primo giorno. (dalla Bibbia della Seconda Repubblica; Genesi, 29, 3-94) "La sinistra come al solito è stata sconfitta", titola più o meno il "Giornale" di Feltri. Ed ha ragione. La lunga marcia delle amministrative trionfanti di giugno e di dicembre, la costruzione di un polo tanto moderato da far sognare un governo futuro uguale al presente, l'aggregazione ragionevole ed estesa che teneva insieme Del Turco e Orlando, Adornato e Berti notti - che cioè andava dalle estremità dei rifondatori alle teste pensanti di Alleanza Democratica (vero cervello di ricambio!)- non è servita ad altro che a contarsi. Come al solito. Ma come mai? Qualcuno dirà che questo riuscito tentativo di tranquillizzare tutti ha funzionato per davvero da tranquillante. Qualcun' altro lamenterà che sono stati scelti male i candidati, ritornando alle logiche e alle famiglie di partito, invece di insistere con gli outsiders e i tecnici del vero rinnovamento. In molti si lamenteranno di essere stati ancora una volta a votare "per paura delle destre" più che per fiducia nelle sinistre. In pochi si accorgeranno che da vari anni le sinistre non hanno né grandi idee né grandi uomini (A proposito, il 30% garantito alle donne?). Tutto vero, ma basta a spiegare una sconfitta? E basta a spiegare una vittoria dell'altra parte? Come ha fatto Berlusconi, mettendo in piedi in tre mesi non un partito ma appena un colossale movimento di paninari, a prendere il posto della DC e del Psi? Come ha fatto Fini a portare il Msi in zona governo e a rendersi credibile appena rimpicciolendo la fiamma nel nuovo simbolo, quando ad Occhetto una ben più drastica operazione di rinnovamento e di riduzione non è mai giovata? Come hanno fatto i Lombardi alla prima crociata a conquistare subito Roma, mentre quelli che sono in cammino da anni - anzi da secoli tanto che "la storia sono loro" - sono ancora attestati in Umbria e non si muovono di lì? "Quante vicende, tante domande", diceva Brecht, buona anima. Ma nella storia o nella cronaca politica di questi ultimi anni non ci sono risposte né spiegazioni convincenti: il fattore K è caduto, il craxismo è passato in giudicato, la DC si è sfasciata, la crisi economica attanaglia anche i padroni e perfino la mafia non si sente troppo bene. Quale momento migliore e quale spazio maggiore per un governo di sinistra? Il fatto è che la Storia non spiega gran che e soprattutto non insegna mai nulla a nessuno. Per quanto possa sembrare irragionevole e triste, è così che (non) funziona. Sarebbe il caso di dirselo, invece che fare della storia un valore o addirittura un inno. Anzi, se si smettesse di inneggiare, forse si scoprirebbe che qualche colpa ce l'hanno proprio le canzoni. E le feste e le televisioni, gli spettacoli e le comunicazioni, con cui la sinistra ha prolungato ben oltre la decadenza il suo impero culturale. Non ci si vuole aggiungere al coro infido di chi durante la campagna elettorale si è lamentato della sua straripante egemonia, di chi l'ha accusata di controllare la Raie di orientare metà della stampa, di influenzare la scuola e l'università e l'associazionismo ... ma è anche vero che - se fosse un media - si potrebbe dire che la sinistra non ha mai avuto tanta diffusione e un così grande indice di ascolto, pari soltanto all'insipienza dei suoi programmi; e - se fosse una moda - si potrebbe riconoscere che un lungo periodo di intenso sinistrese, edonista reaganiano e nostalgico kennediano, ambientalista e gastronomo, pacifista e dissoluto, ha siglato o sottoscritto tutte le tendenze, tutti i mercati, tutte le occasioni che hanno contato negli "infiniti" anni Ottanta. Il problema è venuto fuori quando si è riproposta la Sinistra come forza politica. A quel punto la questione culturale, quella dei principi e dei valori ma anche delle norme e dei comportamenti "giusti", è stata sottovalutata e si è messa in moto un'unione delle sinistre che stava sì in cielo e in terra, ma non nelle teste dei suoi componenti. E non si vuole certo parlar male dell'eccessiva eterogeneità come se il problema fosse l'unione, ma al contrario proprio dell'omogeneità anzi della pasoliniana omologazione che affligge e debilita l'identità che si intende esprimere quando si dice sinistra: la stessa facilità e rapidità con cui si è riusciti ad organizzare un cartello la dice lunga sulla leggerezza del dibattito, su quanto sono flebili le differenze e quanto sono ancora poche le minoranze che dovrebbero comporre una sinistra non ideale ma appena funzionale. La sinistra può invece distinguersi e contare e contrapporsi solo se riesce a moltiplicare prima, e a incarnare poi, quelle minoranze a cui è affidata la definizione stessa di democrazia. Sempre che non si creda che "democrazia è il governo della maggioranza" - cosa che è riuscita perfettamente anche a Luigi XIV e a Mussolini che governavano, checché se ne dica, con il massimo del consenso - anziché "tutela e sviluppo delle minoranze". Stavolta ha votato e ha vinto la maggioranza. Che scoperta, si dirà. Eppure non sempre vince e nemmeno sempre vota la maggioranza che è fuori e dentro di noi. Spesso si sente che è la minoranza quella che ci spinge, ci condiziona, ci entusiasma. Soltanto allora la sinistra vince, qualunque sia il risultato. Il deficit culturale e politico della sinistra è dunque tutt'uno, anche se molti preferiscono credere che si tratti di questioni separate o di ingredienti inversamente proporzionali, e che si possa rispondere alla carenza di proposta e di intervento culturale attraverso la presenza e l'iniziativa politica. Oppure se altri, più moderni yuppies, pensano che curare l'immagine culturale possa compensare un vuoto sostanziale e politico. Non è in fondo questa la ricetta vincente della destra? Anche se fosse, la sinistra non funziona così: se c'è una ragione per tenere ancora in piedi questi due termini distinti e speculari di 'destra' e 'sinistra', è proprio perché funzionano a rovescio, perché i meccanismi e i dispositivi che realizzano e rendono efficiente una politica più privatistica e il gioco degli interessi più egoisti e meno lungimiranti è l'esatto contrario di quello che occorre per le aperture altruistiche e per gli investimenti a più lunga e alta scadenza. Da un lato invece la cultura politica della sinistra si è appiattita sui diritti e si è viziata con le rivendicazioni, si è impegnata su un

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